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DECRETO CURA ITALIA

Il governo non cura un'economia malata

Delude il decreto "Cura Italia", per sostenere l'economia colpita dall'epidemia di coronavirus. Misure decisamente insufficienti per far fronte a un'emergenza su scala planetaria. Il governo ha costretto l'economia a fermarsi per un mese, per motivi sanitari, ma dà mancette alle partite Iva. E 600 milioni ad Alitalia

Editoriali 19_03_2020
Conte annuncia il decreto Cura Italia

Un conto è non essere disfattisti e non fare polemiche, altra cosa è essere acritici e passivi di fronte a palesi incongruenze. Si è detto che il Paese supererà l’emergenza attuale solo se unito e coeso, ma proprio per questo occorrerebbe che venissero messe in campo politiche equilibrate, coerenti e soprattutto rispettose degli sforzi che tutti gli italiani stanno compiendo, ciascuno nel proprio ambito.

Il decreto legge “Cura Italia”, sul quale peraltro ci risultano frizioni non leggere tra gli alleati di governo, appare come il classico pannicello caldo destinato fin da subito a scontentare tutti, se non qualche beneficiario appartenente alla schiera dei “soliti noti”. Anzitutto non risultano per nulla chiare le argomentazioni a supporto della frase pronunciata dal premier nella conferenza stampa di presentazione (meglio sarebbe esibizione) del testo del decreto: «25 miliardi che ne movimenteranno 350». Avrebbe potuto essere più chiaro sul punto. E poi la cifra è chiaramente insufficiente, tanto più che fino ad aprile non vi saranno altri interventi, come ha confermato Palazzo Chigi. Tutti gli altri Paesi, peraltro meno toccati dall’emergenza Coronavirus, stanno inserendo liquidità vera nei loro sistemi, dai 1.000 miliardi di dollari negli Usa ai 150 miliardi di yuan in Cina, fino ai 550 miliardi di euro in Germania e ai 200 miliardi della Spagna. Questo conferma che un Paese così tanto indebitato come l’Italia ben difficilmente potrà avere margini di manovra per provvedimenti realmente “poderosi” (il vocabolo usato dal premier in conferenza stampa) anche nel prossimo futuro.

Ma entrando nel merito delle misure adottate, spicca fin da subito l’ennesimo salvataggio di Alitalia, che riceve 600 milioni di euro con la solenne promessa della nazionalizzazione, che scarica ancora una volta sulle tasche degli italiani le perdite consolidate di una compagnia di bandiera dalla struttura pletorica e anti-economica. Cassa integrazione per i 1.500 dipendenti di Air Italy, altra compagnia aerea decotta, che senza Coronavirus, al pari di Alitalia, avrebbe dovuto sottoporsi a una robusta cura dimagrante nella speranza che qualcuno sul mercato si dichiarasse realmente interessato ad acquisirla. 

Superpoteri per il commissario Domenico Arcuri, che potrà requisire immobili per farne degli ospedali, e divieto di licenziamento da parte delle aziende per 60 giorni, ma senza che queste ultime possano essere sgravate da costi fissi quali gli affitti di uffici o il pagamento dei fornitori. 

Il rinvio delle tasse è, appunto, un semplice posticipo di un mese o due, ma le tasse andranno comunque versate fino all’ultimo euro, anche se gli esercizi commerciali e le attività produttive hanno registrato in questi mesi un fermo totale a causa dei divieti introdotti per evitare il contagio da Covid-19. Peraltro le dilazioni dei versamenti pare siano previste solo per alcune piccole e medie imprese e non per tutte.

Poi c’è l’affronto ai lavoratori autonomi, stagionali e alle partite Iva, che certamente non godono della simpatia di questo governo: 600 euro di mancetta. Neppure sufficienti per pagare un affitto di un mese in una città di provincia. Invece i 780 euro mensili del reddito di cittadinanza a disoccupati che in molti casi svolgono lavori in nero rimangono intatti e nessuno si è sognato di metterli in discussione. Anzi il governo ha sospeso per due mesi le misure di condizionalità previste dal reddito di cittadinanza, quali l’immediata disponibilità al lavoro e all’impegno in attività di servizio alla comunità. Ai lavoratori dipendenti con reddito lordo fino a 40mila euro annui che continueranno a lavorare nelle sedi di lavoro (non in smart working) verrà riconosciuto un bonus irrisorio di 100 euro per il mese di marzo, sotto forma di riduzione del cuneo fiscale, in proporzione ai giorni lavorati.

E poi siamo sicuri che il sostegno finanziario al settore sanitario sia sufficiente? Lo stato di emergenza è stato dichiarato ormai da tempo, ma le mascherine e i respiratori scarseggiano tuttora. Dalla Cina sono arrivati 13 specialisti e 17,3 tonnellate di aiuti, con materiali sanitari, dalle mascherine ai respiratori. Ma era proprio necessario arrivare fino a questo punto, considerato che l’emergenza, proprio sulla scorta delle notizie che arrivavano dal fronte asiatico, era abbondantemente prevedibile, quanto meno per ciò che riguarda il rischio di contagio e la necessità di un congruo numero di mascherine e apparecchiature mediche?

Man mano che l’allarme sanitario rientrerà, e la cosa sarà ovviamente graduale, inizieranno ad amplificarsi i malumori per una manovra che non appare ispirata né a criteri di giustizia sociale né a logiche macroeconomiche. Sono provvedimenti tampone che ritardano il confronto con l’atroce realtà che sta dietro l’angolo: una paurosa recessione e un incremento esponenziale delle povertà.