Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

11 SETTEMBRE

Il mondo islamico è a un bivio

L'attacco dell'11 settembre 2001 fu l'espressione più esplicita del rifiuto islamico dell'Occidente. Allora, il terrorismo di Al Qaeda venne condannato con parole ambigue dai leader religiosi musulmani. A cui non seguirono i fatti. Adesso la violenza dell'Isis, potrebbe cambiare qualcosa nel mondo musulmano.

Editoriali 11_09_2014
Jihadista

Gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington, dell’11 marzo 2004 a Madrid, del 7 luglio 2005 a Londra rimarranno un momento indelebile non solo nella memoria di tutti noi, ma soprattutto hanno rappresentato una svolta nei rapporti tra mondo islamico e occidente. In modo particolare l’attacco alle Torri Gemelle è stato vissuto come un atroce, quanto inaspettato, colpo inferto al cuore dell’Occidente in nome dell’islam.

Nel 1798 era stato invece Napoleone Bonaparte, quindi l’Occidente, a sbarcare in Egitto dando vita a uno dei principali momenti di riflessione in seno al mondo islamico e provocando un vero choc culturale. Il fatto che fosse giunto non solo con le armi, ma anche con una missione di ingegneri e studiosi, presentò agli egiziani gli avanzamenti scientifici dell’Occidente. Fu così che si assisté alla triplice reazione che da sempre, sin dall’arrivo del pensiero greco e della filosofia a Baghdad, accompagna i rapporti tra Occidente e mondo islamico: accettazione totale, rifiuto totale e atteggiamento di chi sosteneva che approccio occidentale e islam potessero trovarsi a metà strada.

Il rifiuto totale dell’Occidente corrispose a quella chiusura a livello culturale, ma soprattutto teologico che vedeva in qualsiasi influsso occidentale un fattore negativo. Dopo la breve conquista napoleonica, durata solo quattro anni, l’epoca coloniale e soprattutto la spartizione del Medio Oriente dopo la Prima guerra mondiale e la nascita dello Stato di Israele, dopo la Seconda, andarono ad alimentare l’ideologia anti-occidentale nel mondo arabo, in particolare, e nel mondo islamico in generale.

L’11 settembre, se vide gli Stati Uniti e il mondo occidentale sotto shock, provocò un’ennesima reazione/riflessione in seno all’islam. In modo particolare iniziarono a levarsi dai vari esponenti dell’islam le condanne di quanto accaduto. Si trattava di espressioni di condanna dell’accaduto poiché non corrispondente i requisiti del jihad.

Il 14 settembre 2001, ad esempio, in un comunicato pubblicato dal quotidiano Al-quds al-‘arabi si leggeva: “I sottoscritti, responsabili delle comunità islamiche, firmatari del presente comunicato, sono preoccupati dagli eventi di giovedì 11 settembre negli Stati Uniti d’America, che hanno ucciso, distrutto e attaccato civili innocenti. Esprimiamo il nostro cordoglio e il nostro rammarico. Condanniamo con forza e determinazione questi eventi che contrastano ogni precetto umano e islamico, derivante dall’islam che vieta di colpire gli innocenti.”

Parole che, qualora decontestualizzate, lette con il nostro codice occidentale e soprattutto senza soffermarsi sul pensiero e l’appartenenza ideologica dei firmatari, potrebbero sembrare soddisfacenti e rassicuranti. Sfortunatamente quando si tratta di condanna del terrorismo non ci si può limitare alla superficie, anzi ci si deve calare nelle parole.

Nel documento appena citato, di fatto la parola terrorismo non compare e viene sostituita da una generica “condanna per l’uccisione di innocenti”. Inoltre per potere interpretare correttamente il messaggio di allora, così come dichiarazioni più recenti, è necessario prestare estrema attenzione all’identità dei firmatari. Ai primi posti figurano: Mustafa Mashhur, ai tempi guida dei Fratelli musulmani in Egitto; Yusuf al-Qaradawi, lo shaykh teologo di riferimento dei Fratelli musulmani, presidente dell’Unione internazionale degli ulema e del Consiglio europeo per la fatwa e la ricerca con sede a Dublino; Husein Ahmad, emiro della Gamaat al-islamiyya in Pakistan; lo shaykh Ahmed Yassin, fondatore di Hamas e, ultimo ma non meno significativo, Rashid al-Ghannushi, leader del partito tunisino al-Nahdha. Sono tutti rappresentanti dell’ala estremista dell’islam, legati al movimento dei Fratelli musulmani, fautori di una concezione ben precisa e limitata sia del termine “terrorismo”, che distinguono dalla “resistenza”, sia dell’espressione “vittime innocenti”.

Il 27 settembre 2001 Yusuf al-Qaradawi si premurò di emettere una fatwa, un responso giuridico islamico, in cui si dichiarava: “Tutti i musulmani dovrebbero unirsi contro coloro che terrorizzano le persone che sono in pace e che spargono il sangue di coloro che non sono in guerra senza un motivo previsto dalla legge islamica”.

Anche in questo caso è necessario domandarsi quali siano i motivi previsti dalla legge islamica.

La risposta fu fornita da al-Qaradawi stesso nel mese di settembre 2004, durante un convegno del sindacato della stampa egiziano al Cairo, durante il quale ha espresso il proprio giudizio sullo statuto dei civili americani in Iraq: «tutti gli americani presenti in Iraq sono combattenti, quindi è un dovere religioso combatterli sino a quando non lasceranno la nazione». Non solo ma lo shaykh ha tenuto a specificare che «non esiste differenza alcuna tra personale militare statunitense e civili in Iraq perché entrambi hanno invaso la nazione […] e i civili si trovano in luogo per servire le forze occupanti». Quindi personale militare e civili americani in Iraq non rientravano nella definizione di “vittime innocenti”.

Lo stesso ragionamento venne avanzato al momento di condannare attentati suicidi in Israele. L’8 luglio 2004, intervistato dalla Bbc, al-Qaradawi affermava: «Non si tratta di suicidio, si tratta di martirio nel nome di Dio, i teologi e i giurisperiti islamici hanno discusso la questione. Considerandola una forma di jihad. […] Le donne israeliane non sono come le donne nella nostra società perché le donne israeliane sono militarizzate. Inoltre, ritengo questo tipo di operazione di martirio un’indicazione della giustizia di Dio Onnipotente. Iddio è giusto. Attraverso la sua infinita giustizia ha dato al debole quello che i potenti non possiedono, ovvero la capacità di trasformare i loro corpi in bombe, come fanno i palestinesi».

Ebbene, il contenuto del termine “terrorismo” per l’estremismo islamico va tenuto presente ancora, e soprattutto, innanzi a quanto sta accadendo in Medio Oriente. Il 29 giugno scorso, l’annuncio del Califfato da parte dell’ISIS ha scatenato un’ennesima reazione a catena da parte dell’islam organizzato e istituzionalizzato. L’Unione Internazionale degli studiosi islamici (IUMS) ha annunciato la nullità del califfato di al-Baghdadi.

Le azioni efferate dell’ISIS, le persecuzioni delle minoranze, le decapitazioni hanno provocato, proprio come a seguito dell’11 settembre 2001, le condanne da parte del mondo islamico. La differenza rispetto al passato risiede nel fatto che ora si tratta di una questione prevalentemente islamica. La lotta al terrorismo dell’ISIS vede due schieramenti: quello capitanato dai Fratelli musulmani che aspirano a loro volta al califfato e quello guidato dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti che si oppone all’ISIS e ai Fratelli musulmani.

In questo frangente l’elemento religioso ritorna ad essere fondamentale, trattandosi di una questione interna all’islam. Il ruolo di al-Azhar è chiave. La visita del Gran Mufti d’Egitto Shawqi Allam al Consiglio d’Europa ne è la dimostrazione. Allam ha ribadito l’estraneità dai precetti islamici del califfato dell’ISIS e l’impegno personale, al fianco dell’Arabia Saudita, contro il terrorismo. È evidente che il mondo islamico si trovi attualmente innanzi a un bivio, ma questo bivio dovrebbe passare da una profonda autocritica dei testi fondanti dell’islam primo fra tutti il testo coranico. L’unica soluzione per l’islam è quella di accettare la contestualizzazione del testo coranico e optare una volta per tutte per l’abrogazione delle sure medinesi, ovvero quelle più ancorate all’epoca di rivelazione. Teologi musulmani in passato hanno avanzato questa idea e purtroppo sono stati condannati d’apostasia sia in Egitto che in Arabia Saudita.

Solo con una presa di posizione coraggiosa e sincera il mondo islamico potrà evitare a se stesso e al mondo intero altri 11 settembre.