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RIFORME

Il governo sbaglia: l'occupazione non aumenta

Il ministro Poletti non ha fatto a tempo a cantare vittoria per i presunti 630mila nuovi posti di lavoro. Le cifre erano sbagliate. L'Istat calcola meno della metà di nuovi contratti a tempo indeterminato, tutte posizioni già aperte che si sono semplicemente stabilizzate. I risultati delle riforme non si vedono.

Politica 29_08_2015
Poletti

Il balletto di cifre sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato è l’ennesima telenovela estiva che finisce per confondere le idee alla gente, senza dare indicazioni precise sull’andamento della nostra economia. Protagonisti il ministro del lavoro Giuliano Poletti, Palazzo Chigi, l’Inps e l’Istat. Hanno fornito dati diversi sullo stato di salute del mercato del lavoro e alla fine si è scoperto che ad avere ragione era solo l’Istat, unico ente autorizzato a monitorare in modo scientifico il numero effettivo di occupati.

Dal dicastero del lavoro, da Palazzo Chigi e dall’Inps era inizialmente filtrata una notizia sensazionale sul numero di nuovi contratti a tempo indeterminato nei primi sette mesi dell’anno: 630.000. In realtà, il numero effettivo era 327.000, circa la metà, ed è stato fornito dall’Istat, che ha spento gli entusiasmi e ha riportato il ministro con i piedi per terra.

Non è un periodo particolarmente esaltante per Poletti, se è vero che giorni fa, durante il meeting di Rimini, mentre era sul palco, ha ricevuto una telefonata da Renzi (o chi per lui) che lo informava del mancato varo, in consiglio dei ministri, degli ultimi quattro decreti attuativi del jobs act, che è dunque slittato a settembre. Come se non bastasse, è arrivata dall’Istituto di statistica anche la sconfessione sulle cifre dei nuovi occupati. Uno scivolone dietro l’altro, con inevitabile appannamento della credibilità del ministro. Senza contare le tensioni tra il suo ministero e la Presidenza del Consiglio.

Il diretto interessato, dopo le cifre false e gonfiate, ha fatto marcia indietro e ha parlato di errore materiale e banale, ma non è riuscito con questa debole difesa d’ufficio a scacciare gli avvoltoi che lo cingono d’assedio: dai suoi detrattori che stanno a Palazzo Chigi e che non lo amano più di tanto, alle opposizioni antigovernative e ai sindacati, che hanno preso la palla al balzo per denunciare l’inefficacia delle politiche governative in materia di lavoro.

Ce n’è dunque abbastanza, dopo la sfuriata di giovedì della Camusso alla Festa dell’Unità di Milano, per profetizzare un vero e proprio autunno caldo sul versante lavorativo. Non solo per quanto riguarda le infuocate vertenze aziendali, disseminate un po’ in tutt’Italia, ma anche per ciò che attiene ai decreti attuativi del jobs act e alle irrisolte questioni aperte come la cassa integrazione e i controlli a distanza dei lavoratori, veri e propri punti fermi della piattaforma rivendicativa dei sindacati.

Quanto, comunque, ai nuovi occupati, si è chiarito che ad avere ragione è l’Istat. Non ci sono di fatto nuovi posti di lavoro, ma solo la trasformazione di contratti già in essere in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Non si è dunque creata nuova occupazione, se è vero che l’istituto di statistica ha confermato le cifre impietose che già conosciamo: l’Italia ha un tasso di disoccupazione pari al 12,7%, mentre la percentuale di giovani disoccupati si attesta sul 44,2%. Ieri in un’intervista assai illuminante, Enrico Giovannini, ex ministro del lavoro ed ex presidente dell’Istat, ha ribadito che il numero di occupati a giugno 2015 è lo stesso del giugno 2014, mentre il numero di disoccupati è sceso di 85.000 unità. E ha precisato che sul “pianeta giovani” la situazione non è migliorata, anzi: gli occupati sono 860.000, pari a 80.000 in meno di un anno fa.

Ma anche sui contratti a tempo indeterminato, chiamati  “a tutele crescenti”, molte nubi si addensano all’orizzonte perché in questo ambito il ministero di Poletti potrebbe aver creato l’ennesimo pasticcio. Mancherebbero, già per il 2015, stando a rilevazioni attendibili pubblicate ieri da alcuni quotidiani ed elaborate dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, circa 2 miliardi di euro di risorse per coprire gli incentivi che il governo ha stanziato con il jobs act per favorire le assunzioni a tempo indeterminato. In altre parole, a ottobre l’esecutivo potrebbe trovarsi di fronte a un bivio: o fare una manovra correttiva per imporre nuovi balzelli e rastrellare così dalle tasche dei contribuenti quella cifra imprevista o sospendere gli aiuti fiscali alle imprese che fanno contratti stabili, e che quindi potrebbero non essere più invogliate a farli. 

Indipendentemente da quale strada verrà imboccata, fin da ora una domanda appare opportuna: che cosa hanno fatto di male gli italiani per non meritare trasparenza neppure sulle cifre del mercato del lavoro?