Il governo pronto a chiudere i porti in faccia alle Ong
Cambio di rotta del governo. L’accoglienza non è più sostenibile, dunque l’esecutivo Gentiloni si prepara a chiudere i porti. Respingimenti? Non proprio e comunque non se ne può parlare in questi termini. Ma intanto si chiede ai partner europei di accogliere gli emigranti che le loro navi soccorrono in mare. O il governo negherà l'approdo alle navi che non battono bandiera italiana.
MURI CHE ACCOLGONO di Luca Valera
Cambio di rotta del governo. L’accoglienza non è più sostenibile, dunque l’esecutivo Gentiloni si prepara a chiudere i porti. Respingimenti? Non proprio e comunque non se ne può parlare in questi termini (dopo la sentenza europea contraria che diede torto alla politica del governo Berlusconi). Ma il concetto è molto simile: si chiede all’Ue di accettare una chiusura delle nostre frontiere marittime.
Ieri, con un clamoroso colpo di scena, il ministro degli Interni Marco Minniti, una volta appresa l’entità dell’arrivo di massa sulle coste italiane di immigrati dalla Libia, ha fatto invertire la rotta all’aereo che lo stava portando a Washington ed è tornato subito a Roma. Le cifre parlano da sole: 12mila immigrati in arrivo, da 22 navi, nelle ultime 48 ore. Fino a 90mila in partenza dalle coste libiche. Il Viminale ha diffuso una nota per rimarcare che da gennaio a oggi sono sbarcati sulle coste italiane 76.873 migranti, con un’impennata del 13,43% rispetto al medesimo periodo dell’anno passato. Di questi, ben 9.761 sono minori. Le prime misure prese riguardano la distribuzione dei rifugiati sbarcati in massa negli ultimi quattro giorni: due tendopoli in ogni provincia e uso di caserme ed edifici pubblici in disuso. Il piano, però, prevede anche una maggior collaborazione all’estero con la guardia costiera libica da una parte e con gli altri paesi soccorritori europei dall’altra. Sul versante europeo si chiede che anche Spagna, Francia, Malta, Olanda e Irlanda, dopo aver recuperato in mare gli emigranti, li accompagnino sul loro territorio invece che sulle nostre coste meridionali.
La collaborazione con la guardia costiera libica è un compito arduo, come dimostra l’incidente denunciato ieri da Ayoub el Qassem, portavoce della marina libica. L’ufficiale di Tripoli lancia accuse contro gli italiani, rei, a suo dire, di aver lasciato morire in mare decine di donne e bambini. Dei 135 migranti in viaggio verso l’Italia a bordo di un’imbarcazione “sprovvista di motore”, spiega al Qassem ad Agenzia Nova, la Guardia costiera libica sarebbe riuscita “a salvarne solo 72”, di cui 35 fra donne e bambini. “La nostra pattuglia, purtroppo, non è riuscita a salvare gli altri 63 migranti che sono annegati al largo di Zuara”, ha detto el Qassem. “La Guardia costiera libica ha chiesto aiuto a un’imbarcazione civile italiana – continua il portavoce della marina libica - ma gli italiani non sono intervenuti”. Sarà vero? Probabile, ma resta il fatto che la tensione fra Tripoli e Roma è e resta molto alta sul tema caldo dell’emigrazione del Mediterraneo.
Per quanto riguarda la collaborazione con l’Ue, secondo quanto riportava l’Ansa, il governo avrebbe dato mandato al Rappresentante presso la Ue, l'ambasciatore Maurizio Massari, di porre formalmente al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos il tema degli sbarchi in Italia. Messaggio consegnato dall'Italia alla Commissione: l’Europa non può voltarsi dall’altra parte. Altrimenti - spiegano fonti diplomatiche italiane - si potrebbe arrivare a negare l'approdo nei porti per le navi che non battono bandiera italiana, come quelle usate dalle Organizzazioni Non Governative, e non facciano parte di missioni europee. Lo stop non colpirebbe le navi che partecipano invece all’operazione Frontex, mossa per la quale non sarebbe sufficiente un consenso unilaterale.
La nuova svolta decisionista del governo ha sollevato entusiasmi bipartisan. E ha raccolto il consenso anche del presidente della Repubblica: “Se il fenomeno dei flussi continuasse con questi numeri la situazione diventerebbe ingestibile anche per un Paese grande e aperto come il nostro”, ha detto Sergio Mattarella parlando con il primo ministro canadese Justin Trudeau ad Ottawa. “Dall'Italia arriva un grido d'allarme, un sos, non una richiesta di soldi: non possiamo lasciarla sola”, ha dichiarato all’Ansa il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. “Ho parlato con Juncker, un colloquio positivo in cui ha ribadito che l'Ue non può voltare le spalle all'Italia”. “Dopo la chiusura della rotta dei Balcani, è indispensabile chiudere anche quella del Mediterraneo centrale, non si possono avere più ritardi nella soluzione del problema”.
Resta una sola domanda legittima: fino ad ora cosa è stato fatto? E soprattutto: cosa è stato chiesto all’Ue? La maggior parte dei salvataggi in mare è opera di Organizzazioni non governative che agiscono con navi che non battono bandiera italiana. Finora, se ne deduce, i porti italiani le accoglievano senza problemi. Chi ha voluto questa politica dell’accoglienza? L’Italia o l’Ue? Se l’ha voluta l’Ue, come pare di capire dai toni ultimativi usati dal nostro governo, come mai l’Italia ha accettato per sei mesi l’arrivo di quasi 100mila immigrati, senza profferire parola? Il governo si trova adesso a gestire un’emergenza senza precedenti, grave anche rispetto ai mesi scorsi. Ma era un’emergenza ampiamente prevedibile. Che 90mila persone si apprestino a lasciare le coste libiche alla volta dell’Italia è logico: finora il messaggio che è arrivato dalla controporte è quello dell’accoglienza illimitata. Persino nei giorni dell’emergenza per il G7 a Taormina sono continuati i trasporti in mare, dalle coste libiche ai porti italiani: non quelli siciliani, che erano chiusi temporaneamente, ma quelli calabresi e pugliesi. E in quei giorni, il grosso del lavoro l’ha svolto proprio la Guardia Costiera italiana.