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LA STORIA

Il mio dolore di donna per la vita che ho negato

"..Ancora oggi, il pensiero di non potere stringere la mia creatura tra le braccia mi addolora, ma almeno riesco a pensarlo e a pregare per lui senza stare troppo male...".

Editoriali 07_02_2012
Il dolore dopo l'aborto
Quella che segue è la vera storia di una donna che vive nel Nord Italia e che ha sperimentato il dramma dell'aborto volontario con le dolorose conseguenze che questo comporta. Ve la proponiamo all'indomani della Giornata per la Vita, perché una testimonianza vale più di mille parole, ma anche perché quella di Alessandra (nome di fantasia) è una storia che dimostra come un grande dolore, se vissuto nella verità, può portare frutti di bene.

Vorrei raccontare la mia storia per tutti i bimbi mai nati e le loro mamme.
Sono una mamma di 44 anni, ho due bimbi piccoli. Quando avevo 30 anni ho praticato l’aborto volontario. Non ho preso questa decisione per mancanza di mezzi economici o perché straniera; sono italiana e provengo da una famiglia come tante.
La mia povertà esisteva, ma era di natura spirituale e di valori.

Oggi so che quella decisione
– cioè la decisione di dire no alla vita - la presi chissà quanto tempo prima, forse da bambina... La mancanza di fiducia in me stessa e carenze affettive irrisolte, in quel momento hanno messo a nudo la mia anima fragile e mi hanno fatto credere che non sarei stata capace di accogliere, accudire e crescere una creatura indifesa.

Mi sono spaventata al pensiero di un bambino e ho preferito “eliminare il problema”, risolvendo la questione in fretta e da sola. Non mi sono rivolta ai Centri di Aiuto alla Vita (Cav) né a nessun altro; la mia superbia e la paura mi hanno impedito di condividere i miei pensieri e di chiedere aiuto.

Negli anni successivi, ho cominciato a capire il grande inganno di quei pensieri
e il grave errore commesso. Eliminando il problema, in fretta, avevo ucciso anche me stessa.
Ho provato un grande vuoto e poco alla volta, ma inesorabilmente, ho preso coscienza della mia disperazione, insieme ai perché.

Grazie al sostegno psicologico e all’aiuto di un sacerdote,
ho fatto spazio al mio vissuto e ho curato le mie ferite, che ora guardo con compassione e benevolenza. Sono stata aiutata a guardare in faccia al mio dolore e alle mie sofferenze e al rimorso indescrivibile, liberandomi dalle catene del peccato. Sono sprofondata all’inferno e forse proprio attraverso il sacrificio di questa esperienza sono riuscita a generare una nuova persona: me stessa.

Ci sono voluti anni, tanti anni e ancora oggi,
il pensiero di non potere stringere la mia creatura tra le braccia a causa e per mia scelta mi addolora, ma almeno riesco a pensarlo e a pregare per lui senza stare troppo male.

Riesco a trovare il coraggio di scrivere queste righe,
per te che stai leggendo.
Oggi so di avere girato le spalle al grande amore di Dio per me e al suo progetto di vita e me ne pento.

Questo pentimento non riporta in vita mio figlio – e non cambia niente del mio passato – ma riesce a farmi accettare il dolore profondo che mi accompagna e che la sua mancanza mi procura.
La Chiesa condanna il peccato e oggi so perché; il peccato distrugge, danneggia chi lo compie, ponendolo in una condizione di schiavitù e sofferenza inimmaginabili.
Da sola non sarei riuscita a trovare la forza di andare avanti e rinascere e per questo ringrazio Dio Padre e le persone che mi ha messo sulla strada che mi hanno capito e teso la mano, senza giudicare.

L’aborto non libera, uccide il bambino e la mamma; genera uno stato di malessere e un alone mortifero che si emana anche nelle persone che sono accanto inconsapevoli.
La legge sull’aborto non tutela le donne; le lascia libere di farsi del male.
Oggi a distanza di anni, tanta sofferenza ha trovato un po’ di pace, anche se le prove della vita ci sono sempre, come per tutti.

Dio Padre misericordioso nella sua grande bontà ha saputo guardare il mio cuore, senza abbandonarmi, e ha voluto donarmi la grazia di una famiglia e due meravigliosi figli.
Il mio pensiero va a tante persone “normali” come me, che nella loro normalità sono capaci di compiere un gesto così; quante ragazze, donne, capaci di farsi del male.

La mia storia, forse, racconta che il dramma dell’aborto volontario non riguarda soltanto situazioni estreme o di emarginazione. C’è chi rifiuta la vita perché non riesce ad accogliere e condividere prima di tutto la sua. A fidarsi della vita.

Intorno a noi c’è tanta solitudine e disperazione: la mancanza di dialogo, amore, benevolenza genera anime fragili, persone infelici, comunità infelici, un mondo infelice.

Ci sono tante persone di buona volontà - genitori, educatori, sacerdoti e suore - che sono un esempio per tutti noi, che forse non vedono le nuove povertà… di cui si nutre il male.

Forse ciascuno di noi, può vedere o aiutare a vedere nello sguardo di chi gli è vicino, una richiesta di aiuto e semplicemente può provare a tendere la mano e aiutare la vita.
La vita di un bambino prima di tutto.
Aiutare una mamma a non abortire e aiutare una mamma cha ha abortito migliorano il nostro cuore e il cuore del mondo.