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«Il nocciolo della crisi è la crisi della fede»

  • Nell'incontro con la Curia Romana, il Papa ha tracciato un bilancio dell'anno trascorso.
  • Se dietro la crisi economica c'è la crisi morale che attanaglia l'Europa, dietro la crisi morale c'è quella della fede: laddove c'è il dubbio su Dio «segue inevitabilmente il dubbio sull'essere uomini».
  • I segni di speranza sono in quanto sperimentato alla Giornata Mondiale della Gioventù e in alcuni viaggi internazionali, soprattutto in Africa.

Attualità 23_12_2011
il papa alla curia romana
Per Benedetto XVI da qualche anno l'incontro annuale con la Curia Romana per gli auguri di Natale è l'occasione per un riassunto dei temi centrali del suo Magistero nell'anno trascorso. Questi discorsi costituiscono ormai un vero e proprio nuovo genere letterario, utilissimo a chi vuole seguire sistematicamente il Magistero.

Il 22 dicembre il Papa è partito da un insegnamento ripetuto più volte durante l'anno: la radice della crisi economica è la crisi morale. In particolare, «l’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente. Anche se valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti sono in gran parte indiscussi, manca spesso la forza motivante, capace di indurre il singolo e i grandi gruppi sociali a rinunce e sacrifici. La conoscenza e la volontà non vanno necessariamente di pari passo. La volontà che difende l’interesse personale oscura la conoscenza e la conoscenza indebolita non è in grado di rinfrancare la volontà».

Ma dietro la crisi morale c'è una crisi ancora più fondamentale, che è la crisi della fede. Dalla crisi economica e morale «emergono domande molto fondamentali: dove è la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinché il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita».

Tutti i viaggi internazionali di quest'anno - Croazia, San Marino, Spagna, Germania, Bénin  - così come l'incontro interreligioso di Assisi - che si è svolto, ha sottolineato Benedetto XVI, all'insegna dell'«amore per la verità» -, l'indizione dell'Anno della Fede e i discorsi per l'avvio dei lavori del nuovo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione vanno, ha detto il Papa, nella stessa direzione. Partono da un dato che riguarda soprattutto la vecchia Europa: «Con preoccupazione, non soltanto fedeli credenti, ma anche estranei osservano come le persone che vanno regolarmente in chiesa diventino sempre più anziane e il loro numero diminuisca continuamente; come ci sia una stagnazione nelle vocazioni al sacerdozio; come crescano scetticismo e incredulità».

Che fare? «Esistono infinite discussioni sul da farsi perché si abbia un’inversione di tendenza. E certamente occorre fare tante cose. Ma il fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci».

E tuttavia ci sono segni di speranza. Anzitutto, «l'incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile», ma s'incontrava una Chiesa viva, gioiosa, in crescita, «una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa».

Ma «una medicina contro la stanchezza del credere è stata anche la magnifica esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) a Madrid. È stata una nuova evangelizzazione vissuta». «Sempre più chiaramente - ha detto il Papa - si delinea nelle Giornate Mondiali della Gioventù un modo nuovo, ringiovanito, dell’essere cristiani che vorrei tentare di caratterizzare in cinque punti».
Questi cinque punti, ha spiegato il Pontefice, sono emersi sia dalla Giornata Mondiale di Madrid sia, in modi diversi, dagli altri viaggi.

Il primo punto è «una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa». Quando ci troviamo tra cattolici veniamo «da tutti i continenti, e, pur non essendoci mai visti prima, ci conosciamo. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia. Separazione e diversità esteriori sono relativizzate». La grande unità del genere umano e della Chiesa «è qui non soltanto un’idea, ma diventa una reale esperienza comune che crea gioia».

Secondo punto: «Da questo nasce poi un nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani».  Come hanno dimostrato i volontari della GMG, «con il proprio tempo l’uomo dona sempre una parte della propria vita. Alla fine, questi giovani erano visibilmente e "tangibilmente" colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo donato aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita».  Guardando i volontari  e i tanti giovani che avevano fatto grandi sacrifici per andare alla GMG,  il Pontefice ha pensato - ha confidato - che essi «avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perché questo era stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo; neppure perché così si sfugge al pericolo dell’inferno. Non l’avevano fatto perché volevano essere perfetti. Non guardavano indietro, a se stessi».

Benedetto XVI ha voluto evocare « l’immagine della moglie di Lot che, guardando indietro, divenne una statua di sale. Quante volte la vita dei cristiani è caratterizzata dal fatto che guardano soprattutto a se stessi, fanno il bene, per così dire, per se stessi! E quanto è grande la tentazione per tutti gli uomini di essere preoccupati anzitutto di se stessi, di guardare indietro a se stessi, diventando così interiormente vuoti, "statue di sale"! Qui invece non si trattava di perfezionare se stessi o di voler avere la propria vita per se stessi. Questi giovani hanno fatto del bene – anche se quel fare è stato pesante, anche se ha richiesto sacrifici –, semplicemente perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello», Tutti possono vivere questa gioia, non solo chi è stato alla GMG. «Occorre soltanto osare il salto. Tutto ciò è preceduto dall’incontro con Gesù Cristo, un incontro che accende in noi l’amore per Dio e per gli altri e ci libera dalla ricerca del nostro proprio "io"».  E lo stesso spirito - afferma il Papa - si ritrova in tanti aspetti della giovane cristianità africana del Bénin.

Il terzo elemento, che «in modo sempre più naturale e centrale fa parte delle Giornate Mondiali della Gioventù e della spiritualità da esse proveniente, è l’adorazione». Già nel viaggio del 2010 in Gran Bretagna a Hyde Park «migliaia di persone, in maggioranza giovani, hanno risposto con un intenso silenzio alla presenza del Signore nel Santissimo Sacramento, adorandolo. La stessa cosa è avvenuta, in misura più ridotta, a Zagabria e, di nuovo, a Madrid dopo il temporale che minacciava di guastare l’insieme dell’incontro notturno, a causa del mancato funzionamento dei microfoni». Questo non è poco significativo. «Dio è onnipresente, sì. Ma la presenza corporea del Cristo risorto è ancora qualcosa d’altro, è qualcosa di nuovo». «L’adorazione è anzitutto un atto di fede – l’atto di fede come tale. Dio non è una qualsiasi possibile o impossibile ipotesi sull’origine dell’universo. Egli è lì. E se Egli è presente, io mi inchino davanti a Lui. Allora, ragione, volontà e cuore si aprono verso di Lui, a partire da Lui. In Cristo risorto è presente il Dio fattosi uomo, che ha sofferto per noi perché ci ama. Entriamo in questa certezza dell’amore corporeo di Dio per noi, e lo facciamo amando con Lui. Questo è adorazione, e questo dà poi un’impronta alla mia vita».

Il quarto elemento della GMG e dei viaggi pontifici in genere è «la presenza del Sacramento della Penitenza che appartiene con naturalezza sempre maggiore all’insieme». Quando in questi grandi eventi ci confessiamo, «riconosciamo che abbiamo continuamente bisogno di perdono e che perdono significa responsabilità. Proveniente dal Creatore, esiste nell’uomo la disponibilità ad amare e la capacità di rispondere a Dio nella fede. Ma proveniente dalla storia peccaminosa dell’uomo (la dottrina della Chiesa parla del peccato originale) esiste anche la tendenza contraria all’amore: la tendenza all’egoismo, al chiudersi in se stessi, anzi, la tendenza al male. Sempre di nuovo la mia anima viene insudiciata da questa forza di gravità in me, che mi attira verso il basso. Perciò abbiamo bisogno dell’umiltà che sempre nuovamente chiede perdono a Dio; che si lascia purificare e che ridesta in noi la forza contraria, la forza positiva del Creatore, che ci attira verso l’alto».

Quinta caratteristica della GMG e di altri grandi eventi è la gioia. «Da dove viene? Come la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è, secondo il mio parere, la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato». Il Papa cita il filosofo Josef Pieper (1904-1997), il quale, «nel suo libro sull’amore, ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un "tu", l’"io" può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’"io" può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso».

Oggi si parla molto di accoglienza, talora riducendola a un'idea astratta o a un'ideologia. In realtà «questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata». Abbiamo bisogno di essere accolti da Dio. «Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. È bene essere una persona umana».

Qui si gioca la partita decisiva. «Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta. Il dubbio circa l’esistenza umana diventa sempre più insuperabile. Laddove diventa dominante il dubbio riguardo a Dio, segue inevitabilmente il dubbio circa lo stesso essere uomini. Vediamo oggi come questo dubbio si diffonde. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani». Alla fine, «solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili». L'uomo di fede lo sa. Per evitare la disperazione, dobbiamo tutti tornare a essere uomini di fede.