Il nuovo Isee penalizza i genitori con figli disabili
La riforma dell’Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è stata realizzata brandendo le solite ragioni di maggior equità famigliare, quando è vero il contrario. A subire il contraccolpo più grave saranno proprio, ironia della sorte, le famiglie più numerose e più deboli, quelle in cui vivono dei disabili.
C’è una via particolarmente subdola per svilire i valori fondamentali, che non si articola attraverso un affronto dialettico esplicito o provvedimenti legislativi di natura chiaramente etica, ma passa per il fisco. I numeri dell’economia non parlano, ma vanno interpretati; producono effetti, sì, ma circoscrivibili, percepibili solo dai diretti interessati e trascurabili dagli altri.
Prendiamo il caso della riforma dell’Isee; abilmente, è stata realizzatabrandendo le solite ragioni di maggior equità, quando è vero il contrario: la riforma penalizzerà notevolmente le famiglie italiane. Ma non tutte o, meglio, non tutte allo stesso modo. A subire il contraccolpo più grave saranno proprio, ironia della sorte, quelle più deboli, quelle in cui vivono dei disabili. Vediamo perché. Ricordiamo, anzitutto, che l’Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è lo strumento per valutare (tenendo conto di reddito, patrimonio e caratteristiche del nucleo famigliare) le condizioni economiche di chi richiede prestazioni socio-assistenziali non destinate alla generalità dei soggetti. Esistente dal 1998, è stato modificato sensibilmente dal Dpcm n. 159 del 5 dicembre 2013, entrato in vigore dal 1° gennaio 2015. Per inciso, si direbbe per beffa, il decreto è stato presentato il 3 dicembre 2013, durante la giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità.
La versione precedente non teneva conto delle forme di reddito fiscalmente esenti, quella attuale sì. Tra queste rientrano l’assegno al nucleo familiare, le indennità di accompagnamento, le provvidenze erogate ai ciechi civili, ai sordi e agli invalidi civili, l’assegno sociale, le rendite Inail. Ciò significa che, per il governo, disabilità e lavoro (e i relativi redditi) sono la stessa cosa. Va detto che sono state previste delle franchigie, soglie variabili tra i 4.000 e i 9.500 euro a seconda che si tratti di disabilità media, grave o non autosufficienza, sotto le quali i redditi esenti non vengono computati ai fini Isee. Peccato che tali franchigie coprano solamente una disabilità: chi ha diritto a due o più indennità (perché, magari, è tetraplegico e cieco) godrà dell’esenzione per una soltanto. L’altra, concorrerà a formare il reddito Isee. Ecco perché l’affermazione del governo secondo cui non c’è motivo di preoccupazione, dal momento che i redditi esenti saranno annullati dalle franchigie, semplicemente, non è vera (del resto, che senso avrebbe introdurre dei redditi ai fini Isee per poi azzerarli?).
Nel caso in cui il disabile sia minorenne, poi, la franchigia è aumentata (ad esempio, quella per disabilità grave passa da 5.500 a 7.500 euro). Qui, l’apparenza non deve ingannare. In tal caso, infatti, il soggetto più svantaggiato è l’adulto: un uomo disabile, di norma, pesa molto più di un bambino e potrebbe aver bisogno, per essere accudito o sollevato, anche di due persone. Il bambino, inoltre, solitamente dispone di vari sostegni legati al suo contesto naturale, come la scuola e i genitori. La disabilità, dunque, è più costosa in età avanzata. Nella Dsu (la Dichiarazione sostitutiva unica che i soggetti devono presentare ai Caf), infine, le uniche spese sanitarie detraibili saranno quelle deducibili ai fini Irpef: ciò vuol dire che alcuni elementi costosi e fondamentali per la vita del disabile (come le medicine per il dolore, gli integratori di melatonina per dormire, i presidi medico sanitari ecc…) resteranno a suo carico.
Vanno considerati alcuni ulteriori peggioramenti di carattere generale che riguardano tutte le famiglie. Non c’è più un’unica forma di Isee, ma sei, a seconda della tipologia delle prestazioni richieste (generali, sanitarie, universitarie, legate alla presenza di minori, alla perdita del lavoro, o alla casa), con la conseguente moltiplicazione della documentazione da presentare; documentazione pressoché impossibile da produrre in autonomia senza rivolgersi a commercialisti o professionisti esperti. Basti pensare all’obbligo di indicare la giacenza media annuale sul conto corrente: richiedere alla propria banca gli estratti conto dei quattro trimestri precedenti, tra le altre cose, ha un costo non indifferente (richiederla alle Poste, invece, è pressoché impossibile). E se per caso il Comune o l’ente erogatore della prestazione non ha ancora adeguato (come sta avvenendo con una certa frequenza) i regolamenti con l’individuazione delle nuove soglie per tenere conto delle variazioni intervenute nell’indicatore? Semplice, la prestazione viene sospesa o, in alternativa, concessa in deroga a seguito dell’autocertificazione del cittadino, con il rischio che quest’ultimo, in un secondo momento, una volta fissate le nuove soglie, sia costretto a restituire parte del beneficio ottenuto.
Val la pena spendere una parola anche sulle modalità di presentazione della Dsu ai Caf: prima, era sufficiente l’autocertificazione che, sporadicamente, veniva sottoposta a controlli; ora, il cittadino presenta la Dsu ai Caf che la inviano all’Inps il quale, dopo aver effettuato una serie di controlli incrociati con i dati a disposizione dell’Agenzia delle entrate, la restituisce, dopo almeno 15 giorni ai Caf e i Caf al cittadino. Qualora i calcoli del Fisco risultino diversi e penalizzanti, il contribuente può dichiarare, sotto la sua responsabilità, che quelli corretti restano i propri; il che, prelude all’ipotesi (a detta degli stessi Caf) di andare in contenzioso con lo Stato.
Da ultimo, segnaliamo il fraintendimento generato sull’abitazione. Il governo afferma che nel nuovo Isee la proprietà di una prima casa peserà come in precedenza. Si dà il caso, tuttavia, che il vecchio Isee teneva conto del possesso dell’immobile secondo i parametri dell’Ici, mentre quello nuovo si basa sull’Imu, i cui parametri, notoriamente, ne aumentano significativamente il valore; dunque, non essendo stato introdotto alcun correttivo, a parità di reddito, l’Isee dei proprietari di case risulterà più alto di prima.
Resta da capire quale sarà l’esito della sentenza che il Tar del Lazio si accinge ad emanare (benché siano abbondantemente scaduti i termini dei 60 giorni), in seguito al ricorso discusso lo scorso 19 dicembre e presentato dal Coordinamento Disabili Isee No Grazie, insieme ad altre 11 associazioni.
Comunque vada, persiste la sensazione che il legislatore, ancora una volta abbia agito secondo due presupposti “etici”: la famiglia, di fronte alle esigenze di taglio alla spesa, può essere sacrificata per prima; il cittadino, tendenzialmente, è sempre in malafede e spetta a lui dimostrare il contrario.