Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
LA LETTERA APOSTOLICA

Il Papa: «Il presepe aiuta la trasmissione della fede»

In occasione della visita a Greccio, dove nel 1223 san Francesco organizzò la prima rappresentazione del Natale, Bergoglio ha firmato la Admirabile signum sul significato e il valore del presepe. Il Pontefice esprime l’augurio che «questa pratica non venga mai meno», anzi che sia «riscoperta» perché ci dice che «Gesù condivide con noi la sua vita divina».

Ecclesia 02_12_2019

Papa Francesco ha deciso di trascorrere la prima domenica di Avvento nel Santuario di Greccio, lì dove nella notte di Natale del 1223 il Poverello di Assisi organizzò la prima rappresentazione della Natività, come riportato dal biografo Tommaso da Celano. È proprio al significato e al valore del presepe che è dedicata la Admirabile signum, la lettera apostolica firmata ieri da Bergoglio nella grotta in cui quasi 800 anni fa il santo da cui ha preso il nome pontificale fece portare una mangiatoia col fieno.

In un’epoca come quella contemporanea, dove la secolarizzazione e gli eccessi del politicamente corretto ci hanno ormai abituato a notizie sui simboli cristiani della Natività proibiti nei luoghi pubblici, arriva l’iniziativa con cui il papa intende “sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe” e “la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze”. Francesco esprime l’augurio che “questa pratica non venga mai meno” e che “possa essere riscoperta e rivitalizzata” là dove fosse caduta in disuso.

Questa tradizione è uno degli esempi migliori di quella collaborazione tra anziani e giovani che il pontefice argentino è solito auspicare in molti suoi discorsi; non a caso, nell’Admirabile signum viene ricordato come “si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare”. Parole che fanno tornare alla mente quelle utilizzate dal Santo Padre in occasione di un incontro con i giovani nell’Aula Paolo VI il 6 ottobre del 2018, quando chiese ai nipoti di parlare con i nonni perché “loro sono le radici” e “tutto quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che è sotterrato”.

La lettera apostolica contiene una ricostruzione storica di quanto avvenne nella notte del 1223 nella valle del reatino. Ricordando come quel primo presepe della storia fu un presepe vivente, il papa afferma: “È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero”. Viene fatta menzione, inoltre, della visione prodigiosa del Divin Bambino che ebbe un uomo virtuoso presente nella grotta e che è stata tramandata da Tommaso da Celano. Il Poverello d’Assisi, scrive Francesco, con l’invenzione del presepe realizza “una grande opera di evangelizzazione” capace di arrivare fino ai nostri giorni “come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità”. Uno dei segni più comprensibili della vicinanza di Dio a noi: “Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita”. “In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato”.

L’intuizione di san Francesco ci consente di vivere in maniera più intensa e partecipata il mistero dell’Incarnazione e, come scrive Bergoglio, “invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali”. Il documento passa poi ad analizzare il significato dei singoli segni che compongono generalmente la rappresentazione della Natività: il cielo stellato e il silenzio della notte non si devono solo alla fedeltà ai testi evangelici, ma stanno a ricordarci anche che “Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza”, portando luce dove c’è buio e rischiarando “quanti attraversano le tenebre della sofferenza”. Dietro ai paesaggi formati da palazzi e case in rovina, invece, c’è “il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito”. Uno scenario che “dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario”.

La salvaguardia del creato e la predilezione per i poveri irrompono anche in questa bella tradizione e lo testimonia la collocazione delle “montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori” e delle “statuine simboliche (...) di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore”. “I poveri sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi”, mentre “il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia”, a indicare che “non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità”. Francesco, poi, ‘assolve’ anche chi nel presepe fa posto a statuine di figure che “sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici”, “dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano”. Bergoglio sostiene che “tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina”.

Nella grotta del presepe troviamo le statuine di Maria Santissima e di san Giuseppe; la prima ci fa pensare al “grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato”, la seconda rappresenta “il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia” e che “da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica”.

Si legge ancora nel documento: “La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita; vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita”. La rappresentazione della notte di Betlemme, con la deposizione della statuina di Gesù Bambino alla mezzanotte scoccata, rende bene l’idea di come “il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi”. “Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti!”, osserva il papa. “Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi”. Il pontefice, dunque, arriva alla conclusione che “il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita”.

La figura dei Magi, invece, insegna che “si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo”: questi uomini ricchi, stranieri e sapienti “non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente” e “non esitano a mettersi in ginocchio” e ad adorare Gesù Bambino, perché consapevoli che Dio guida “il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili”. Il presepe riporta alla mente l’attesa per il suo allestimento negli anni dell’infanzia e dunque alla famiglia, ovvero il luogo privilegiato per la trasmissione della fede. “Questi ricordi - scrive Francesco nella parte finale della lettera apostolica - ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza”. “Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita”.

Dunque, il presepe è parte integrante del “processo di trasmissione di fede” che Francesco definisce dolce e al tempo stesso esigente. Questa bella tradizione che il papa a Greccio invita a non abbandonare ma, al contrario, a rilanciare laddove non più utilizzata, favorisce la nostra presa di coscienza nel credere che “Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria”.