Il Green Pass può diventare un Grande Fratello
Se lo Stato spinge tutti i cittadini a dotarsi di Green Pass, può darsi che non lo faccia solo per tutelare la salute pubblica. Può essere usato come un nuovo strumento di controllo di massa, capace di tracciarci e usare i nostri dati, molto più di quelli che già cediamo volontariamente.
L’adozione del Green Pass sta sollevando numerosi interrogativi e polemiche in Italia e in Europa, dove molti Paesi non lo applicano anche perché contrario alle norme dell’Unione Europea che vietano ogni discriminazione nei confronti dei cittadini “che non possono o non vogliono vaccinarsi”.
Il dogma della Ue, così caro a buona parte della politica italiana, sembra curiosamente non valere quando si tratta di porre in atto strumenti coercitivi nei confronti della popolazione. Non è un’esagerazione dal momento che diversi esponenti di governo e maggioranza ammettano che il Green Pass non è uno strumento per la sicurezza sanitaria, bensì teso a incoraggiare le vaccinazioni rendendo la vita più difficile ai non vaccinati, che hanno, come alternativa, un tampone da effettuare ogni 48 ore e che, a quanto pare, non sarà gratuito proprio per non incoraggiare chi è restio a inocularsi un vaccino che non ha completato il lungo iter di test sulle conseguenze indesiderate a breve, medio e lungo termine.
Benchè sia importante non confondere Green Pass e vaccini è importante precisare che questi ultimi sono utilizzabili su vasta scala solo nell’attuale stato di emergenza, in assenza di cure omologate. L’obiettivo coercitivo e persuasivo del Green Pass è evidentemente in antitesi con quanto stabilito dall’Unione Europea oltre che con i principi basilari su cui dovrebbe fondarsi uno Stato di diritto.
Il Green Pass, al pari del prolungato e acritico bombardamento mediatico che incita a procurarselo, ormai, anche cani e gatti, sembra quindi rappresentare uno strumento idoneo alle operazioni psicologiche, branca delle operazioni militari che si pone l’obiettivo di influenzare la percezione dell’opinione pubblica dei Paesi nemici. Nato per consentire in relativa sicurezza i viaggi all’estero, il passaporto verde viene oggi imposto agli italiani con la motivazione di contrastare la diffusione del Covid e quindi di “mantenerci liberi”.
Impossibile però non notare che il Green Pass consente ai vaccinati, che possono comunque contrarre il virus e contagiare altre persone (vaccinate o meno), di essere “liberi” di contagiare anche senza esserne consapevoli e in ogni caso senza bisogno di sottoporsi a tamponi periodici. Si premia quindi, con una maggiore libertà, il vaccinato discriminando il non vaccinato, ma si rischia così di favorire la diffusione del Covid. Per contrastarla avrebbe paradossalmente un maggiore significato sanitario il Green Pass legato ai tamponi effettuati ogni pochi giorni, ma per ottenere questo risultato sarebbe in realtà sufficiente la certificazione rilasciata a tampone effettuato senza bisogno di codici tracciabili QR sui telefonini.
Puntando sui vaccini ad ogni costo, con una foga, un’enfasi e proposte spesso grottesche (open day, gelati offerti ai ragazzini che si vaccinano il tutto senza alcun controllo sulle condizioni di salute) di fatto si scoraggia il tampone, uno strumento che consentirebbe una riduzione del rischio di circolazione del virus, per incoraggiare al tempo stesso il ricorso ai vaccini, che permetterà un più ampio e inconsapevole rischio di contagi e il cui prezzo è stato “stranamente” aumentando del 25 per cento da Pfizer, nonostante la produzione di massa dovrebbe ridurne il prezzo.
Non è un caso che in molte nazioni europee l’accesso al confine venga consentito solo dopo un tampone e persino la quarantena, anche se si è vaccinati con doppia dose, mentre il tampone è stato chiesto anche ai giornalisti, tutti vaccinati, che volevano partecipare alla conferenza stampa in cui Mario Draghi ha annunciato le restrizioni legate al Green Pass.
Le regole di Palazzo Chigi sembrano quindi smentire le affermazioni contraddittorie dello stesso presidente del Consiglio, che peraltro nessun grande media ha ritenuto utile evidenziare, soprattutto quando ha sostenuto che col Green Pass potremo stare insieme ad altre persone senza il rischio di contagio e che l’invito a non vaccinarsi è un invito a morire quando in Italia sono oltre 4,2 milioni i guariti dal Covid.
Appurato che il primo obiettivo del Green Pass è complicare la vita a cittadini e categorie di lavoratori per indurre tutti ad accettare i vaccini sperimentali, appare chiaro che tale strumento ha tutte le caratteristiche potenziali per diventare uno strumento di controllo di massa, aumentando progressivamente il numero di luoghi, mezzi di trasporto, locali, iniziative a attività dove verrà richiesto per accedere. Uno strumento persuasivo/coercitivo quindi, non sanitario e persino dannoso (come ha sostenuto la dottoressa Maria Rita Gismondo dell’ospedale Sacco di Milano), ma che, in una valutazione politica e sociale, può costituire un utile test per verificare, grazie al perdurare dello stato d’emergenza, la disponibilità degli italiani a subire forme di controllo, punitive e discriminatorie, che si aggiungono alle limitazioni dei diritti fondamentali e delle libertà più elementari già testati con il lockdown.
Limitazioni che hanno visto il tentativo di far sfogare lo stress sociale, cercando al tempo stesso di “cementare” il consenso, con la “caccia agli untori” alimentata dalle istituzioni e amplificata in modo appecoronato alla quasi totalità dei media. Ieri il runner o il canoista che si allenavano da soli su spiagge desolate o in mezzo al mare, oggi chi non intende vaccinarsi o esprime dubbi e critiche sul “lasciapassare verde”, utilizzando il quale forniremo potenzialmente una mole d’informazioni su tutto quello che facciamo, i luoghi che visitiamo e indirettamente (o con controlli incrociati) le persone che frequentiamo oltre che sui nostri consumi e gusti, gli spettacoli a cui assistiamo, i negozi in cui facciamo acquisti, i mezzi di trasporto che utilizziamo, le convention politiche a cui partecipiamo.
E’ vero che molte informazioni di questo tipo già le forniamo grazie a social media, carte di credito, bancomat, telepass, carte fedeltà o altro, ma in questi casi lo facciamo volontariamente, non per imposizione dello Stato. Il rischio concreto, di cui nessuno parla, è che il Green Pass possa costituire uno strumento idoneo a consentire un ampio controllo sociale aumentando il numero di luoghi e servizi accessibili solo con il suo possesso. Uno strumento basato sul tracciamento accurato degli spostamenti, dello stile di vita e dei consumi dei cittadini che potenzialmente potrebbero venire influenzati o indirizzati da questo strumento.
Solo per fare un esempio: quanto influirebbe l’imposizione del Green Pass per accedere a negozi, supermercati e centri commerciali sulla nostra disponibilità ad aumentare gli acquisti on line?
Dati peraltro sul cui eventuale utilizzo a fini commerciali o di profilazione sociale, economica e politica non avremo alcun modo di ottenere garanzie né verifiche (se non da quello stesse istituzioni che ci impongono questo strumento coercitivo) mentre sistemi informatici e banche dati istituzionali in cui inevitabilmente verrebbero immagazzinati i nostri dati si stanno rivelando ogni giorno più vulnerabili ad attacchi hacker provenienti anche dall’estero.