Il nuovo ordine che verrà
L'influente organizzazione non governativa Ectr propone all'Ue di istituire un meccanismo di controllo e repressione del pensiero "non tollerante". Leggi come quella contro l'omofobia, o l'islamofobia, sono solo antipasti del nuovo ordine che verrà.
L’Unione Europea sarà anche sinceramente sconvolta dalle rivelazioni sullo spionaggio statunitense e russo. Ma forse solo perché non ama la concorrenza. Un’organizzazione non governativa molto influente nell’Ue, l’Ectr (Comitato Europeo per la Tolleranza e la Riconciliazione) ha pubblicato il suo “Statuto nazionale per la promozione della tolleranza nel contesto europeo”.
Costituitosi nel 2008, l’Ectr è stato fondato dall’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski e dal presidente del Congresso Ebraico Europeo, Moshe Kantor. e composto da ex capi di Stato e di governo. Dunque due figure simbolo della tolleranza e della riconciliazione: il presidente della nazione più calpestata della storia d’Europa e il rappresentante del popolo più perseguitato del Novecento. Sono entrati a far parte dell’Ectr anche ex capi di Stato e di governo, fra cui José Maria Aznar (Partito Popolare spagnolo). Purtroppo, come si può constatare dal rapporto dell’Ectr, anche gli enti nati all’insegna delle migliori intenzioni, finiscono vittima dell’ideologia politically correct. E, dalla tutela della libertà, finiscono per giustificare il suo opposto.
In primo luogo, il rapporto non è esente dal doppio standard tipico del multiculturalismo. Nella Sezione 4, leggiamo che: «Non è necessario essere tolleranti con gli intolleranti (…) specialmente (…) quando la tolleranza riguarda la libertà di espressione». Il termine “tolleranza” è definito nella Sezione 1: «Rispetto e accettazione dell’espressione, preservazione e sviluppo di una distinta identità di un gruppo». Più in là, nel testo, si legge che: «Commenti diffamatori espressi in pubblico e diretti a un gruppo (…) con l’intento di infangare il gruppo, renderlo ridicolo o imputargli false accuse» può essere considerato quale diffamazione di gruppo e trattato alla stregua di un atto di intolleranza. Da notare che: non si tratta solo di condannare e reprimere l’intolleranza di un governo nei confronti dei suoi cittadini. Ma anche di cittadini nei confronti di altri cittadini, col governo nel ruolo di guardiano e arbitro. Questa differenza fondamentale rispetto alla tolleranza del liberalismo classico apre la strada alla censura. Ogni espressione giudicata “diffamatoria”, non nei confronti di una persona (e della sua dignità), ma di un “gruppo”, religioso, etnico e di genere, può essere punita.
Il rapporto non si limita a indicare cosa si intenda per tolleranza, ma traccia le linee guida per l’azione di sorveglianza, controllo e punizione per chiunque “abusi” della tolleranza. E suggerisce che certi “gruppi vulnerabili” possano godere di una protezione giuridica speciale, in barba al pluri-secolare principio europeo dell’eguaglianza di fronte alla legge. Quale punizione per chi esprima dei concetti intolleranti, viene suggerito un “percorso rieducativo” che “instilli i valori della tolleranza” come si legge nella Sezione 7, paragrafo b (si spera non con i metodi cinesi dei tempi di Mao). Per gestire l’apparato repress… pardon, di controllo e rieducativo, viene suggerita l’istituzione di apposite Commissioni per il Monitoraggio della Tolleranza (Sezione 6), su base nazionale, dipendenti dai ministeri della Giustizia dei Paesi membri.
Le Sezioni 8 e 9 suggeriscono anche un pesante interventismo del governo nell’educazione scolastica e nei mass media (anche privati), al fine di far loro promuovere un “clima di tolleranza” e punire il pensiero deviante e intollerante. Si prescrive l’introduzione di corsi specifici alla tolleranza nelle scuole e percentuali di tempo e spazio da dedicare alle trasmissioni e ai contenuti “che promuovono la tolleranza”. A denunciare eventuali devianze dovranno essere apposite commissioni per i media, costituiti da personaggi “indipendenti” scelti dai media, non dai governi. Testate giornalistiche sono dunque incoraggiate a denunciare altre testate.
Il rapporto indica il proprio stesso fine: «Eliminare il razzismo, il pregiudizio di colore, la discriminazione etnica, l’intolleranza religiosa, le ideologie totalitarie, la xenofobia, l’antisemitismo, l’anti-femminismo e l’omofobia». Non contrastare, ma proprio “eliminare”. Siccome tutte le forme di intolleranza sopra elencate sono pensieri, l’unico modo con cui l’Ectr si propone di annientarle è il divieto della loro espressione, in tutte le forme. Di più ci sarebbe solo l’eliminazione degli uomini che li pensano. Anche in questo caso il diritto tradizionale (che entra in ballo solo dopo un’azione che infligge un danno) viene bellamente stravolto.
Eliminare l’espressione di un pensiero, credendo di cambiare la realtà sociale è tipico della filosofia post-moderna. Secondo cui la realtà è costituita essenzialmente da parole: espressioni che formano l’uomo e causano la sua azione. Credere di eliminare la violenza vietando certi discorsi, comunque, cozza contro la cruda realtà dei fatti. Piuttosto, controllare il pensiero e la parola implica, necessariamente, l’istituzione di organi di controllo da regime totalitario. E dunque non aveva tutti i torti Vladimir Bukosvkij, dissidente sovietico, a chiamare l’Ue con l’acronimo Eurss (Ursse in italiano): Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche Europee.
C’è solo da sperare che i consigli dell’Ectr restino solo sulla carta. Ma per quanto? L’Ue sta già lavorando alla Direttiva per l’Equo Trattamento che, probabilmente, assorbirà molti dei suggerimenti dell’Ectr, vista l’autorevolezza di quest’ultimo. I processi contro persone accusate di “islamofobia”, leggi italiane come quella contro l’omofobia, o quella sul femminicidio (a tutela di un “gruppo vulnerabile”) o quella che rende il negazionismo un reato, sono solo, dunque, tasselli di un mosaico più vasto, antipasti di un nuovo ordine che verrà.