Il Papa contro i teologi? Solo quelli cattivi
Molti interventi di papa Francesco lascerebbero pensare a una sorta di diffidenza verso i teologi. Ma non è così: il suo obiettivo sono quelli che non pregano e che seguono le ideologie più che la dottrina della Chiesa.
Diversi interventi fatti da papa Francesco fanno sorgere una domanda: ma il Papa ce l'ha con i teologi?
Impostiamo questo argomento secondo il metodo usato da san Tommaso nella Somma Teologica, dove egli pone la questione sotto forma di domanda, quindi elenca gli argomenti a favore (videtur quod), poi quelli contrari (sed contra), per tirare infine le conclusioni e le risposte alle obiezioni.
Partiamo dunque con la domanda: Papa Francesco ce l’ha con i teologi?
Videtur quod. Sembra proprio di sì.
1. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (24/11/203), nn. 122-126, Papa Francesco sottolinea l’importanza della «pietà popolare», chiamata anche «spiritualità popolare» o «mistica popolare» (n. 124), che vede «incarnata nella cultura dei semplici». Ora questo svaluta il ruolo dei teologi.
2. Parlando ai docenti e studenti delle Pontificie Università di Roma tenute dai gesuiti (Gregoriana, Biblico, Orientale), il Papa afferma che «il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre». E più avanti: «Il teologo che non prega e che non adora Dio finisce affondato nel più disgustoso narcisismo. E questa è una malattia ecclesiastica. Fa tanto male il narcisismo dei teologi, dei pensatori, è disgustoso». Egli teme che quegli Istituti diventino «macchine per produrre teologi e filosofi» (www.vatican.va, Papa Francesco, discorso del 10/04/214). Da qui si deduce che Papa Francesco non ha una buona opinione dei teologi.
3. Ultimamente, nel dialogo con gli alunni dei Pontifici collegi romani, il Papa osserva che la «formazione intellettuale» è uno dei quattro pilastri della formazione sacerdotale (assieme a quella spirituale, comunitaria e apostolica). Tuttavia egli mette in guardia contro «il pericolo dell’accademicismo», dove uno si affatica per prendere una laurea e farsi chiamare “dottore”. Lo studio allora diventa tutto, e questo «purismo accademico non fa bene», fa scivolare nelle «ideologie, e questo fa ammalare». Così «si ammala anche la concezione di Chiesa», e si arriva ad abbracciare «una ermeneutica non cristiana, un’ermeneutica della Chiesa ideologica» (Osservatore Romano 14/05/2014, p. 4). Quindi si deduce che i futuri sacerdoti non devono impegnarsi più di tanto nella formazione intellettuale e nello studio.
4. Nella omelia alla Messa a Santa Marta del 14/05/2014, Papa Francesco dice che ci sono intellettuali, cioè teologi, i quali «credono che le cose di Dio si possono capire soltanto con la testa, con le idee, con le proprie idee: sono orgogliosi, credono di sapere tutto e quello che non entra nella loro intelligenza non è vero» (Osservatore Romano 14/5/1014, p. 8). Quindi il Papa ce l’ha con i teologi.
Sed contra. Risposta.
Per rispondere a queste obiezioni, che si basano su affermazioni abbastanza forti, che possono turbare i teologi di professione e scoraggiare gli studenti, bisogna prendere le mosse un po’ da lontano. Non è un mistero che dopo il Concilio Vaticano II anche la teologia è andata in crisi e molti teologi si sono sbandati. Innumerevoli sono stati i richiami provenienti dalla Congregazione della Dottrina della Fede. Senza troppo generalizzare, è un fatto che in molte Facoltà Teologiche e Seminari alcuni professori hanno insegnato e insegnano cose in contrasto con la dottrina della Chiesa, o per lo meno ambigue.
La teologia dogmatica, che dovrebbe insegnare qual è la dottrina della Chiesa e come i pronunciamenti dei Concili e del Magistero siano radicati nella Parola di Dio (scritta e trasmessa), spesso ha lasciato il posto alla teologia positiva, dove tutto diventa “storia della teologia”, e dove sono studiati di preferenza singoli autori, qualunque sia la loro posizione rispetto alla dottrina della Chiesa. Da qui il disorientamento generale che c’è negli studenti, che sentono campane molto diverse all’interno di una stessa Facoltà. Ha ragione dunque il Papa di mettere in guardia nei confronti di una teologia autoreferenziale, non inserita nella vita della Chiesa.
Alcuni però deducono che c’è in Papa Francesco un certo anti-intellettualismo, che potrebbe risultare pericoloso e dannoso. Questo è falso. Il Papa, pur dando un taglio fortemente pastorale al suo ministero, non ce l’ha con la ragione, con l’attività intellettuale, come se la svalutasse. Egli parla spesso di “dottrina della Chiesa”, segno dunque che egli ci tiene all’aspetto dottrinale. Papa Francesco non ce l’ha con i teologi, ma con quelli che si sono fatti imbrigliare dalle ideologie. Spiegheremo più sotto che cosa egli intenda per “ideologia”.
Un’altra conseguenza indebita che alcuni tirano dalle affermazioni del Papa è la tendenza a ricadere nel fideismo. Il fideismo svaluta la ragione e dice che le verità si raggiungono solo con la fede. È vero che nella dottrina cattolica ci sono i misteri della fede (Trinità, Incarnazione, Risurrezione, ecc.) che sono inaccessibili alla sola ragione, ma ci sono tante altre verità su Dio, sull’uomo e sul mondo che possono essere raggiunte anche con la ragione (cf. Concilio Vaticano I).
Oggi si fa particolarmente strada un fideismo in campo morale, quando si dice che la morale cristiana è accettabile solo dentro a una visione di fede. Sarebbe come dire che i 10 Comandamenti valgono solo per i credenti e non per tutti gli uomini. Certo, la fede aiuta a cogliere con più chiarezza e certezza non solo quello che i comandamenti dicono, ma anche tutte le conseguenze che ne derivano. Infatti, se tutti gli uomini hanno scritto nella loro coscienza la differenza tra bene e male, tuttavia fanno molta fatica ad applicare questo principio nelle situazioni concrete, ragion per cui, come dice Isaia, si arriva a chiamare bene ciò che è male. Per questo c’è bisogno della Parola di Dio e soprattutto della grazia di Dio, senza la quale non riusciamo a fare quel bene che pure vediamo con la nostra mente. Questo però non toglie che si possa e si debba fare appello a quella “legge naturale” che Dio ha scritto nel cuore di ogni uomo e che la nostra coscienza ci testimonia.
Veniamo ora alle risposte ai singoli punti:
Al n. 1. Sottolineando l’importanza della pietà popolare, il Papa non nega il ruolo dei teologi, che la Chiesa «apprezza e incoraggia», «purché non si accontentino di una teologia da tavolino» (Ev Gaud. 133). In particolare, «le Università sono un ambito privilegiato per pensare e sviluppare questo impegno di evangelizzazione in modo interdisciplinare e integrato» (Ev Gaud. 134). Egli ha affermato che «gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio» (Intervista di A. Spadaro, Civ. Catt. 19/09/203). Dunque pietà popolare e teologia non sono in contrasto, ma devono incontrarsi.
Al n. 2. Il Papa non ha una buona opinione non dei teologi in generale, ma di quelli che non pregano, che non hanno vita spirituale, che non uniscono studio e preghiera, che non hanno la mente aperta allo Spirito di Sapienza, che non camminano con la Chiesa.
Al n. 3. Per comprendere quelle affermazioni del Papa sull’ideologia, bisogna capire bene che cosa significa “ermeneutica ideologica”. Papa Francesco lo fa intendere chiaramente: essa significa interpretare la Chiesa con categorie prese “da fuori”, da concezioni estranee, di tipo sociologico, politico o laicista, cioè immanentista e razionalista, mentre la Chiesa va capita con le categorie «che la Chiesa stessa ci offre», che sono le categorie «cristiane», cioè «capire la Chiesa con occhi di cristiano, con mente di cristiano, con cuore cristiano, dall’attività cristiana» (ivi). Fuori da questa prospettiva si ha «un lavaggio di cervello teologale, che alla fine ti porta a un incontro con Cristo puramente nominalistico, non con la Persona di Cristo Vivo» (Al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, 21/09/2013).
Al n. 4. In definitiva il Papa invita anche i teologi alla conversione, ad abbandonare l’orgoglio intellettuale. Anche il teologo infatti, come il sapiente Salomone, può perdere la fede: «L’uomo più saggio del mondo si è lasciato portare avanti per un amore indiscreto, senza discrezione. [...] Avere fede non significa essere capaci di recitare il Credo. Ma tu puoi recitare il Credo e aver perso la fede» (Omelia a Santa Marta del 13/02/2014).
In conclusione, alla domanda iniziale bisogna dare una risposta negativa, e cioè che Papa Francesco non ce l’ha con i teologi, ma solo con i cattivi teologi, quelli che seguono più le loro ideologie che non la dottrina della Chiesa.