Il Lago Ciad si asciuga, anzi no
Alcuni ricercatori veri dimostrano, dati alla mano, che il grande bacino africano non dà affatto ascolto agli ambientalisti. Che quindi si stracciano le vesti per nulla.
Purché si prometta di salvare l’ambiente, i fondi si ottengono sempre. Persino in tempi di crisi come questi.
Nel 2009, per esempio, alla organizzazione non governativa peruviana Glaciares era venuto in mente di combattere il global warming dipingendo di bianco le montagne: beninteso con una vernice "ecologica", fatta di acqua, calce e albume d’uovo, e spalmata a mano, senza attrezzi meccanici, «per proteggere gli animali e mostrare rispetto verso Apu, lo spirito tutelare che abita nelle viscere di ogni montagna». La Glaciares ha vinto così il concorso "100 idee per salvare il pianeta" bandito dalla Banca Mondiale nel 2010 e ha ottenuto dall’istituto finanziario delle Nazioni Unite un fondo di 200.000 dollari per colorare le pareti del Monte Chalon Hat, nella regione andina di Ayacucho.
Nel 2011, sempre per combattere il riscaldamento globale, e inoltre lo spreco di acqua, la Commissione Europea ha istituito un premio di ben 3,3 milioni di euro che andrà alla migliore idea per convincere la gente a nutrirsi di insetti in sostituzione della carne dei mammiferi il cui consumo - sostengono certi ambientalisti - è ormai insostenibile per il pianeta: il bestiame da macello produce il 18% della CO2 - dicono - e per ogni chilogrammo di carne si impiegano 3.200 litri di acqua.
Se ancora si spende per contrastare il global warming, nonostante si creda sempre meno alla sua esistenza, figurarsi se si tratta di problemi ambientali documentati e urgenti.
È dunque con piena fiducia di trovare consensi, plauso, e soprattutto finanziamenti, che il presidente del Ciad, Idriss Deby, si è presentato a marzo al VI Forum mondiale dell’acqua, svoltosi a Marsiglia, presentando un "libro bianco" per salvare il Lago Ciad che si sta prosciugando. Assistito da una folta delegazione e provvisto di ampia copertura mediatica per essersi assicurato la presenza di numerosi giornalisti, Deby ha esposto una lista di 33 progetti pilota nel corso di una conferenza intitolata "Finanziamenti innovativi per la riabilitazione del Lago Ciad": solo una premessa, li ha definiti il presidente ciadiano, assicurando che sono stati concepiti «dagli africani per gli africani» e che verranno realizzati «lontano dalle lobby e nella trasparenza».
Tutti hanno approvato e la Francia, Paese ospite del Forum, ha subito garantito tutto il sostegno possibile per assicurare una mobilitazione a livello europeo in favore dei progetti: dal lago dipende la vita di 35 milioni di persone ed effettivamente la sua estensione si è molto ridotta rispetto ai 25mila chilometri quadrati degli anni 50 del secolo scorso. «La morte progressiva del lago - ha ammonito il presidente del Niger Mahmadou Issoufou, presente alla conferenza - è un dramma dalle conseguenze non solo ecologiche, economiche e sociali, ma anche per la sicurezza della regione. Le lotte per il controllo delle risorse si stanno moltiplicando».
Senonché a Marsiglia si sono presentati anche tre ricercatori del Cirad, Centro di ricerca agronomica per lo sviluppo, che studiano da 15 anni il Lago Ciad. Ci sono andati per spiegare che il lago non si sta affatto prosciugando e anzi, dopo l’estensione minima raggiunta negli anni 80, la sua superficie ha ripreso a espandersi costantemente. Altri esperti confermano quanto sostenuto dal Cirad evidenziando tra l’altro che la superficie del lago è soggetta a variazioni stagionali e legate alla pluviometria: variazioni di cui si avvantaggiano le popolazioni che vivono sulle sponde del Ciad, come racconta la studiosa ciadiana Audrey Mbagogo che ha svolto una ricerca sulle comunità che popolano la sponda sudorientale del lago. Le famiglie, infatti, a seconda delle stagioni e dei periodi passano dalla pesca all’allevamento all’agricoltura: attività quest’ultima resa particolarmente prospera grazie alle fertili terre umide che si scoprono quando il livello delle acque si abbassa. Quindi riportare il lago alle dimensioni degli anni 50 - sostiene il Cirad - non solo richiederebbe progetti faraonici, alcuni dei quali dai costi astronomici e comunque irrealizzabili come quello di trasferirvi le acque del fiume congolese Oubangui, ma avrebbe conseguenze non tutte positive per gli abitanti della regione. Persino il numero delle persone in pericolo per la progressiva scomparsa del lago - se anche così fosse - viene contestato dai ricercatori specializzati nell’idrologia del Ciad. Sono due milioni, affermano, mentre i 35 milioni di solito indicati includono popolazioni che in realtà vivono a centinaia di chilometri dalle sponde.
E allora, perché un falso allarme tanto drammaticamente lanciato? «I grandi progetti sono sempre molto interessanti per diversi attori, in termini economici e politici - spiega Geraud Magrin, del Cirad -, senza contare gli interessi più oscuri legati a possibili favori o tangenti che accompagnano questo genere di contratti».