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I DATI ONU

Il mondo senza figli, ma non ce lo dicono

Il Rapporto biennale dell’Onu sulla popolazione mondiale svela che la popolazione mondiale declina smentendo tutte le catastrofiche previsioni da cui siamo stati sommersi. Stiamo insomma andando incontro a una crisi demografica planetaria, ma l’ordine costituito cerca di non farcelo sapere. Avendo per decenni diffuso la paura di un boom demografico irrefrenabile, ammetterlo equivarrebbe infatti smentire i presunti esperti oppure di aver ingannato l’intera umanità.

Editoriali 18_07_2017

In queste settimane, sullo spunto della pubblicazione del Rapporto biennale dell’Onu sulla popolazione mondiale, si sono fatti i titoli sulla persistente crescita del numero degli abitanti dell’Africa. La vera notizia-chiave che si ricava dal Rapporto è però un’altra, di cui si parla poco o niente: nel suo insieme la popolazione mondiale declina smentendo tutte le catastrofiche previsioni da cui siamo stati sommersi sin dagli anni ’60 del secolo scorso.

In metà degli Stati del mondo il tasso di fertilità è oggi inferiore a due nati per donna, ovvero si situa al di sotto del cosiddetto “livello di sostituzione”. C’è poi da osservare che, pur restando ancora molto alto, il tasso di fertilità sta diminuendo pure in Africa. E’ sceso infatti da 5,1 nati per donna nel 2000-2005 ai 4,7 per cento nel 2010-2015.

Stiamo insomma andando incontro a una crisi demografica planetaria, ma l’ordine costituito cerca di non farcelo sapere. Avendo per decenni diffuso la paura di un boom demografico irrefrenabile, ammetterlo equivarrebbe infatti a riconoscere che i presunti esperti citati a sostegno di tale tesi si erano clamorosamente sbagliati; oppure (il che è peggio ancora) hanno voluto deliberatamente ingannare l’intero mondo.

L’infondatezza di tali previsioni era peraltro già stata denunciata da decenni (si veda tra gli altri Il complotto demografico di Riccardo Cascioli, edito da Piemme nel 1996), senza però sin qui trovare alcuna eco sulla stampa più diffusa. D’altra parte già nel 1951 nel suo magistrale Geopolítica da Fome (Geopolitica della fame) il brasiliano Josué De Castro aveva dimostrato che la fame nel mondo dipende non da insufficienza di risorse alimentari bensì da squilibri nella loro distribuzione. Ciononostante così forte è la pressione di quella che si potrebbe definire la lobby neo-malthusiana che tuttora il proverbiale “uomo della strada” è per lo più convinto che sulla terra siamo in troppi e troppo ingombranti, e dovremmo fare di tutto per diventare meno.

Tutta la storia dimostra che da un lato all’aumento della popolazione umana ha sempre corrisposto la scoperta e la valorizzazione di nuove risorse sia materiali che tecniche; e dall’altro che il rapporto tra popolazione e risorse può squilibrarsi localmente e nel breve periodo, ma ogni volta ben presto si riequilibra. Beninteso, l’uomo è un essere  consapevole e responsabile (unico in questo fra tutti i viventi); quindi tale occorre sia anche la sua procreazione. Dovrebbe però essere ovvio che gli uomini non sono numeri; non sono elementi perfettamente interscambiabili. Pretendere pertanto di fare demografia soltanto con la matematica è innanzitutto una colossale sciocchezza. Un infante non è intercambiabile con un ultraottantenne, né tanto meno ogni uomo o donna è una pedina in ogni momento spostabile da un punto all’altro della terra. Dovrebbe essere ovvio ma vale la pena di ridirlo: viviamo infatti in un’epoca in cui riaffermare le ovvietà diventa sempre più necessario.

L’esperienza dimostra che quando si prospettano squilibri tra popolazione e risorse il modo più efficiente per porvi rimedio consiste  nel tirare la leva dello sviluppo e non quella del blocco delle nascite. Occorre cioè  fare il contrario di ciò cui oggi sta puntando l’Onu, tramite lo UN Population Fund, con il sostegno della Bill and Melinda Gates Foundation. Il fatto che negli anni ’60-’90 del secolo scorso le “Tigri asiatiche” si siano sviluppate mentre applicavano politiche demografiche del genere viene spesso addotto come prova della giustezza di tale teoria. Varrebbe però la pena di considerare che in quei medesimi anni analoghe politiche non hanno sortito analoghi effetti in America Latina: un fatto  che mette in dubbio la sussistenza di un rapporto di causa/effetto tra i due fenomeni.

 

Non solo: da qualche tempo si moltiplicano gli studi da cui risultano gli effetti a lungo termine negativi di tali politiche anche sulle “Tigri asiatiche”, oggi tutte alle prese con il problema del declino demografico. Il Giappone vede la propria popolazione ridursi in valore assoluto già da otto anni, e le politiche messe in atto dal governo per invertire tale tendenza non hanno sin qui avuto alcun effetto. Il più grave di tutti, per le sue dimensioni ma non solo, è poi il caso della Cina, il Paese del mondo dove attualmente la popolazione sta invecchiando più rapidamente. In Cina infatti, dove non ci sono pensioni sociali, sono i figli o i nipoti a sostenere gli anziani: un onere che decenni di “politica del figlio unico” sta rendendo insostenibile con conseguenze sociali ed economiche che potranno essere drammatiche.