Il mistero degli arazzi dell'Unicorno
Conservati ai Cloisters di New York, i sette arazzi della Caccia all'Unicorno sono preziosi e ricchi di simboli. Per decifrarli, scegliamo la lettura che dell'unicorno – figura di Cristo – fece già santa Ildegarda di Bingen.
The Cloisters è la sezione del Metropolitan di New York dedicata all’arte e all’architettura europea medievale. Si trova a Manhattan, nella parte più a nord di Fort Tryon Park. Tra i suoi pezzi più preziosi ci sono i sette arazzi della Caccia all’Unicorno, un ciclo di opere che risale alla fine del XV secolo e presenta aspetti misteriosi. La loro origine si confonde con la leggenda, i loro simboli si prestano ad interpretazioni affascinanti.
Gli arazzi furono proprietà della famiglia francese dei La Rochefoucauld fino all’acquisto da parte di John D. Rockefeller Jr. (1839-1937), considerato l’uomo più ricco di tutti i tempi, nel 1922. Ma non si sa dove esattamente siano stati tessuti – si pensa a Bruxelles, su cartoni parigini – e per chi. La Rivoluzione francese, non ravvisandovi simboli della monarchia – e non comprendendone neppure il significato religioso –, non distrusse gli arazzi, ma lasciò che se ne appropriassero contadini locali nel saccheggio del castello dei La Rochefoucauld a Verteuil. Furono usati per anni come coperte o teli per coprire prodotti agricoli, prima che i La Rochefoucauld li ritrovassero e li riacquistassero nel secolo XIX. Che, tranne uno, siano sopravvissuti in condizioni tutto sommato eccellenti testimonia la straordinaria qualità degli arazzi, da molti considerati i migliori della loro epoca se non dell’intera storia dell’arte.
Esiste tutta una letteratura sulle lettere A-E che si ripetono in tutti gli arazzi, e che secondo l’interpretazione prevalente dovrebbero indicare le iniziali dei coniugi per il cui matrimonio furono creati, che però non sono stati identificati con esattezza. Le lettere potrebbero dunque avere anche un significato simbolico, e la E – che appare quasi sempre rovesciata – potrebbe alludere alla lettera greca omega, così che la coppia di lettere, alfa e omega, potrebbe costituire un richiamo a Gesù Cristo che è appunto l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine di tutte le cose.
Non è neppure chiaro in quale sequenza vadano letti i sette arazzi, di uno dei quali restano solo due frammenti. L’ipotesi più recente – non l’unica – è che non sia possibile una lettura dell’insieme totalmente coerente. Benché prodotti per lo stesso committente, farebbero parte di almeno due cicli diversi. Il primo ciclo – che forse comprendeva all’origine altri arazzi poi andati perduti – consta di due scene e rappresenta la caccia all’unicorno come allegoria dell’amore. Il secondo ciclo di quattro scene rappresenta invece la stessa caccia all’unicorno come allegoria della passione di Gesù Cristo, ed è preceduto dall’arazzo di cui restano solo i due frammenti, che presenta un’allegoria dell’incarnazione.
Se pure accettiamo questa ipotesi, non possiamo però considerare i due cicli come interamente separati. I simboli medievali possono sempre essere oggetto di letture molteplici, e l’amore umano richiama l’amore di Cristo per la Chiesa. Inoltre un momento unificante deriva dal fatto che tutto il tema dell’unicorno e dei suoi significati è stato approfondito da santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), una suora benedettina tedesca che il 7 ottobre 2012 è stata proclamata da Benedetto XVI dottore della Chiesa e indicata come guida per l’Anno della fede, autrice di numerosi testi particolarmente influenti lungo tutto il corso del Medioevo.
Non c’è dubbio che Ildegarda credesse che gli unicorni esistessero davvero, e che la polvere tratta dal loro corno avesse proprietà medicinali. Benché a partire dal Rinascimento, e ancor più nel secolo XIX, si sia voluto vedere in questa diffusa convinzione un tipico esempio di credulità medievale, molti dei resoconti antichi sugli unicorni si riferiscono con ogni probabilità a rinoceronti, e la medicina tradizionale cinese afferma ancora oggi che la polvere di corno di rinoceronte ha proprietà terapeutiche. Inoltre il modo con cui il Medioevo descriveva il corno dell’unicorno porta a concludere che conoscesse il cetaceo artico chiamato narvalo, il cui «corno» (in realtà un dente) ha l’andamento a torciglione tipico delle raffigurazioni medievali degli unicorni, e che spesso i navigatori chiamavano in effetti «unicorno di mare». I «corni di unicorno» inventariati tra le proprietà di medici – che ne attestano l’efficacia – e perfino di Papi del Medioevo (e oltre) vengono nella maggior parte dei casi o dal rinoceronte o dal narvalo.
Se dunque Ildegarda, che s’interessa di medicina, crede alle virtù medicinali del corno del mitico animale, queste virtù per lei derivano ultimamente dalla circostanza che l’unicorno ha un legame misterioso con Gesù Cristo. In una delle sue visioni – che furono da lei sottoposte a san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e ai Papi dell’epoca, i quali le approvarono –, raccolta nel Liber vitae meritorum, Ildegarda ci presenta un giudizio universale dove un Uomo ruota insieme alle quattro regioni della Terra mentre un unicorno sta vicino alla sua coscia sinistra ed è «intento a leccargli le ginocchia». Non è mancato chi ha interpretato l’unicorno di questa visione come una sorta di ministro o luogotenente di Gesù Cristo, e certo le visioni d’Idegarda sono aperte a più interpretazioni.
Tuttavia, la santa afferma con chiarezza che «l’uomo che vedi ruotare insieme alle quattro regioni del mondo indica Dio il quale, alla fine del mondo, mostrando la sua potenza insieme alle virtù celesti, percuoterà i confini della terra». E dunque l’unicorno è Gesù Cristo, il quale «lambendo le ginocchia dell’Uomo, cioè ricevendo da Dio il potere di giudicare, proclama che tutto il mondo deve essere purificato dal fuoco e dev’essere rinnovato in altro modo, e anche la malvagità degli uomini dev’essere sottoposta al suo giudizio, e ciò che c’è di santo nelle opere rette e buone degli uomini dev’essere portato a perfezione».
Ildegarda non inventa la lettura dell’unicorno come simbolo di Gesù Cristo, che ha una tradizione patristica e risale almeno a san Basilio il Grande (ca. 329-375). Ma la rende immensamente popolare, perché – con la sua esperienza in materia di medicina e rimedi naturali – mette in esplicito collegamento il fatto che l’unicorno rappresenti Gesù Cristo con le proprietà terapeutiche del suo corno, tanto conosciute nel Medioevo. Un simbolo che preesisteva al cristianesimo si trova così definitivamente trasformato in simbolo cristiano.
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