Il lungimirante don Vinicio e il razzismo che non c'è
Don Vinicio Albanesi si è costituto parte civile contro l’italiano che ha ucciso a Fermo il nigeriano immigrato. Lì per lì aveva sposato la tesi razzista, ma poi la ricostruzione dell’aggressione ha dimostrato che e cose sono andate in modo diverso. Insomma, a certi pregiudizi il sacerdote pare non voler rinunciare.
Don Vinicio Albanesi si è costituto parte civile contro l’italiano che ha ucciso a Fermo il nigeriano immigrato. Lì per lì aveva sposato la tesi razzista, in buona compagnia delle solite Boldrini e Boschi. Poi, la donna del morto ha ritrattato -anche perché i testimoni erano parecchi- a fronte del rischio di un’incriminazione per calunnia.
L’omicidio volontario aggravato da odio razziale (ex Legge Mancino) è, infatti, cosa ben diversa da morte involontaria cagionata da cazzotto difensivo. E raccontarla giusta può evitare l’ergastolo a uno che merita una condanna, sì, ma non certo di tale portata. Infatti, è risultato che l’aggredito fisicamente era il bianco, non il nero. Sequenza dei fatti: il bianco (su cui pesa l’intollerabile tara morale di essere un ultrà della Lazio e pure di simpatie nostalgiche: il “cattivo” perfetto, insomma) vede la coppia di immigrati aggirarsi con fare sospetto (secondo lui) intorno a una macchina (magari la sua, ma non è chiaro); apostrofa lei con un insulto («scimmia», valevole per tutte le etnie); il nero, provocato, perde il lume e gli si scaglia contro, dandogli addosso con un palo metallico; lui risponde con un pugno e quello cade per terra, batte la testa e muore.
Le notizie più recenti aggiungono ulteriori dettagli: lei si è levata una scarpa e ha picchiato il bianco sulla testa col tacco, poi l’ha afferrato per un braccio impedendogli di salire su un bus alla fermata, il cui autista, visto il tafferuglio, ha preferito ripartire. Sono arrivati altri nigeriani che hanno circondato minacciosi l’uomo. Questo, finito a terra, ha sparato il cazzotto fatale. Il destinatario, caduto, si è rialzato, per poi riaccasciarsi all’arrivo dei vigili. Omicidio preterintenzionale, il razzismo non c’entra per niente.
Gli alti lai di certa stampa e certi politici che non vedono l’ora che l’Italia diventi l’America, in cui i “buoni” sono solo i blacks (ma non i cinesi, i sudamericani, i nipponici e i russi) e i malvagi sempre e comunque i nativi (italiani o wasp, ma non i romeni, gli albanesi, i moldavi, gli islamici), questi alti lai, dicevamo, erano previsti. Un po’ meno, forse, quelli intempestivi di don Vinicio Albanesi, nella cui biografia, cavata dal suo blog, si plaude alla (citiamo letterale) «lungimiranza delle intuizioni e la testimonianza dei gesti, delle proposte e delle esperienze», evidenziate fin da quando, nel 1990, succedette al suo maestro don Luigi Ciotti alle redini delle Comunità Capodarco.
Lodevole l’intenzione dell’Albanesi di incontrare il preterintenzionale in carcere, perché la carità cattolica non è politicamente corretta e quello là ha dimostrato anche coi fatti (donando alla vedova quel poco che ha) che non voleva certo che la rissa si concludesse in quel modo. Per di più, visto che è “di destra”, avesse saputo che quelli erano cristiani scampati a Boko Haram magari, anziché offenderli, avrebbe offerto loro un caffè al bar. Eh, quando ti piazzano a caldo un microfono sotto il naso e ti chiedono la tua illuminata opinione è difficile non sparare la prima cosa che ti viene in mente. Se però questa è una boldrinata à la gauche-caviar, detta da un prete di spicco mediatico fa pensare…