Il magistrato che sbaglia continuerà a non pagare
La riforma Renzi sulla magistratura, per l'introduzione della responsabilità civile dei giudici, è l'ennesimo bluff. Il cittadino che dovesse ritenersi danneggiato da una decisione di un giudice, potrà fare causa contro lo Stato, non contro chi l'ha rovinato. Sarà poi lo Stato a rivalersi sul giudice, ma a pagare sarà l'assicurazione.
“Il magistrato che sbaglia paga”. Quante volte gli esponenti del governo Renzi hanno pronunciato questa frase per commentare il nuovo disegno di legge sulla responsabilità civile dei giudici? Tante tante volte, in base a una sapiente politica dell’annuncio che, complice un sistema mediatico superficiale, mostra di dare i suoi frutti, in termini di gradimento, al premier e alla sua squadra. Eppure, non tutto ciò che viene sfornato dal consiglio dei ministri diventa realtà. E meno male che è così, visto che siamo in una Repubblica parlamentare, nella quale l’organo che esprime la sovranità popolare è il Parlamento, non un governo peraltro non legittimato dal voto popolare.
I disegni di legge che l’esecutivo presenta in pompa magna all’opinione pubblica sono bozze, proposte, che nel loro iter parlamentare rischiano di venire stravolte, all’insaputa dei cittadini, che nel frattempo, però, restano convinti che sia tutto oro ciò che tocca l’attuale Presidente del consiglio.
In materia di responsabilità civile dei giudici potrebbe accadere proprio questo. Frasi come “Finalmente ora i giudici pagheranno se sbagliano” oppure “Ora i giudici staranno più attenti e lavoreranno di più perché rischiano di pagare in prima persona” risultano davvero fuori luogo se si legge con accortezza il disegno di legge in materia presentato in consiglio dei ministri la settimana scorsa.
Peraltro c’è da giurare che il suo impianto verrà comunque stravolto in sede parlamentare, visto che la corporazione, attraverso l’Associazione nazionale magistrati, ha già definito questa riforma “punitiva per i giudici italiani”. Di buono c’è che gran parte della maggioranza di governo e una cospicua fetta di opposizione si dicono favorevoli a tale riforma, che dunque passerà.
Ma con quali effetti pratici? Davvero i giudici diverranno più scrupolosi nell’applicazione delle leggi ai casi concreti e rischieranno di pagare di tasca propria per i loro eventuali errori? Pare proprio di no. Se dovesse passare il testo prodotto dal governo non ci sarebbero cambiamenti sostanziali nel trattamento riservato alle toghe. D’altronde, lo ricordiamo, nel 1987 i cittadini italiani a grande maggioranza si espressero per l’introduzione della responsabilità civile dei giudici. La legge Vassalli (dal nome dell’allora ministro della giustizia) recepì nel 1988 l’esito di quella consultazione referendaria, ma nessun magistrato, da allora, ha mai sborsato di tasca sua una sola lira e, successivamente, un solo euro, per i suoi errori. Il motivo è presto detto: l’Associazione nazionale magistrati, all’indomani di quella novità legislativa, stipulò una convenzione con le principali compagnie assicurative che garantiscono ai giudici la copertura dei rischi. Ogni giudice paga 150 euro all’anno di assicurazione, esborso sicuramente sostenibile per poter dormire tra due guanciali anche in caso di negligenza o di errata applicazione delle norme.
La riforma targata Renzi conferma l’impostazione già in vigore: in caso di “violazione manifesta” o di “travisamento del fatto”, quindi in caso di colpa del giudice, il cittadino che si ritenga danneggiato da una sua decisione potrà adire le vie legali ma contro lo Stato, non direttamente contro l’autore della sentenza (il privato potrà agire, ma può già farlo ora, direttamente verso il magistrato solo in caso di dolo). Lo Stato potrà a sua volta rivalersi contro il magistrato (questa è l’unica vera novità) trattenendogli fino alla metà del suo stipendio annuale e procedendo, se del caso, anche con un’esecuzione forzata fino a un terzo dello stipendio (attualmente è fino a un quinto). Ma, come detto, a pagare ci saranno sempre e comunque le compagnie assicurative, che, in caso di approvazione di queste modifiche, al fine di tutelarsi maggiormente, chiederanno un ritocco di quei 150 euro. I giudici dovranno quindi pagare qualcosina in più di assicurazione annuale per poter stare tranquilli.
E allora che senso ha impiegare del tempo per approvare una riforma che non risolverebbe assolutamente nulla e che lascerebbe sostanzialmente impuniti quei magistrati responsabili di decisioni quanto meno ardite e assai penalizzanti per la libertà personale dei cittadini?
Il nodo da sciogliere è forse quello di sganciare il giudizio sui magistrati dalle logiche corporative ed elettive. Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) andrebbe riformato e svincolato da quei meccanismi. In che modo? Attualmente i magistrati che sbagliano vengono giudicati dalla sezione disciplinare del Csm, condizionata da contaminazioni correntizie e personalistiche che finiscono per incidere sulle decisioni finali. Affinchè le valutazioni sull’operato dei giudici possano ispirarsi ad obiettività ed autonomia, occorrerebbe che un organismo disciplinare venisse istituito ad hoc, fuori dal perimetro del Csm, ed emanasse provvedimenti realmente incisivi sulla carriera dei giudici. Se fosse così, neppure si ventilerebbero le promozioni di alcuni magistrati della Procura di Milano, che per anni si sono contraddistinti per faziosità e applicazione del tutto arbitraria del principio di obbligatorietà dell’azione penale.