Il linguaggio dei regali
Istruttore, techno, architetto, desiderio: ogni regalo trasmette un messaggio, l'immagine che abbiamo di nostro figlio e cosa ci aspettiamo di lui. E spesso abbiamo uno sguardo utilitarista, perché le grandi ideologie si riflettono nelle piccole cose. Così il gioco perde la sua essenza.
Arriva il Natale, che sembra essere rimasto nel cuore della gente solo per luci e regali. Che poi oggi sono in fase calante visto l’aria che tira e scendono come investimento al 75% rispetto al 2011. Ma nonostante noi pensiamo che il Natale sia altro che le spese rituali, guardiamoli da vicino i regali perché il regalo comunque “significa” qualcosa: svela l’idea che abbiamo sull’elemento ormai rimasto centrale nel Natale, i bambini.
Infatti esistono varie categorie di regali:
La prima sono i “regali-istruttore”, che implicano il seguente messaggio: “Ecco il tuo modello, quello che noi ci aspettiamo da te”. In questa categoria vediamo i regali che modulano il bambino secondo le nostre aspettative sociali e familiari. Non avete notato infatti che ad esempio oggi cagnolini di peluche e gattini hanno sostituito i bambolotti umani negli scaffali dei regali? Non c’è più Cicciobello, ma Fuffi, come a dire ai bambini: “Ci aspettiamo da voi che ci chiediate un criceto e non un fratellino!”. Oppure abbiamo tutta la serie di bambole-fotomodelle dalle misure fisiche impossibili (hanno la pancia dello stesso diametro delle vertebre) come a dire “ecco cosa ci aspettiamo che diventiate”. Il bello è che queste aspettative genitoriali non sono esplicite ma sono nondimeno normali: quanti si augurano di avere la figlia velina e quanti sperano che l’esperienza di avere un figlio non si ripeta? E attenzione: queste aspettative sono in buona parte non originarie di quello che la gente davvero vuole, ma mutuate dal clima utilitaristico e mercantile dilagante.
A fianco, infatti, di questi due cliché c’è il “regalo intelligente” che sarebbe quello che “insegna divertendo”; ora non si capisce che bisogno abbiano i bambini di essere indottrinati a loro insaputa, facendogli credere che li facciamo giocare e invece li facciamo studiare, quasi che scopo dell’infanzia sia prepararsi ad essere bravi ingranaggi del mondo adulto secondo le esigenze del mercato.
La seconda categoria sono “regali-techno”, regali elettronici, davvero belli e attraenti e anche divertenti, con l’unico problema che sono così belli e attraenti che non ci si stacca più. Anche l’American Academy of Pediatrics ha dovuto dare delle linee-guida per arginare lo strapotere dei videogiochi e del web sulla mente infantile.
La terza categoria sono i “regali-architetto”: elementi creativi come le costruzioni, che però oggi stanno assumendo le caratteristiche del prefabbricato: un tempo con le costruzioni potevi costruire le forme che volevi, anche quelle apparentemente senza senso per tutto il resto del mondo; oggi tanti hanno già un progetto ed elementi così ben definiti e riconoscibili che non sono più duttili e addomesticabili o deformabili a piacere.
Abbiamo poi i “regali-desiderio”, di solito abiti o accessori di marca e “regali-mordi-e-fuggi”, di solito il denaro.
Perché ci interessa parlare di regali? Perché ci dicono che sguardo abbiamo sui bambini, e spesso questo sguardo è poco elastico, poco colmo di fantasia e troppo preordinato utilitaristicamente. La cultura utilitarista passa attraverso piccoli gesti, inconsci, semplici, abitudinari, innocenti.
Bisogna riflettere come genitori e come adulti su una semplice domanda: “Cosa è un figlio?” “Che destino ha?”. Questa domanda è la base della pedagogia e la pedagogia che scegliamo (anche se crediamo di non aver scelto qualcuno lo ha già fatto per noi) influisce su come trattiamo i figli e la dice lunga anche su come giudichiamo noi stessi. Abbiamo così tanta paura di sentirci inutili se non produciamo, che non riusciamo a concepire neanche il gioco dei nostri figli come “non utile”; invece il gioco ha una dimensione inutile e per questo bella, una dimensione costruttiva ma non per questo incasellabile nelle future esigenze del mercato.
Il gioco è proprietà dei bambini che riescono a farlo col minimo indispensabile e gli stiamo sottraendo questo diritto obbligandoli a giocare con quello che vorremmo noi, o a giocare con cose “che già si sa come vanno a finire”, o che li “tengono buoni” e noi possiamo rilassarci in un’altra stanza. Invece il gioco richiederebbe un solo essenziale ed indispensabile ingrediente: gli altri; mentre oggi i giochi e i regali hanno l’illusione di farli sentire soddisfatti lasciandoli invece soli.
Facciamoli allora, i regali; ma riflettiamo un attimo. Riflettiamo su cosa sia il Natale, su cosa sia un regalo e cosa sia un figlio.
Ecco perché ci siamo dilungati a parlare dei regali: perché le grandi ideologie si riflettono nelle piccole cose; l’utilitarismo (l’ideologia nemica della solidarietà), e la religione dell’autonomia (altro modo di chiamare la solitudine) iniziano a entrare nelle menti umane quando hanno ancora solo 5 anni, anche passando attraverso quello che viene regalato ai bambini – e magari su come viene regalato -: è un linguaggio non parlato ma molto esplicito, che passa attraverso i messaggi impliciti che li avvertono su cosa i “grandi” si aspettano da loro e su cosa (e attraverso i “grandi”, i mercati) pretendano, ohimè, dai piccoli, futuri obbedienti consumatori.