Il Mezzogiorno sprofonda e cerca partito
Le anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2015 tratteggiano un quadro a tinte fosche sulle prospettive di sviluppo. E in questa situazione potrebbero cementarsi alleanze inedite tra amministratori locali di diverso colore politico, alcuni dei quali minacciano addirittura lo sciopero fiscale.
Le anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2015, che sarà diffuso in autunno, tratteggiano un quadro a tinte fosche e alimentano forti paure sulla tenuta del “Sistema Paese”. Dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13%, la metà della Grecia, che è cresciuta del 24%. Lo Svimez sottolinea anche che, nello stesso periodo, l'Italia nel suo complesso è stato il Paese con la minore crescita dell'”area euro” a 18, con il +20,6% a fronte di una media del 37,3%. Dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha infatti perso il 34,8% del proprio prodotto, contro un calo nazionale del 16,7%, e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%), tanto che nel 2014 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud solo all'8%, ben lontano dal 17,9% del Centro-Nord.
I consumi delle famiglie meridionali sono in picchiata, e nel 2014 si sono ridotti dello 0,4%, a fronte di un aumento del +0,6% nelle regioni del Centro-Nord. Impietose anche le cifre riguardanti gli investimenti, che al sud sono scesi del 38% dal 2008. Nel 2014, per il settimo anno consecutivo, il Pil del Mezzogiorno è risultato negativo (-1,3%). In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 53,7% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi. Lo scorso anno, infatti, quasi il 62% dei meridionali ha guadagnato meno di 12 mila euro annui, contro il 28,5% dei settentrionali. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%).
Quanto al numero degli occupati, nel Mezzogiorno sono scesi a 5.8 milioni di unità, il livello più basso dal 1977. La situazione appare dunque esplosiva, anche sul piano sociale. Mentre nel Pd si litiga aspramente e la minoranza dem minaccia “un Vietnam” sulle votazioni parlamentari relative alle riforme, si sviluppa una nuova dialettica politica basata sull’elemento territoriale più che sulle tradizionali appartenenze. Tutte le regioni del Sud e le principali città meridionali sono infatti guidate da esponenti del Partito democratico, che invocano una maggiore attenzione da parte del governo, auspicando una sorta di nuovo “Piano Marshall” per far ripartire l’agonizzante economia del meridione. Sulla “missione” del riscatto del Sud potrebbero cementarsi alleanze inedite tra amministratori locali di diverso colore politico, alcuni dei quali minacciano addirittura lo sciopero fiscale.
La militanza in un partito politico potrebbe passare in secondo piano e lasciare il passo a una saldatura tra amministratori in carica, movimenti civici e associazioni territoriali. Scenario inedito e per certi versi pericoloso, che potrebbe ridare fiato alle trombe dei localismi e dei leghismi di ogni tipo. I rumors parlano di governatori come il neoeletto presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano pronti a creare uno schieramento di “Democratici per il Sud” con l’obiettivo di scalare nei prossimi anni addirittura Palazzo Chigi. Peraltro la Puglia è la regione, tra quelle del Sud, forse meno risucchiata, negli ultimi anni, nel vortice del sottosviluppo, e anche meno assediata dalle infiltrazioni della malavita organizzata. Grazie a un sapiente utilizzo dei fondi europei è riuscita a ottimizzare molte delle sue risorse, tra cui quelle turistiche, segnalandosi all’attenzione nazionale e internazionale come esempio di crescita equilibrata e autopropulsiva.
Tornando allo scenario apocalittico disegnato dallo Svimez, hanno acceso ancor più la polemica le parole di Roberto Saviano, secondo cui al Sud le mafie non avrebbero «più nulla da mungere». Si assiste, infatti, da Roma in giù, alla progressiva desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la ripresa. La cifra del sottosviluppo rischia, quindi, di diventare il tratto caratteristico della condizione del Mezzogiorno, se non si interverrà con scelte fortemente innovative.
Lo ha affermato ieri il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, che è andata al nocciolo della questione: «Nel Meridione, solo puntando sulle infrastrutture, su intermodalità per merci e passeggeri, potenziando i porti e gli aeroporti si potrà cambiare registro. Quindi serve un piano poderoso di finanziamenti. Per questo in autunno daremo il via agli Stati generali dello Sviluppo Economico e guarderemo con grande attenzione al problema. Il ministero lancerà una proposta di modello strategico e industriale per i prossimi anni, che passerà attraverso una consultazione pubblica con investitori anche esteri. E sentiremo le organizzazioni sindacali e Confindustria. L’idea è di presentare al Paese un nuovo modello di sviluppo che valga per i prossimi 15 anni. Linee guida su cui costruire politiche di sostegno e incentivi». Parole sagge, quelle del ministro. Ma il Sud avrà ancora pazienza o, nel frattempo, imploderà?