Il Natale spento dei nuovi puritani
Spegnere le luminarie non è un buon modo per rispettare i poveri. E nemmeno per celebrare il Natale, che è una festa di luminosità e di gioia. Come i nuovi puritani, che si scagliano contro il consumismo, stanno spegnendo la luce.
Mai come quest’anno (ed ogni anno è sempre peggio) Milano è stata più buia e tetra alla vigilia di Natale. E non stiamo parlando di un paesino di provincia, che magari è regolarmente e bellamente arredato di luminarie nei limiti del suo possibile. Stiamo parlando della capitale economica d’Italia, quella che dovrebbe essere l’emblema della sua magnificenza.
Ebbene, a parte l’albero di fronte al Duomo e qualche striscione luminoso, a parte la Galleria che diventa blu di lucine led e la Rinascente con la sua cascata di luce, la capitale meneghina è veramente nera. I negozianti, coi loro soldi, volevano iniziare a comprarsele da soli, le luminarie. Il sindaco Giuliano Pisapia (con la sua giunta di centro-sinistra), per reprimerli, ha promesso multe per chiunque avesse acceso gli addobbi prima del 30 novembre. Se il “mancano i soldi” è la scusa ufficiale, a questo punto cade. C’è quasi una ragione etica dietro a questa scelta: è l’etica del “non si devono umiliare i poveri”. Con le luminarie? Se una persona è già povera e disperata e vede buio ovunque, cosa vogliamo farle? Spingerla a suicidarsi?
Eppure la retorica anti-consumista porta a questo. Porta al buio, al brutto, al tetro, alla rovina estetica, prima ancora che morale, di quella che è la festa della nascita di Cristo, dunque un momento di grande felicità per ogni cristiano.
Si è forse creata l’idea che spendendo soldi per i regali si sottraggano risorse ai poveri? I bambini che muoiono di fame non muoiono per colpa del regalo che stai comprando. Non c’è alcuna relazione tra le due cose. E istintivamente verrebbe da pensarlo. È solo dopo anni e anni di distorsioni intellettuali che si può pensare che quel che compro io è tolto a qualcun altro, addirittura su scala planetaria (quando si parla di fame nell'Africa). In realtà l’atto di spendere di più nel periodo natalizio per comprare regali e preparare un pranzo come si deve, non toglie nulla a nessuno, ma arricchisce tutti. Arricchisce sicuramente i negozianti. E in un periodo di crisi dei consumi, dare soldi ai negozianti è un atto di carità. Arricchisce chi partecipa alla catena di produzione e distribuzione dei regali. Arricchisce l’ingegno di chi, a monte della produzione e della distribuzione, deve pensare a cosa potrà andare più di moda nel Natale del prossimo anno. E in un momento in cui le aziende chiudono a raffica e più di 6 milioni di italiani sono disoccupati, anche questi sono altri atti di carità.
Arricchisce chi riceve il regalo, perché oltre al valore del regalo in sé, si aggiunge il valore dato dall’entusiasmo di aver ricevuto un regalo da un’altra persona, in segno di stima o di affetto. Di fatto, a spendere è solo chi compra il regalo, ma non si tratta di soldi buttati, bensì di una spesa che ha un ritorno affettivo di grande valore. Se vogliamo regalare qualcosa a una persona “cara”, è perché quest’ultima costituisce un valore. Sarebbe un errore considerare la rinuncia al regalo come un atto di puro altruismo o peggio di condivisione dei beni. Ai puritani inglesi che condannavano il Natale come una festa pagana, consumista ed egoista, uno scrittore inglese profondamente cattolico quale Gilbert Keith Chesterton rispondeva che: ebbene sì, “donare non vuol dire affatto mettere in comune: anzi è l’opposto del mettere in comune. La condivisione è basata sull’idea che non vi sia proprietà, o almeno che non vi sia proprietà personale. Ma donare qualcosa a un’altra persona è un atto basato sulla proprietà personale”.
Ebbene, la retorica anti-consumista tipica di certi moralismi della nostra sinistra, il buio di questi giorni piovosi e freddi milanesi, ricordano proprio lo spirito di quei puritani. E hanno la stessa idea di fondo: che la proprietà non debba esistere, che sia un furto. Che facendo doni, o anche carità, si commetta un abuso contro i più poveri. Questi sono motivi ideologici, non religiosi. I puritani che confondono la religione con il materialismo, condannano il consumismo natalizio perché distrae dal “vero significato del Natale”. Ma non è certo l’atto di comprare regali, né il voler essere felici, che distrae dal suo significato: c’è chi non compra nulla e non mangia nulla, proprio perché il Natale, per lui, significa nulla. La distrazione dal significato del Natale può riguardare tanto chi compra regali quanto chi non spende nulla per libera scelta. Al contrario chi vive il significato del Natale troverà più gusto nel fare un dono alle persone care, siano esse parenti, amici o i senzatetto.
E chi, a sostegno del neo-pauperismo propone l’immagine di Nostro Signore nato in una stalla, dovrebbe perlomeno riflettere sul fatto che non fu una scelta personale: Giuseppe, che era in viaggio con Maria, avrebbe voluto trovare posto in un albergo, furono gli uomini a costringerlo lì.