Il modello Roma olimpica è morto da un pezzo
I lavori vanno fatti non per le Olimpiadi, ma in occasione delle Olimpiadi. E il controllo tolto alle cricche locali. Si fece così per i Giochi del '60 e fu un successo di efficienza, che trasformò la Capitale in una città moderna. Modello replicato da Barcellona. Con questa candidatura i soliti noti avevano già organizzato tutto: uomini giusti ai posti giusti in un sistema trasversale di interessi e lucrosi affari. Giusto fermarsi.
Nel 1960 furono celebrate le Olimpiadi a Roma. Nell’occasione nella città furono realizzati numerosi grandi impianti sportivi, il nuovo aeroporto di Fiumicino, il Villaggio Olimpico, e sopratutto calibrati e importantissimi interventi sulla viabilità: la Via Olimpica, il viadotto di Corso Francia, i sottopassi dei Lungotevere e del Muro Torto tanto per cominciare. Tali interventi resero Roma una città vivibile e moderna; l’incuria ultracinquantenne seguita ad essi l’ha resa invivibile. Il “modello Roma”, realizzare interventi non “per le Olimpiadi”, ma “in occasione delle Olimpiadi”, fu preso a paradigma da Barcellona per i Giochi del 1992, dai quali la città catalana, finallora sonnacchiosa e indolente, uscì con il grande slancio di una metropoli attiva e moderna.
Tutte le opere realizzate per il 1960 furono progettate e compiute in tre anni, e senza scandali, perché un governo onesto aveva sottratto l’iniziativa e il controllo del sistema al potere romano, allora come ora inefficiente e corrotto, accentrandolo in un gruppo di lavoro formato da persone oneste oltre che professionalmente valide.
Per le ventilate Olimpiadi del 2024 finalmente è stata formalizzata la decisione: Roma non corre. In diverse occasioni avevo auspicato che la diatriba Olimpiadi si – Olimpiadi no si concludesse in questo senso. Non sono certo un sostenitore del M5S o del Sindaco: dell’uno e di Grillo do un giudizio totalmente negativo, l’altra non la conosco né mi interessa conoscerla. Tuttavia nel caso specifico delle amministrative di Roma erano - per l’insipienza del centrodestra – erano l’unica scelta utile per rompere l’incrostazione di ladrocinio e malaffare dipendente dalla cosca di potere nazionale che avvolge il Comune; Tale incrostazione sarebbe stata perpetuata da una vittoria di Giachetti e dalla conseguente continuazione dell’egemonia sul Comune del PD, che la gestisce nell’interesse della loggia della quale parlerò; e tenete presente che il Comune è di gran lunga la più grande azienda del Lazio, sia per numero di dipendenti che, soprattutto, per volume di spesa.
Ma gli uomini del PD agiscono, in questo come in tanti altri contesti, in quanto parte di un sistema complesso di alleanze e complicità, che trova le sue radici – discontinue dapprima, poi man mano più solide, infine cementificate e oggi blindate – nel trasversalismo determinato dalla fine della distinzione effettiva tra maggioranza e opposizione, dalla fine degli anni sessanta.
PSI e poi PCI fecero allora pagare caro alla DC l’appoggio parlamentare e politico ricercato e necessario: ruoli nell’amministrazione pubblica dove possibile, incarichi nelle società di Stato, affidamento di appalti e forniture a imprenditori amici, e via peculando. Mentre si sviluppavano questi rapporti, si stringevano anche quelli interpersonali tra le persone che li gestivano; gli interessi (cioè i soldi) in ballo erano ingenti, e tutti ritenevano che fosse meglio cederne una parte ai complici che rinunziare al tutto, come sarebbe successo in un regime di chiara contrapposizione.
Cominciò così a nascere e crescere una “loggia” di persone che, mantenendo l’affiliazione di origine, davano importanza maggiore agli affari che promettevano maggiori introiti che all’interesse delle proprie organizzazioni. Ne facevano parte alcuni politici, membri eminenti del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti (molti dei quali poi collocati ai vertici delle amministrazioni come Capi di Gabinetto o vertici di altri uffici ministeriali), magistrati di varia caratura, uomini di fiducia dei potenti più importanti pratici di rapporti con le istituzioni, dirigenti apicali delle varie amministrazioni, giornalistucoli, qualche banchiere, pochi finanzieri, alcuni alti gradi militari (specialmente della Finanza e dei servizi), persone senza arte né parte adibite alla bassa manovalanza, qualche signora di piccola virtù, imbroglioni, usurai, addirittura qualche ecclesiastico indegno e via dicendo. Il Sommo Padre Dante avrebbe detto che tra questi bei tomi s’annidano “ipocresia, lusinghe e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia, ruffian, baratti e simile lordura” e, senza neanche pensarci troppo, avrebbe schiaffato tutti nel secondo cerchio dell’Inferno.
Questi bei tipi sono per lo più caratterizzati da una certa preparazione tecnico amministrativa (essenziale per preparare gli impicci), nessun senso dello Stato, e da una scala dei valori che prevede al vertice un solo impegno: ognuno arraffi tutto quello che può, per sé e per i complici! Seconda regola generale, mantenere ad ogni costo segretezza e solidarietà.
Dove operava, e opera, questo sistema? Dovunque ci sia flusso di denaro, cioè dappertutto. Come hanno dimostrato le indagini di pochi magistrati indipendenti, la loggia è presente negli appalti per opere grandi o piccole (ci lavora il gruppo delle costruzioni, il più cospicuo), nelle forniture di beni e servizi a soggetti pubblici e/o privati, nella sanità, nel favorire le carriere degli affiliati o dei malleabili e sfavorire quelle degli indipendenti. E nella gestione di eventi importanti.
Per le Olimpiadi i nostri amici avevano organizzato tutto: piazzato gli uomini giusti ai posti giusti; predisposto un programma sul quale il sistema avrebbe lucrato centinaia di milioni; coinvolto i livelli di governo che non potevano essere scavalcati, a partire da Palazzo Chigi; e insomma predisposto tutto per il meglio, ma non messi di traverso. E bloccare tutto oggi significa porre le premesse perché – se continuano ad operare persone oneste e disposte ad usare i poteri dei quali dovranno essere dotate – il sistema del malaffare cominci a sfaldarsi.
Non voterò mai per Grillo o per i suoi accoliti, che sono per lo più una sconfortante congrega di improvvisatori incapaci e inconcludenti; ma, viva la faccia, questa volta l’hanno fatta giusta!