Il governo accelera sul premierato, le opposizioni insorgono
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Riforma del premierato e autonomia differenziata (che è legge) possono essere esibite dal centrodestra in vista dei ballottaggi. Ma la strada è ancora lunga perché servirà probabilmente un referendum.
In vista dei ballottaggi, che possono ancora decidere le sorti di amministrazioni cittadine importanti, il centrodestra si candida ad esibire in campagna elettorale un altro trofeo: quello di due riforme epocali, destinate a rivoluzionare l’organizzazione dello Stato e l’equilibrio dei poteri.
Ovviamente tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e quindi bisognerà attendere di verificare gli sviluppi attuativi di tali importanti novità. Tuttavia il dado è tratto e la maggioranza va avanti per la sua strada, sulla base di un’intesa tra Fratelli d’Italia e la Lega, mentre Forza Italia si mostra tiepida e sta alla finestra.
In poche ore infatti il Senato e la Camera dei Deputati hanno dato il via libera alla riforma del Premierato e a quella sull’Autonomia differenziata, due delle riforme centrali proposte dal Governo italiano per ristrutturare l'assetto istituzionale del Paese. La riforma del Premierato, che modifica la Costituzione, è al primo passaggio parlamentare su quattro e, senza la maggioranza dei due terzi, richiederà un referendum confermativo. La riforma dell’Autonomia differenziata, approvata a notte fonda con 172 sì, 99 voti contrari e 1 astenuto, è invece già legge.
Il Premierato prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, introducendo significative modifiche al sistema politico italiano. Prima dell’entrata in vigore sarà necessaria una nuova legge elettorale. Il Premier potrà essere eletto per un massimo di due mandati consecutivi, ciascuno della durata di cinque anni. Una volta eletto, il Premier avrà il potere di nominare e revocare i ministri. Tuttavia, sarà il Presidente della Repubblica a conferire ufficialmente al Presidente del Consiglio l'incarico di formare il governo. Entro dieci giorni dalla formazione, il governo dovrà presentarsi alle Camere per ottenere il voto di fiducia. Se questo non viene accordato, il Presidente della Repubblica ridà l'incarico al premier eletto, che può formare un nuovo governo con una diversa squadra di ministri e maggioranza. Se anche in questo caso il governo non ottiene la fiducia, il Capo dello Stato scioglie le Camere. Nel corso del mandato, se il governo viene sfiduciato, il Presidente della Repubblica dovrà sciogliere le Camere.
In caso di dimissioni, il premier eletto può chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica. Se il premier non esercita questa possibilità, il Capo dello Stato può conferire l'incarico di formare un nuovo governo al presidente dimissionario, che può cambiare maggioranza, oppure a un parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio. Inoltre, non ci saranno più senatori a vita. E’ evidente che si tratta di una riforma che verticalizza non poco la democrazia rappresentativa e attribuisce al premier eletto dal popolo un potere enorme, quello di chiedere al Capo dello Stato di sciogliere le Camere in caso di sue dimissioni. Inoltre, il ruolo del Presidente della Repubblica risulta in parte depotenziato, il che potrebbe anche non essere un male, visto che per decenni abbiamo assistito a governi nati senza tener conto della volontà popolare e solo per alchimie di palazzo con epicentro al Quirinale. Tuttavia le riserve sull’utilità effettiva di questa riforma permangono tutte.
Decisamente più utile e fondamentale per riequilibrare le risorse sui territori redistribuendole più equamente tra regioni virtuose e regioni amministrate con approssimazione e incompetenza è la riforma dell’Autonomia differenziata, che attua il Titolo V della Costituzione ed è composta da undici articoli che definiscono le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Questo provvedimento serve a definire le intese tra lo Stato e le Regioni che richiedono l’Autonomia nelle 23 materie indicate, tra cui la tutela della salute, l'istruzione, lo sport, l'ambiente, l'energia, i trasporti, la cultura e il commercio. Per quattordici di queste materie sarà necessario definire i Livelli essenziali di prestazione (Lep), cioè i criteri che determinano il livello minimo di servizio da garantire.
Le funzioni saranno trasferite alle Regioni solo dopo la determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse previste nella legge di Bilancio. La riforma prevede anche la creazione di una cabina di regia composta da tutti i ministri competenti e da una segreteria tecnica presso il Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio. Entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore, i Lep dovranno essere individuati, e Stato e Regioni avranno cinque mesi per raggiungere un accordo. Le intese potranno durare fino a dieci anni. Infine, la riforma include anche una clausola di salvaguardia: il governo può sostituirsi agli organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle province e dei comuni quando si riscontri che questi sono inadempienti rispetto ai trattati comunitari o in caso di grave pericolo per la sicurezza pubblica.
Le reazioni positive non sono mancate. Il primo a esultare è Matteo Salvini: «Una giornata storica: l’Autonomia è legge! Per un’Italia più efficiente e più moderna, con meno sprechi e più servizi a tutti i cittadini. Una vittoria di tutti gli italiani».
La premier Meloni ha pubblicato un post su X: «Più autonomia, più coesione, più sussidiarietà. Ecco i tre cardini del disegno di legge sull'autonomia differenziata approvato alla Camera. Un passo avanti per costruire un'Italia più forte e più giusta, superare le differenze che esistono oggi tra i diversi territori della Nazione e garantire gli stessi livelli qualitativi e quantitativi delle prestazioni sull'intero territorio. Avanti così, nel rispetto degli impegni presi con i cittadini».
Sulle barricate l’opposizione. Per la segretaria del Pd Elly Schlein viene sancito «che esistono cittadine e cittadini di serie A e di serie B a seconda della Regione in cui nascono. Non si è mai vista una sedicente patriota spaccare in due il Paese con questa autonomia differenziata fatta senza un euro». Schlein ha puntato il dito contro Fratelli d’Italia apostrofando il partito di Giorgia Meloni «Brandelli d'Italia o Fratelli di mezza Italia» e ha accusato la maggioranza di aver approvato la riforma dell’autonomia nella seduta fiume notturna, «forse perché si vergogna».
Per quanto riguarda il Premierato la strada è ancora lunga perché ci vorranno altre votazioni parlamentari e, con ogni probabilità, anche il referendum, che per Meloni potrebbe diventare un boomerang così come lo fu per l’ex premier Matteo Renzi nel 2016. Sulla riforma dell’autonomia, invece, il Paese si gioca una buona fetta di credibilità fin da subito. Vedremo se finalmente esploderanno le contraddizioni di uno Stato centralista che non premia il merito e che disincentiva le virtù delle regioni ben amministrate, finendo per alimentare sacche di parassitismo, soprattutto in alcune aree del sud, che rappresentano una zavorra per l’economia del Paese.