Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico

FOCUS

Il linguaggio dei regali

Istruttore, techno, architetto, desiderio: ogni regalo trasmette un messaggio, l'immagine che abbiamo di nostro figlio e cosa ci aspettiamo di lui. E spesso abbiamo uno sguardo utilitarista, perché le grandi ideologie si riflettono nelle piccole cose. Così il gioco perde la sua essenza.

Cultura 21_12_2012
Regali bambini

Arriva il Natale, che sembra essere rimasto nel cuore della gente solo per luci e regali. Che poi oggi sono in fase calante visto l’aria che tira e scendono come investimento al 75% rispetto al 2011. Ma nonostante noi pensiamo che il Natale sia altro che le spese rituali, guardiamoli da vicino i regali perché il regalo comunque “significa” qualcosa: svela l’idea che abbiamo sull’elemento ormai rimasto centrale nel Natale, i bambini.

Infatti esistono varie categorie di regali:

La prima sono i “regali-istruttore”, che implicano il seguente messaggio: “Ecco il tuo modello, quello che noi ci aspettiamo da te”. In questa categoria vediamo i regali che modulano il bambino secondo le nostre aspettative sociali e familiari. Non avete notato infatti che ad esempio oggi cagnolini di peluche e gattini hanno sostituito i bambolotti umani negli scaffali dei regali? Non c’è più Cicciobello, ma Fuffi, come a dire ai bambini: “Ci aspettiamo da voi che ci chiediate un criceto e non un fratellino!”. Oppure abbiamo tutta la serie di bambole-fotomodelle dalle misure fisiche impossibili (hanno la pancia dello stesso diametro delle vertebre) come a dire “ecco cosa ci aspettiamo che diventiate”.  Il bello è che queste aspettative genitoriali non sono esplicite ma sono nondimeno normali: quanti si augurano di avere la figlia velina e quanti sperano che l’esperienza di avere un figlio non si ripeta? E attenzione: queste aspettative sono in buona parte non originarie di quello che la gente davvero vuole, ma mutuate dal clima utilitaristico e mercantile dilagante.
A fianco, infatti, di questi due cliché c’è il “regalo intelligente” che sarebbe quello che “insegna divertendo”; ora non si capisce che bisogno abbiano i bambini di essere indottrinati a loro insaputa, facendogli credere che li facciamo giocare e invece li facciamo studiare, quasi che scopo dell’infanzia sia prepararsi ad essere bravi ingranaggi del mondo adulto secondo le esigenze del mercato.

La seconda categoria sono “regali-techno”, regali elettronici, davvero belli e attraenti e anche divertenti, con l’unico problema che sono così belli e attraenti che non ci si stacca più. Anche l’American Academy of Pediatrics ha dovuto dare delle linee-guida per arginare lo strapotere dei videogiochi e del web sulla mente infantile.

La terza categoria sono i “regali-architetto”: elementi creativi come le costruzioni, che però oggi stanno assumendo le caratteristiche del prefabbricato: un tempo con le costruzioni potevi costruire le forme che volevi, anche quelle apparentemente senza senso per tutto il resto del mondo; oggi tanti hanno già un progetto ed elementi così ben definiti e riconoscibili che non sono più duttili e addomesticabili o deformabili a piacere.

Abbiamo poi i “regali-desiderio”, di solito abiti o accessori di marca e “regali-mordi-e-fuggi”, di solito il denaro.

Perché ci interessa parlare di regali? Perché ci dicono che sguardo abbiamo sui bambini, e spesso questo sguardo è poco elastico, poco colmo di fantasia e troppo preordinato utilitaristicamente. La cultura utilitarista passa attraverso piccoli gesti, inconsci, semplici, abitudinari, innocenti.

Bisogna riflettere come genitori e come adulti su una semplice domanda: “Cosa è un figlio?” “Che destino ha?”. Questa domanda è la base della pedagogia e la pedagogia che scegliamo (anche se crediamo di non aver scelto qualcuno lo ha già fatto per noi) influisce su come trattiamo i figli e la dice lunga anche su come giudichiamo noi stessi. Abbiamo così tanta paura di sentirci inutili se non produciamo, che non riusciamo a concepire neanche il gioco dei nostri figli come “non utile”; invece il gioco ha una dimensione inutile e per questo bella, una dimensione costruttiva ma non per questo incasellabile nelle future esigenze del mercato.

Il gioco è proprietà dei bambini che riescono a farlo col minimo indispensabile e gli stiamo sottraendo questo diritto obbligandoli a giocare con quello che vorremmo noi, o a giocare con cose “che già si sa come vanno a finire”, o che li “tengono buoni” e noi possiamo rilassarci in un’altra stanza. Invece il gioco richiederebbe un solo essenziale ed indispensabile ingrediente: gli altri; mentre oggi i giochi e i regali hanno l’illusione di farli sentire soddisfatti lasciandoli invece soli.

Facciamoli allora, i regali; ma riflettiamo un attimo. Riflettiamo su cosa sia il Natale, su cosa sia un regalo e cosa sia un figlio.

Ecco perché ci siamo dilungati a parlare dei regali: perché le grandi ideologie si riflettono nelle piccole cose; l’utilitarismo (l’ideologia nemica della solidarietà), e la religione dell’autonomia (altro modo di chiamare la solitudine) iniziano a entrare nelle menti umane quando hanno ancora solo 5 anni, anche passando attraverso quello che viene regalato ai bambini – e magari su come viene regalato -: è un linguaggio non parlato ma molto esplicito, che passa attraverso i messaggi impliciti che li avvertono su cosa i “grandi” si aspettano da loro e su cosa (e attraverso i “grandi”, i mercati) pretendano, ohimè, dai piccoli, futuri obbedienti consumatori.