LE VIOLENZE A ROMA
Il nostro mondo sta perdendo il fuoco
L'ultimo efferato omicidio, nelle Capitale, pone alcune domande serie sulla nostra società, ma anche su noi stessi, su come educhiamo.
Editoriali
09_01_2012
"Cosa c'è papà?
Niente. E' tutto a posto. Dormi.
Ce la caveremo, vero, papà?
Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sì. Perché noi portiamo il fuoco".
Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, Torino 2007, p. 64.
Il penultimo lavoro dello straordinario scrittore Cormac McCarthy si intitola La strada. Da questo libro, vincitore del premio Pulitzer 2007, è stato tratto un film omonimo con Viggo Mortensen.
Il mondo è devastato, ricoperto di polvere, senza la luce del sole né forme di vita animali o vegetali. A parte gli uomini, in lotta per la sopravvivenza a qualunque costo, persino a costo di cibarsi dei propri simili. Su questo sfondo si muovono un padre ed un figlio. Vanno a sud, verso il mare. Non sanno perché, ma vanno a sud. Sperano di trovare altri come loro. Altri che portano il fuoco.
Chi porta il fuoco non si distingue dagli altri per l'aspetto, ma per il comportamento: è buono, non mangia i propri simili, non li uccide se non per difendersi, provoca la morte degli altri; chi porta il fuoco continua a provarci, non si arrende mai; e non sogna mondi nei quali essere felice diversi da quello in cui vive, per quanto sia terribile; chi porta il fuoco parla con Dio, magari maledicendolo, e ne riconosce la parola nel volto di un bambino; chi porta il fuoco vorrebbe morire per continuare a stare con le persone che ama, se queste dovessero morire. Il fuoco si tramanda, di padre in figlio, di generazione in generazione: se non dovesse essere tramandato scomparirebbe dalla faccia della terra. McCarthy non dice né spiega cosa sia il fuoco. Ma il lettore arriva a farsene un'idea precisa, pagina dopo pagina, e spera che il fuoco non si spenga mai.
Chi porta il fuoco non si distingue dagli altri per l'aspetto, ma per il comportamento: è buono, non mangia i propri simili, non li uccide se non per difendersi, provoca la morte degli altri; chi porta il fuoco continua a provarci, non si arrende mai; e non sogna mondi nei quali essere felice diversi da quello in cui vive, per quanto sia terribile; chi porta il fuoco parla con Dio, magari maledicendolo, e ne riconosce la parola nel volto di un bambino; chi porta il fuoco vorrebbe morire per continuare a stare con le persone che ama, se queste dovessero morire. Il fuoco si tramanda, di padre in figlio, di generazione in generazione: se non dovesse essere tramandato scomparirebbe dalla faccia della terra. McCarthy non dice né spiega cosa sia il fuoco. Ma il lettore arriva a farsene un'idea precisa, pagina dopo pagina, e spera che il fuoco non si spenga mai.
Questi sono stati i miei pensieri quando ho letto la notizia dell'omicidio di un padre e di una figlia a Roma, giovedì scorso, per rapinarli del guadagno di una giornata di lavoro. È solo l'ultimo di una lunga serie di orrendi delitti di vario genere compiuti negli ultimi mesi in Italia.
La sensazione che l'Italia stia diventando un paese pericoloso, nel quale chiunque, anche il più innocuo e tranquillo cittadino può perdere la vita per nulla, si fa sempre più forte. Questa è la realtà: il nostro non è più “strapaese”, il paese dei campanelli, dove i bambini giocano per strada e si lascia la porta di casa aperta. Sta diventando, e forse lo è già, un paese duro, rabbioso, stolido. Colpa della crisi economica, della manovra finanziaria, dell'omofobia, delle mancate pari opportunità, delle limitazioni all'aborto, del prezzo esoso del preservativo o del carburante? Colpa di Berlusconi e della Chiesa, come afferma qualcuno?
Forse. Ma noi? Abbiamo il fuoco? Lo teniamo acceso in noi, lo alimentiamo, lo preserviamo? Di cosa parliamo in casa, sul lavoro, sui social network, di cosa discutiamo al bar, in che modo educhiamo i nostri figli? Gli tramandiamo il fuoco, oppure li stiamo trasformando in cannibali?
Stiamo perdendo il fuoco. E una volta perso sarà per sempre.