Il grande spreco del decreto di agosto
Era atteso con ansia da milioni di imprese e famiglie ma non contiene novità rilevanti e in grado di imprimere quella svolta necessaria per far ripartire il Paese. Il decreto di agosto è la solita pioggia di bonus e sussidi che continua a uccidere le aziende
Era atteso con ansia da milioni di imprese e famiglie ma non contiene novità rilevanti e in grado di imprimere quella svolta necessaria per far ripartire il Paese. Le mediazioni estenuanti tra Pd, Cinque Stelle e Leu per definire i contenuti del decreto agosto hanno prodotto un testo di legge debole, che tampona ma non risolve, che proroga aiuti e sussidi senza affrontare i nodi strutturali.
Sono passati quasi due mesi dagli Stati generali dell’economia convocati dal Governo per mettere in fila le priorità della rinascita del Paese, ma quella kermesse si è rivelata soltanto una passerella. L’esecutivo ha finto di coinvolgere imprenditori, parti sociali, categorie produttive, professionisti di tutti i settori ma in realtà ha continuato a decidere da solo, rinunciando ad ascoltare chi produce, chi lavora nel privato, chi eroga beni e servizi e non ce la fa più ad andare avanti.
Il decreto agosto è un concentrato di nuovi bonus e sussidi a pioggia, senza una vera strategia di crescita. L’Italia ha bruciato cento miliardi in pochi mesi e si tratta di soldi che vanno a sommarsi al gigantesco debito pubblico pregresso e che hanno coperto in minima parte le voragini prodotte dalla pandemia, senza porre le premesse per una vera ripartenza.
Le imprese chiedevano giustamente la libertà di poter ristrutturare le loro attività, anche licenziando. Invece, oltre alla cassa integrazione, è stato prolungato il blocco dei licenziamenti, che costringerà molte aziende a chiudere. Quelle che riusciranno a sopravvivere non saranno comunque competitive sui mercati poiché, a fronte della contrazione della produzione e dei ricavi, dovranno continuare a sostenere i costi fissi delle risorse umane. L’agile strumento dei contratti a termine viene ancora una volta demonizzato, ma la verità è che senza flessibilità non c’è sviluppo imprenditoriale e sociale.
Il leitmotiv del decreto agosto rimane quindi quello dei decreti precedenti, cioè l’assistenzialismo statalista, che poteva giustificarsi nei primi mesi di emergenza, durante il lockdown, ma ora appare la maschera di un Governo non più in grado di reggere all’urto della crisi socio-economica, pronta ad esplodere dopo le vacanze estive.
Eppure Conte e i suoi stanno scherzando col fuoco. Cova sotto la cenere la rabbia di milioni di persone che temono di perdere il lavoro, di non riuscire a mandare a scuola i propri figli, di non poter più pagare l’affitto o il mutuo della casa. L’Europa ci ha promesso oltre 200 miliardi, che non arriveranno prima della seconda metà del prossimo anno e che, soprattutto, non sono regali: affinchè l’Italia possa utilizzarli è necessario dimostrare a Bruxelles un sincero slancio riformatore, che non s’intravvede in alcun modo. Occorrono terapie d’urto, riforme strutturali e, per certi aspetti, impopolari, non pannicelli caldi o analgesici per anestetizzare temporaneamente il dolore di chi è sull’orlo del baratro.
Svolta green, potenziamento degli interventi di digitalizzazione, snellimento burocratico, riforma del mercato del lavoro sono requisiti essenziali per attingere al Recovery Fund, ma l’alto tasso di litigiosità tra le forze politiche di maggioranza e tra queste e l’opposizione rischia di allontanare quel percorso virtuoso di condivisione delle scelte e dei programmi di rilancio.
Nel frattempo i numeri sono impietosi. Nei primi sei mesi dell’anno il Pil è calato del 14,3%, la produzione industriale del 13,7%. Nello stesso periodo sono stati bruciati a causa del Covid-19 ben seicentomila posti di lavoro. I consumi sono crollati e, in generale, la timida ripresa registrata in giugno e luglio appare solo un palliativo.
Imprenditori, partite Iva, lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, professionisti di vari settori, famiglie in ristrettezze hanno bisogno di trovare nello Stato un alleato convintamente solidale. Non basta rateizzare le scadenze fiscali, spostare un po’ più in là la riscossione dei balzelli. Chi non ha prodotto nulla o non ha percepito redditi nei mesi di chiusura totale non può e non deve versare alcuna tassa. Inoltre, non risponde a criteri di giustizia sociale penalizzare la libertà d’impresa e continuare a finanziare carrozzoni parassitari come Alitalia.
Infine, visto che la pandemia ha colpito soprattutto le regioni del nord, non si comprende tanta ostinazione dell’esecutivo nel voler aiutare in via prioritaria il sud, con riduzione dei costi del lavoro e altri sussidi. L’Italia è una e va aiutata nel suo complesso. Piuttosto, ci vuole selettività negli interventi di sostegno. Non si può dare tutto a tutti e non serve dare le briciole a tutti. Un Governo in grado di assumersi le sue responsabilità scelga chi aiutare e come. Quando un treno si ferma bisogna anzitutto riattivare la locomotiva, in questo caso il sistema imprenditoriale. Senza un sincero spirito di fiducia verso le imprese il Paese potrebbe rovinosamente sprofondare