Il lato musicale nascosto di san Pier Damiani
Ben noto è il san Pier Damiani uomo politico, riformatore ecclesiastico, raffinato poeta, acuto teologo e fustigatore dell'omosessualità nella Chiesa. Meno conosciuto l’abile compositore di melodiosi ritmi. Vediamone alcuni.
Il 22 febbraio di 950 anni fa moriva a Faenza, a 65 anni, per un’improvvisa malattia una grande figura nella Chiesa dell’XI secolo, che fu eremita, diplomatico, teologo e poeta: san Pier Damiani, celebrato liturgicamente il 21 febbraio (il 23 nel Vetus Ordo).
Pietro era nato a Ravenna nel 1007 e, rimasto orfano dei genitori, ebbe come padre il fratello maggiore Damiano, di cui prese il nome. «Monaco, amante della solitudine e, insieme, intrepido uomo di Chiesa, impegnato in prima persona nell’opera di riforma avviata dai Papi del tempo» (Benedetto XVI, Udienza Generale, 9 settembre 2009). Dopo la formazione umanistica, a circa 28 anni si ritira nel monastero di Fonte Avellana, sull’Appennino marchigiano, e a 37 ne diviene priore, «contento ne’ pensier contemplativi» (Paradiso XXI 117). Collabora con molti papi nell’ardua impresa di riformare la Chiesa sia contro il problema dell’omosessualità ecclesiastica (famoso il suo Liber Gomorrhianus del 1049), sia a favore della libertà della Chiesa contro le intromissioni del potere laicale e imperiale. Conosce Ildebrando di Soana, abate di san Paolo fuori le mura e futuro papa Gregorio VII. A 50 anni è cardinale vescovo di Ostia. Nel 1828 è proclamato dottore della Chiesa da Leone XII.
Nel Paradiso (XXI 121-123) Dante lo incontra, si intrattiene e colloquia con lui, prima di san Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale: «In quel loco fu' io Pietro Damiano, / e Pietro Peccator fu' ne la casa / di Nostra Donna in sul lito adriano». Nel settimo cielo, quello di Saturno, Dante vede una scala altissima e sfolgorante, che rimanda a quella dell’umiltà disegnata nel VII capitolo della regola benedettina, con i suoi dodici esigenti gradini. Qui il Poeta incontra le anime contemplative, vicinissime al cielo degli angeli e lontanissime dalla terra. A una di queste, che si presenterà come il nostro monaco e cardinale, Dante chiede le ragioni del silenzio che lo avvolge in questo cielo: «e di’ perché si tace in questa rota / la dolce sinfonia di paradiso, / che giù per l'altre suona sì divota». In realtà, la musica celestiale ancora si canta qui, ma i mortali non possono intenderla (come non potrebbero intendere il sorriso di Beatrice), poiché la presenza dei monaci è associata al silenzio: «"Tu hai l'udir mortal sì come il viso”, / rispuose a me; “onde qui non si canta / per quel che Beatrice non ha riso» (Par. XXI, 58-63).
Ben noto è il san Pier Damiani uomo politico, riformatore ecclesiastico, raffinato poeta, acuto teologo. Meno conosciuto l’abile compositore di melodiosi ritmi (cfr. G. M. Dreves, Analecta Hymnica medii ævi, vol. 48, Leipzig 1905, pp. 29 ss.; il manoscritto più antico contenente alcune delle melodie si trova nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Vat. Lat. 3797, ff. 372-373).
La Liturgia delle Ore o Ufficio divino, che «ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare tutto il corso del giorno e della notte» (Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 10), riunisce insieme vari elementi: i salmi, «quei bellissimi canti, che i sacri autori, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno composto nell'Antico Testamento» (Ibidem, 100); le antifone, preposte ai salmi, che «nella tradizione latina hanno contribuito molto a far comprendere i salmi e a trasformarli in preghiera cristiana» (Ibidem, 110); i cantici dell'Antico e del Nuovo Testamento; la lettura biblica, in forma sia più lunga sia più breve; la lettura dei Padri e degli Scrittori ecclesiastici; i responsori, che portano «nuova luce per la comprensione della lettura appena letta» (Ibidem, 169); le preci, la preghiera del Signore, l'orazione conclusiva; il sacro silenzio; e finalmente gli inni, che «per la loro ispirazione lirica, non solo sono destinati specificamente alla lode di Dio, ma costituiscono un elemento popolare: anzi, di solito caratterizzano immediatamente e più che le altre parti dell'Ufficio, l'aspetto particolare delle Ore e delle singole celebrazioni muovendo e stimolando gli animi a una pia celebrazione. Spesso tale efficacia è accresciuta dalla loro bellezza letteraria. Inoltre gli inni nell'Ufficio sono come il principale elemento poetico composto dalla Chiesa» (Ibidem, 173).
Alcuni esempi della produzione innodica del nostro eremita e cardinale?
Aurora velut fulgida è l’inno per l’Ufficio delle letture nella solennità dell’Assunzione della Beata Maria Vergine, il 15 agosto. L’esordio ci immerge subito nel soprannaturale: Maria che si porta nel sommo cielo, come fulgida aurora, splendente come il sole, bellissima come la luna ci rappresenta sensibilmente il trionfo divino. L’innografo prosegue chiamando Maria Regina del mondo, che ascende al trono della gloria, è assunta al di sopra degli angeli e trascende i meriti di tutti i Santi, che contempla nella gloria del Padre il Re dell’universo, che aveva riscaldato nel grembo e aveva posto nel presepio. La sollecitazione alla Vergine delle vergini perché preghi per noi il suo Figlio e la lode alla Trinità concludono l’inno.
Gaudium mundi è l’inno ai vespri della stessa solennità. L’autore qui non ci presenta la visione del soprannaturale, ma la celebrazione della grazia divina della Vergine Maria. Colei che è la gioia del mondo e la nuova stella del cielo è capace di portare Dio in terra e gli uomini in cielo. Il coro dei beati angeli, la schiera dei profeti e degli apostoli la considerano degna di precederli, seconda soltanto a Dio, che alla fine è esaltato per aver stabilito che ella fosse nostra madre e regina.
Infine, il carme paratterico (XCIII) dedicato alla santa Croce Unica spes hominum. Diversamente da quelli della liturgia delle ore, questo è un inno processionale, che si canta camminando, con strofe cantate da un solista e il ritornello dall’assemblea. Poiché ci è giunto privo di melodia, è stato «vestito» con quella dell’inno alla croce del poeta cristiano Venanzio Fortunato (530-607) Crux benedicta nitet, che ha lo stesso metro (cfr. G. Baroffio, Proposte liturgico-musicali di testi patristici in M. Cortesi, Leggere i padri tra passato e presente, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2010, pp. 99-100).
“Paratterico” indica che il verso pari finisce come l’inizio del verso dispari, come si vede nelle prime tre strofe che qui si possono ascoltare: «1. Unica spes hominum, crux, o venerabile signum, / omnibus esto salus, unica spes hominum. // 2. Baiula tu pretii, quod mundi debita solvit, / quo meruit redimi, baiula tu pretii. / Unica spes hominum… / 3. Tartara victa tuis spolium cessere triumphis, / lugent vexillis Tartara victa tuis. / Unica spes hominum…».