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CHIESA E GIORNALISMO

Il Papa e il cardinal Scola: date la buona notizia

Il male è presente nella realtà e deve essere documentato. Ma al male non si deve concedere il ruolo di protagonista. Il bene va raccontato e la realtà non deve essere distorta. Sono i concetti al centro del discorso annuale del Papa ai giornalisti e del richiamo del cardinal Angelo Scola ai media.

Ecclesia 30_01_2017
Il cardinal Scola

Il week-end ci ha regalato alcune preziose riflessioni delle gerarchie ecclesiastiche sui contenuti e le forme espressive dell’informazione giornalistica. Come ogni anno, in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali e della Festa del Patrono degli operatori della comunicazione, san Francesco di Sales, anche la Chiesa si interroga sul rapporto tra il giornalismo e la realtà e sul ruolo cruciale che il mondo dell’informazione può giocare nella diffusione della verità sulle cose.

Ci sono due sfide che i giornalisti devono cogliere, anche alla luce della fede. Da una parte, valorizzare le good news, le belle notizie che infondono fiducia nel prossimo e nella società e stimolano sentimenti costruttivi e positivi. Dall’altra, raccontare in modo deontologicamente corretto le notizie negative, che pure vanno date, in base all’elementare principio del diritto-dovere di cronaca, ma senza spettacolarizzazioni, senza enfatizzarne la portata negativa o, peggio, distruttiva, senza indulgere a quel disfattismo che finisce per scardinare il vincolo umano e solidaristico tra le persone, minando le fondamenta del patto sociale.

Il Papa, in occasione della cinquantunesima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali 2017, ha diffuso un messaggio di speranza al mondo dei giornalisti e degli operatori della comunicazione, esortando a una "comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia".

E’ giusto, quindi, raccontare guerre, episodi di violenza, scandali, azioni nefaste, attentati. Tutto fa parte della realtà e l’informazione dev’essere un microfono aperto sulla realtà. Mai però lasciar credere che sia quella o possa essere quella l’ultima parola sul destino del mondo. Mai però enfatizzare la portata di quelle cattive notizie, accanendosi sulle nefandezze umane ed esaltando, quindi, il rilievo del negativo. Ci sono molti principi del nuovo Testo Unico dei doveri del giornalista, prodotto proprio un anno fa dall’Ordine nazionale dei giornalisti, che richiamano il valore della dignità umana, del pudore e della delicatezza umana con cui raccontare realtà macabre, e obbligano i cronisti a coltivare il principio di essenzialità del racconto, evitando esasperazioni concettuali e linguistiche, processi mediatici e generalizzazioni qualunquistiche.

Non c’è quindi solo il tema della post-verità, delle fake news, delle menzogne che circolano in Rete e che finiscono per disinformare l’opinione pubblica. C’è anche il veleno che il sistema editoriale inietta di continuo nei circuiti informativi, allorquando, raccontando fatti veri, li affronta con un approccio umanamente sbagliato e con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.

Questi aspetti li ha toccati, durante le celebrazioni della Festa del patrono dei giornalisti, a Milano, il cardinale Angelo Scola, auspicando, da parte dei giornalisti, "l'ascolto, l'interpretazione più benevola verso le persone coinvolte nelle vicende di cui si dà notizia", senza accontentarsi della verosimiglianza, ma tendendo a raggiungere la descrizione vera del fatto. L’arcivescovo di Milano ha aggiunto che nell'epoca dei social network vanno messe in campo "la decisività del soggetto comunicatore e la tensione a raggiungere la descrizione vera del fatto perché la mancanza di assunzione del reale, inteso come la comprensione dei fatti e delle relazioni, è il problema del nostro tempo".

Il rapporto tra verità e informazione rimane dunque la questione di fondo, come si coglie esaminando alcuni dati dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, secondo i quali tre giovani italiani su quattro, tra i 20 e i 34 anni, si accorgono quando le notizie diffuse sui Social media sono false ma, nonostante ciò, l’11,2% condivide tutto in modo indiscriminato ritenendo che sia impossibile controllarne la veridicità. 

Probabilmente c’è anche una spiegazione sociologica a tutto questo: i fatti oggettivi stanno diventando meno influenti rispetto agli appelli alle emozioni e alle esperienze personali. Sembra che la Rete premi più agevolmente l’emozione che non la ragione. E allora occorre ripristinare una sana distinzione tra informazione autorevole e deontologicamente corretta e informazione meno accurata e che indulge alle emozioni, alle pulsioni, alla deformante autoaffermazione, proprio al fine di arginare un mare di post-verità e presunte verità.

"Tommaso d’Aquino – ha ricordato il Cardinale Scola - diceva che la verità è corrispondenza tra la realtà e l’intelletto (adaequatio rei et intellectus) e, forse, la questione della post-verità può costringerci a tornare alla verità. Tutto ruota intorno alla realtà, perché se la manchiamo, negando l’accesso alla verità del fatto, il nostro io viene sempre più messo in difficoltà. Oggi alla parola decisiva 'reale', la grande sconosciuta della nostra epoca, si contrappone la diminuzione della verosimiglianza".

Chiaro il monito di Scola: "Il frangente storico in cui prevale la post-verità  – che è anche una post-falsità – chiede di mettere l’io al centro: non si tratta di imporre un serie di regole, ma di vivere la persona nella sua interezza. La scelta di giudicare con benevolenza, attraverso un ascolto di fecondazione, permette di stare in questo mondo con piedi solidi". 

Accanto ad un approccio ai fatti, belli e brutti, che possa essere rispettoso della verità sull’uomo, occorre, però, rilanciare anche la battaglia sulla valorizzazione delle good news, affinchè azioni di solidarietà, di volontariato e aiuto al prossimo, iniziative benefiche di ogni tipo, bei gesti possano trovare più spazio nei circuiti mediatici e indurre una lenta conversione dei cuori, un rovesciamento di prospettiva. 

Il Papa, nel suo Messaggio annuale, non nasconde le difficoltà nel far prevalere un punto di vista di questo tipo: "Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione. Vorrei dunque offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia".