Il grido dei cristiani iracheni: "Non lasciateci soli"
"Non dimenticateci, non lasciateci soli”. E’ il grido drammatico lanciato dai cristiani iracheni e raccolto dal vescovo di Carpi Francesco Cavina che se ne fa portavoce per sensibilizzare l’occidente. E che viene ribadito adesso che inizia la fase di ritorno nella Piana di Ninive.
“Non dimenticateci, non lasciateci soli”. E’ il grido drammatico lanciato dai cristiani iracheni e raccolto dal vescovo di Carpi Francesco Cavina che se ne fa portavoce per sensibilizzare l’occidente. Cavina è reduce da due spedizioni, una nel 2016 e una nella primavera scorsa a contatto con i campi profughi di Erbil dove i cristiani hanno trovato rifugio dopo l’avanzata dello Stato islamico che li ha costretti a riparare nel Kurdistan iracheno dopo aver abbandonato tutto. E’ un drammatico appello lanciato alla vigilia del secondo tempo di questa odissea moderna della persecuzione rappresentato dal Piano Marshall elaborato da Aiuto alla Chiesa che soffre per consentire il ritorno nella piana di Ninive delle popolazioni cristiane che hanno dovuto lasciare la loro terra.
Tornare a Mosul e Qaraqosh: questo è l’obiettivo degli oltre 120mila profughi ospitati nei container di Erbil dove in questi anni la vita è ripartita con al centro la stessa, granitica fede di prima. Cavina sta svolgendo una vasta opera di sensibilizzazione come una sorta di ambasciatore della libertà religiosa in un occidente addormentato che ha preso coscienza del dramma di questi fratelli nella fede soltanto recentemente. Ed è quello che ha fatto anche a Correggio in provincia di Reggio Emilia ospite del Circolo culturale Piergiorgio Frassati che ha organizzato anche una colletta da destinare ad Acs.
Cavina ha raccontato dei viaggi, partendo dal primo, organizzato nel 2016 a contatto con le sofferenze della moltitudine di perseguitati cristiani i quali, pur di rimanere fedeli a Gesù, hanno scelto di perdere tutti i loro beni. Nella visita di quest’anno, invece, ciò che ha impressionato il prelato sono stati una violenza ed un odio spaventosi, che hanno causato rovine, paesi distrutti, cimiteri cristiani profanati, luoghi di culto saccheggiati e fatti oggetto di ogni forma di disprezzo. “I simboli cristiani più cari quali tabernacoli, statue della vergine e immagini di santi sono stati frantumati con modalità scientifica. Le chiese, le case e le altre costruzioni sono state “violentate” con il fuoco, le armi da guerra o agenti chimici in grado di infettare ed inquinare così da rendere difficile un ritorno nelle abitazioni”.
Ma anche la vita ad Erbil non è stata agevole: i quindici campi profughi presentavano condizioni igienico sanitarie insostenibili, mancanza di spazio, senza luce, acqua e servizi igienici, con una temperatura di -10° d’inverno e di + 50° d’estate. “Alla vista di quelle condizioni – ha spiegato Cavina riportando questi pensieri anche nel diario che poi ha consegnato a Papa Francesco - mi sono sentito appesantito da un senso di angoscia ed impotenza”.
Al grido di disperazione lanciato nel 2016 (“Ci sentiamo abbandonati dalla Chiesa”) e che fece tornare in Italia Cavina con un imperativo preciso, ha fatto fronte una campagna di carità vera di incommensurabili aiuti materiali e spirituali. A cominciare dai 100mila euro donati personalmente da Papa Francesco e dai fondi delle diocesi di Carpi e Ventimiglia-San Remo per proseguire con il dono più richiesto dai sacerdoti cacciati: i paramenti per celebrare l’Eucarestia. “Nonostante tutto la prima preoccupazione dei cristiani è stata quella di far costruire in ogni campo una chiesa per avere la presenza di Gesù, il bene più prezioso, al quale raccontare le proprie difficoltà e dal quale ricevere forza e coraggio non solo per superare le difficoltà ma anche per saper perdonare”.
Cavina ha mostrato le fotografie della vita all’interno dei campi profughi: ci sono i poster con le foto delle tre chiese più importanti di Mosul, mentre altrove non mancano immagini della veneratissima Madonna di Lourdes oppure la scritta giovanpaolina: “Non abbiate paura”, ma anche i lavoretti artigianali soprattutto delle donne.
Il vescovo emiliano ha ribadito poi che i profughi sono estremamente determinati nel voler tornare alle loro case “anche perché hanno l’impressione che non solo il califfato, ma anche il governo iracheno voglia eliminare ogni presenza cristiana nel Paese e perciò rivendicano a pieno titolo il diritto alla cittadinanza”.
Per ribadire questa presenza dunque, l’arrivo di delegazioni di ecclesiastici che ascoltino dalla viva voce delle persone il dramma che hanno vissuto e stanno vivendo è fondamentale tanto che il solo vedere “un vescovo occidentale è per loro una festa immensa, proprio perché si sentono ancor di più in comunione con noi”. Una presenza che vorrebbero fosse suggellata da un sogno che sperano presto si faccia realtà non appena la situazione si sarà normalizzata: “Dite al Santo Padre di venirci a trovare”. Un sogno che non è più impossibile.