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Santi e gastronomia/ 26

Il missionario Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania

Si era appassionato delle missioni fin da adolescente. Diventò sacerdote, ma per anni non poté coronare il desiderio di partire. Vi riuscì dopo l’ingresso nei Maristi, andando missionario nell’isola di Futuna. Curò i malati, battezzò i bambini morenti, convertì tanti al cattolicesimo. Fu ucciso per la sua fede, divenendo il protomartire dell’Oceania.
LA RICETTA: INSALATA DI FUTUNA

Cultura 29_11_2021 English Español

Il comandante sale a bordo della barca ormeggiata di fianco alla nave francese di stanza a Tahiti, che si è spinta negli ultimi due giorni verso le isole di Wallis e Futuna. Sulla barca ci sono, oltre a lui, sei uomini del suo equipaggio e il prete di bordo: anche lui fa parte dell’equipaggio. Gli uomini stanno in silenzio, c’è sempre un po’ di apprensione quando ci si avvicina alle isole, soprattutto su una piccola imbarcazione come quella. Il comandante assapora la bellezza del posto che si avvicina sempre di più: mare turchese, sabbia bianca, palme verdi. I colori creano un’indicibile armonia. Ma si ricorda che lui non è lì per ammirare la natura, bensì per un compito gravoso e poco piacevole. Quei dannati selvaggi hanno ucciso con bestialità un missionario e lui e i suoi compagni hanno il compito di dare degna sepoltura ai resti. Guarda il volto del sacerdote di bordo, che si tiene dritto e col volto grave.

Finalmente sono vicini alla spiaggia e due marinai saltano in acqua e tirano a mano l’imbarcazione. Sulla spiaggia c’è un piccolo gruppo di indigeni. Hanno i fianchi cinti da una striscia di tessuto e portano delle croci di legno al collo. Senz’altro cristiani. Il comandante conosce l’opera dei Maristi, padri missionari arrivati dalla Francia per cristianizzare gli indigeni. Sa che hanno fatto grandi cose, spesso col sacrificio della propria vita, come in questo caso. Che spreco, pensa.

Scendono e il prete parla con gli indigeni: conosce il loro idioma. Si dirigono tutti verso il piccolo bosco di palme e camminano per un quarto d’ora. Si addentrano sempre di più nella vegetazione, il comandante ha caldo e il sudore gli sgocciola dai capelli biondi sulla fronte. Finalmente arrivano e due degli indigeni si mettono a scavare. Lavorano velocemente e poco dopo appaiono i lembi di un tessuto grezzo. Il comandante si aspetta di sentire il solito fetore tipico dei cadaveri, ma nessun odore si sprigiona dalla tomba di fortuna. Finalmente i due estraggono con cura e con aria reverenziale i poveri resti. Li posano su una lettiga fatta con due aste di legno e rami intrecciati e foglie di cocco. Il prete di bordo avanza e fa il segno della croce sul corpo, poi estrae dalla tasca un flaconcino di acqua benedetta e lo cosparge. Fa una preghiera, poi fa un segno agli indigeni. La piccola processione ripercorre il tragitto verso la barca ormeggiata. Il comandante si deterge la fronte e fa una preghiera muta per il corpo steso sulla lettiga.

Quel corpo apparteneva a padre Pierre Chanel (1803-1841), italianizzato in Pietro, missionario marista trucidato con crudeltà dagli indigeni che si opponevano alla cristianizzazione dell’isola. Nato nel 1803 in Francia, a Cuet, nella regione dell’Ain, Pietro Chanel proveniva da una famiglia modesta: era il quinto di otto figli. Da piccolo amava giocare a dire la Messa. Ebbe la fortuna di imbattersi in un sacerdote che aveva capito la fede profonda del ragazzo e la sua intelligenza fuori dal comune e che lo aiutò a discernere la sua vocazione. Padre Trompier, curato di un piccolo villaggio non lontano da Cuet, lo prese sotto la sua ala e gli impartì una buona educazione religiosa, oltre a fargli servire la Messa regolarmente.

Dopo la Prima Comunione, il 23 marzo 1817, si appassionò alla lettura delle lettere dei missionari inviate da monsignor Louis-Guillaume-Valentin Dubourg (1766-1833), di ritorno dall’America. Più tardi confiderà: “Questo è l’anno in cui il piano per andare nelle missioni lontane ha preso forma nella mia mente”. Alla sua Cresima, prese come secondo patrono san Luigi Gonzaga. Dopo gli studi al seminario minore, seguì quelli del seminario maggiore. Il 15 luglio 1827 fu ordinato sacerdote. Fu vicario ad Ambérieu-en-Bugey e parroco a Crozet, dove lasciò i ricordi più duraturi con la sua gentilezza. Il desiderio di viaggiare per evangelizzare le terre lontane rimaneva forte in lui. Ma il suo vescovo, monsignor Alexandre-Raymond Devie, si rifiutava di lasciarlo andare e Pietro obbediva.

A un certo punto, padre Chanel chiese al suo vescovo il permesso di entrare a far parte della Società di Maria, fondata nel 1822 da Jean-Claude Colin (1790-1875). Vi entrò nel 1831. Sperava che il Santo Padre autorizzasse quanto prima la loro costituzione come società missionaria indipendente e aprisse loro la via degli oceani… Nel frattempo, però, divenne docente al seminario minore di Belley, dove si trovavano studenti particolarmente affezionati a lui. In seguito alla decisione di papa Gregorio XVI di inviare missionari in Oceania, missione particolarmente affidata alla Società di Maria, Pietro Chanel si offrì volontario. Si imbarcò così a bordo della Delphine il 24 dicembre 1836, e lasciò Havre (Normandia) per raggiungere il Cile e poi l’Oceania.

Dopo quasi 11 mesi di viaggio, il 7 novembre 1837, padre Chanel si stabilì con il confratello Marie Nizier a Futuna, nella Polinesia occidentale, mentre un altro gruppo di maristi sbarcò a Wallis. Scoperta nel 1616 dagli olandesi, l’isola di Futuna fu soprannominata “il bambino perduto del Pacifico” da Bougainville nel 1768, perché non era mai stata evangelizzata. Le guerre tribali e la pratica del cannibalismo avevano ridotto la popolazione a qualche migliaio di persone quando Chanel approdò alle sue coste.

Chanel si impegnò con fede tra grandi difficoltà, occupandosi dei malati e conquistandosi l’appellativo di “uomo dal cuore gentile”. Niuliki, regnante all’epoca, inizialmente ebbe un atteggiamento amichevole verso il missionario, chiamandolo persino “tabù”, ovvero sacro e inviolabile. Per due anni, ospitato dal re Niuliki, padre Chanel imparò la lingua del posto e battezzò i bambini morenti. Seguendo l’esempio di san Paolo, scoprì l’isola, i suoi abitanti, i costumi e cercò di diventare con loro futuniano. Questo processo di inculturazione personale gli permise di iniziare la sua opera di evangelizzazione. Con pazienza e carità si prese cura dei malati e dei feriti. Agì per far finire le guerre tra tribù: in 18 mesi, permise ai due regni dell’isola di fare pace.

Ma in seguito alle varie conversioni alla fede cattolica (a Futuna meno che a Wallis, che era diventata interamente cristiana), il re Niuliki cominciò ad adirarsi, quando vide che i suoi sudditi venivano allontanati dai loro idoli verso la religione dell’uomo bianco. Perciò emise un editto contro di lui per scongiurare le conversioni. In quello stesso periodo suo figlio Meitala si convertì al cattolicesimo. Il re decise di non ospitare più né dar da mangiare ai missionari, e cominciò una serie di persecuzioni per spingerli ad andarsene.

Nonostante tutto, i missionari rimasero fedeli al loro ministero, e grazie alla loro testimonianza che toccava i cuori ci furono ancora alcune conversioni (tra cui, appunto, quella del figlio del re). Fu forse quella la goccia che fece traboccare il vaso. Il re decise di porre fine alle missioni nella sua terra: “La religione muoia con chi l’ha portata!”.

All’alba del 28 aprile 1841 i cospiratori ostili alla fede cattolica - guidati da Musumusu, primo ministro del re - si riunirono e, dopo aver ferito molti neofiti sorpresi nel sonno, attaccarono la capanna di Chanel. Uno di loro gli fece a pezzi un braccio e lo ferì alla tempia sinistra con un randello. Una volta a terra, il sacerdote fu assalito con una baionetta, mentre un terzo assalitore lo colpiva pesantemente con una mazza. Mentre il missionario pronunciava parole di serena rassegnazione (“Malie fuai”, cioè: “bene per me”), Musumusu stesso, adirato per la sua resistenza, spaccò il cranio del martire con un’ascia. I resti del missionario, seppelliti frettolosamente, furono in seguito reclamati dal capitano Lavaux, comandante francese della stazione navale di Tahiti, quello stesso giorno in cui comincia il nostro racconto. I resti di Pietro furono quindi riportati in Francia con un mezzo di trasporto del governo, nel 1842. La Congregazione dei Riti gli diede il titolo di “Protomartire dell’Oceania”. Beatificato nel novembre 1889 da Leone XIII, fu poi canonizzato il 12 giugno 1954 da Pio XII.