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UN'ALTRA UNITÀ

Il Papa affida l'Italia alla Madonna

Il Papa celebra le radici mariane dell'Italia assieme a tutti i vescovi.
Un evento di profondo significato anche sociale nel 150° dell'Unità.

Attualità 27_05_2011
La Madonna in Santa Maria Maggiore Giovedì 26 maggio Benedetto XVI ha rinnovato l’affidamento dell’Italia alla Vergine Maria nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma, recitando il Rosario insieme ai vescovi italiani riuniti in Assemblea generale. In un momento di forti tensioni politiche, e di contrapposizioni sul significato dell’unità politica dell’Italia, il Papa ha richiamato tutti a uno sguardo che contempli la Madonna come Mater unitatis: Madre, anche, dell’unità degli italiani che prima di ogni percorso politico sono uniti dalle comuni radici cattoliche e da una storia che nei suoi momenti lieti e tristi è sempre stata accompagnata, in mille modi, dalla Vergine Maria. Qui - nel riconoscimento delle radici mariane del Paese - sta la vera unità degli italiani. Come ha detto salutando il Papa il cardinale Angelo Bagnasco «l’attaccamento alla Madre del Redentore è nostra» è il «dato storico che sempre unisce gli italiani». Ed è significativo che a un momento difficile la Chiesa risponda, anzitutto, affidando l’Italia a Maria.

Il luogo scelto per il solenne gesto, ha detto il Papa, è significativo: la «splendida Basilica» di Santa Maria Maggiore è un luogo - e non è l’unico in Italia o a Roma - «nel quale spiritualità e arte si fondono in un connubio secolare», una viva memoria delle radici mariane. Come il luogo, così il tempo scelto per l’evento non è casuale: «a centocinquant’anni dall’unità politica del Paese» il Pontefice ha voluto nuovamente «affidare alla protezione materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano». Così come, ha aggiunto Benedetto XVI, «è significativo che questa iniziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi»: anche in questo modo si esprime «la premura della Chiesa nel farsi prossima alle sorti di questa amata Nazione».

Il tempo grande - il centocinquantenario - richiama il tempo piccolo, il mese di maggio: il tema delle radici, di cui Santa Maria Maggiore è icona, torna quando il Papa ricorda che in Italia per fortuna è ancora «viva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione mariana». Anche un viaggiatore distratto, venendo in Italia, si renderebbe conto delle radici mariane del Paese e di una tradizione di fedeltà alla Madonna che «trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità».

Questa lungo cammino della nazione italiana con Maria non è una semplice memoria nel passato. Continua ai nostri giorni, e il Papa ha voluto rivendicare la tradizione vivente nella Chiesa che ispira ancora la liturgia di oggi e il Rosario di oggi, con i misteri della Luce voluti dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005). La preghiera, ogni preghiera ha detto Benedetto XVI «ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa». E con i misteri della Luce, di cui il Papa ha guidato la recita, «alla scuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: a scendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi in noi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per ricevere da Lui il “vino buono” della festa; ad entrare nella sinagoga di Nazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regno di Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella luce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eterno sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigenera tutta la creazione».

Storie antichissime, storie relativamente recenti: la Chiesa non cambia, la Tradizione vivente non smentisce se stessa. Con emozione il Papa ricorda che Santa Maria Maggiore è la chiesa «prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio». Ma questa memoria antica ne richiama una più recente: «nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’anno 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, affidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino di quanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia».

Del beato Giovanni Paolo II il suo successore ha voluto riprendere un insegnamento centrale: «in quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare “qualsiasi cosa ci dica” (Gv 2,5), certi della sua fedeltà». «Questo – ha aggiunto il Papa – è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale mistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è un appello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale». Papa Wojtyla ci ha insegnato che solo Cristo è la verità sull’uomo, e che la sola via a questa verità è Maria. Dei semplici gesti di Maria consegnati nei Vangeli, ha affermato Benedetto XVI, «si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei».

Santa Maria Maggiore è collegata a un evento cruciale nella storia della riflessione della Chiesa su Maria, il Concilio di Efeso. «Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica - ha voluto ricordare il Papa - è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina».

Non si tratta di sottili questioni teologiche, ha insistito il Pontefice, ma dell’essenza della nostra fede. Guardando Maria come Madre di Dio «si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti. Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il “resto santo”, segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta».

L’avventura unica nella storia del mondo della Vergine di Nazaret entra, cambiandola, nella vita dell’umanità, compresa la sua dimensione sociale e politica. «Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quindi di realizzarsi pienamente».

Sbaglierebbe, ha detto il Papa, chi non cogliesse il significato anche sociale di questo evento. «La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità».

Dunque la presenza di Maria ha molto a che fare anche con l’Italia, nazione mariana per eccellenza, con la sua storia, con la sua realtà politica e sociale che è legata in modo indissolubile all’opera della Chiesa Cattolica. «A ragione l’Italia - ha aggiunto il Papa -, celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa». La Chiesa «non intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche» ed è «rispettosa della legittima laicità dello Stato», ma non può rinunciare a «sostenere i diritti fondamentali dell’uomo» che derivano dalla legge naturale, la quale s’impone a ogni persona dotata di ragione, sia o meno credente.

Fra questi diritti, ha affermato il Papa, «vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto inscritti nella natura stessa della persona umana». Lo Stato non crea i diritti fondamentali – che il Papa chiama spesso non negoziabili – : piuttosto, è chiamato a prenderne atto e a difenderli, e se viene meno a questo compito perde la sua legittimità in quanto smarrisce il suo ordinamento al bene comune.

La Chiesa, che in Italia è «forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio», chiama dunque incessantemente «alla costruzione del bene comune», che in quanto fondato sulla legge naturale s’impone come tale a chi crede e a chi non crede, «richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia; questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescere persone libere e responsabili, formate a quei valori profondi che aprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avversità della vita». Vita e famiglia sono la base necessaria e imprescindibile perché possano essere apprezzati e perseguiti anche altri valori oggi al centro dell’attenzione di molti, come la giusta aspirazione a una «piena e dignitosa occupazione», che non può essere soddisfatta dal «diffuso precariato lavorativo, che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare, con grave danno per uno sviluppo autentico e armonico della società».

«L’anniversario dell’evento fondativo dello Stato unitario»
, ha detto il Papa, non ha trovato impreparati i vescovi italiani, che sono stati «puntuali nel richiamare i tasselli di una memoria condivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futura». E tuttavia il momento è difficile, e suscita in molti la tentazione di allontanarsi dalla politica come luogo della frustrazione e della delusione. Il Papa chiede dunque ai vescovi - ed è un tema su cui è tornato diverse volte nei suoi viaggi in Italia - di stimolare «i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa». Il cardinale Bagnasco ha ricordato, nel suo saluto, le parole del venerabile e prossimo beato Giuseppe Toniolo (1845-1918), un grande pioniere della dottrina sociale della Chiesa: «Noi credenti sentiamo, nel fondo dell’anima, che chi definitivamente recherà a salvamento la società presente non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi, una società di santi».

Tornando sul problema dei rapporti fra Settentrione e Meridione in Italia, il Papa ha suggerito ai vescovi di aiutare «il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quel vasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è stato animatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico», e nello stesso tempo di «provocare il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti, le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e di ospitalità che lo caratterizzano».

Una «sincera e leale collaborazione con lo Stato», ha detto il Papa, in Italia «è benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero». Certo, talora è difficile tradurre questa collaborazione in progetti culturali e sociali concreti, nella grande «complessità che caratterizza il tempo presente». «In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza la richiesta di solidi riferimenti spirituali - ha chiesto il Papa ai vescovi -, sappiate porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente», «assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pastorale».

Il Papa affida l’Italia alla Madonna, Mater unitatis. Non offre soluzioni politiche immediate - né è questo il compito della dottrina sociale della Chiesa - ma vola più in alto, e prega il Signore perché aiuti pure «le forze politiche a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese. L’esempio di Maria apra la via a una società più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valori profondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, sostenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rinnovata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire anche in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché è la vita stessa».