Il Papa e le ambivalenze del linguaggio che muta
«È l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana».
Benedetto XVI ha ricevuto il 28 febbraio i partecipanti all'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. A loro ha ricordato il suo importante Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2011, che dedicava una vasta riflessione ai social network e di cui La Bussola Quotidiana ha a suo tempo proposto un commento.
Andando per qualche verso oltre il Messaggio, il Papa ha spiegato che la «cultura digitale» sta determinando una mutazione epocale nel linguaggio, con riflessi inevitabili anche sull'evangelizzazione, In effetti, ha detto il Pontefice, «le nuove tecnologie non solamente cambiano il modo di comunicare, ma stanno operando una vasta trasformazione culturale. Si va sviluppando un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e costruire comunione». Se questo era il quadro delineato nel Messaggio, nel discorso il Papa aggiunge che «il pensiero e la relazione avvengono sempre nella modalità del linguaggio, inteso naturalmente in senso lato, non solo verbale. Il linguaggio non è un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole. L’uomo, dunque, non solo "usa" ma, in certo senso, "abita" il linguaggio».
Senonché, con le nuove tecnologie la nozione stessa di linguaggio cambia. «I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle "reti partecipative" richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica».
Si tratta di sviluppi che non sono soltanto positivi. «I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità». Il Papa contrasta però quello che i sociologi chiamano determinismo tecnologico, l'idea cioè che gli aspetti negativi derivino necessariamente e obbligatoriamente dalla tecnologia. I problemi, secondo il Pontefice, piuttosto «sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni».
La mutazione del linguaggio indotta da Internet, da Facebook e da un elemento che il Papa sottolinea, l'uso continuo e dominante di telefoni cellulari sempre più sofisticati - i cosiddetti smartphone - non è di per sè né buona né cattiva. Sarà quello che gli uomini ne faranno, e sul punto la Chiesa e la teologia hanno una parola da dire. «La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo».
Il Papa è voluto intervenire anche sul tema del presunto primato delle macchine che si andrebbe affermando, rilevando come la discussione non sia nuova. «Già il Papa Paolo VI [1897-1978], riferendosi ai primi progetti di automazione dell’analisi linguistica del testo biblico, indicava una pista di riflessione quando si chiedeva: "Non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? È lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata ad eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio?" (Discorso al Centro di Automazione dell’Aloisianum di Gallarate, 19 giugno 1964)».
Il discorso di Benedetto XVI non cede dunque al pessimismo, pur mettendo nello stesso tempo in guardia da un ottimismo ingenuo. «È proprio l’appello ai valori spirituali - afferma - che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione». Il cattolico deve offrire a questo nuovo linguaggio «orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare».
Per questa sfida il Papa propone un patrono. È «padre Matteo Ricci [1552-1610], protagonista dell’annuncio del Vangelo in Cina nell’era moderna, del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte» nel 2010. Anche Ricci si trovò di fronte a un linguaggio molto diverso da quello cui era sempre stato abituato: il cinese. Seppe tradurre, senza tradirla, nella lingua e ancor più nella mentalità cinese la verità del Vangelo. Lo stesso siamo chiamati a fare noi, traducendo in un linguaggio profondamente mutato la stessa eterna verità che non muta.