Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

UDIENZE

Il giudizio finale è già cominciato

Nell'ultima riflessione sul Credo, Papa Francesco ci insegna ad affrontare il giudizio finale con grande speranza. Ma questo non vuol dire che tutti si salvino in automatico. La possibilità di esclusione dalla comunione con Dio è reale.

Ecclesia 11_12_2013
Papa Francesco

All’udienza generale dell’11 dicembre 2013, proseguendo le catechesi sul Credo, Papa Francesco ha iniziato il commento alla formula «Credo la vita eterna», trattando del giudizio finale. Di questo giudizio non dobbiamo avere paura, ha detto il Pontefice: ma nello stesso tempo dobbiamo tenere presente, vigilando fin da ora su che cosa pensiamo e come ci comportiamo – perché, in un certo senso, il giudizio finale per noi è già cominciato – che la possibilità di ritrovarsi esclusi dalla comunione con Dio è tragicamente reale.

Il Papa è partito dal Vangelo di Matteo, dove leggiamo che il Signore Gesù «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli… E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra… E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46). Questo, ha detto Francesco, è «un mistero che ci sovrasta, che non riusciamo nemmeno a immaginare. Un mistero che quasi istintivamente suscita in noi un senso di timore, e magari anche di trepidazione».

L’esperienza delle prime comunità cristiane c’insegna che il giudizio, se pure va preso molto sul serio, non deve indurre paura e comporta pure elementi di gioia. Le prime comunità infatti «erano solite accompagnare le celebrazioni e le preghiere con l’acclamazione “Maranathà”, un’espressione costituita da due parole aramaiche che, a seconda di come vengono scandite, si possono intendere come una supplica: “Vieni, Signore!”, oppure come una certezza alimentata dalla fede: “Sì, il Signore viene, il Signore è vicino”». Che cosa significa? È la «Chiesa-sposa che, a nome dell’umanità intera e in quanto sua primizia, si rivolge a Cristo, suo sposo, non vedendo l’ora di essere avvolta dal suo abbraccio: l’abbraccio di Gesù, che è pienezza di vita e pienezza di amore». Se ci mettiamo in questa prospettiva «ogni paura e titubanza viene meno e lascia spazio all’attesa e a una profonda gioia: sarà proprio il momento in cui verremo giudicati finalmente pronti per essere rivestiti della gloria di Cristo, come di una veste nuziale, ed essere condotti al banchetto, immagine della piena e definitiva comunione con Dio».

C’è una seconda ragione per guardare al giudizio finale con speranza: «nel momento del giudizio, non saremo lasciati soli». La Sacra Scrittura ci fa sapere che Gesù Cristo, la Madonna, i santi saranno con noi. «Che bello sapere che in quel frangente, oltre che su Cristo, nostro Paràclito, nostro Avvocato presso il Padre (cfr 1 Gv 2,1), potremo contare sull’intercessione e sulla benevolenza di tanti nostri fratelli e sorelle più grandi che ci hanno preceduto nel cammino della fede, che hanno offerto la loro vita per noi e che continuano ad amarci in modo indicibile! I santi già vivono al cospetto di Dio, nello splendore della sua gloria pregando per noi che ancora viviamo sulla terra. Quanta consolazione suscita nel nostro cuore questa certezza». Sarà con noi la Chiesa, che «è davvero una madre e, come una mamma, cerca il bene dei suoi figli, soprattutto quelli più lontani e afflitti, finché troverà la sua pienezza nel corpo glorioso di Cristo con tutte le sue membra».

Non dobbiamo però credere che tutti saranno ammessi nella comunione con Dio. La stessa Sacra Scrittura c’insegna che alcuni se ne ritroveranno esclusi. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni a proposito di Gesù Cristo che «chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,17-18). Anzitutto, questo significa «che quel giudizio finale è già in atto, incomincia adesso nel corso della nostra esistenza. Tale giudizio è pronunciato in ogni istante della vita, come riscontro della nostra accoglienza con fede della salvezza presente ed operante in Cristo, oppure della nostra incredulità, con la conseguente chiusura in noi stessi».

La possibilità dell’esclusione dalla comunione con Dio è tragicamente reale. Infatti, «se noi ci chiudiamo all’amore di Gesù, siamo noi stessi che ci condanniamo. La salvezza è aprirsi a Gesù, e Lui ci salva; se siamo peccatori – e lo siamo tutti – Gli chiediamo perdono e se andiamo a Lui con la voglia di essere buoni, il Signore ci perdona. Ma per questo dobbiamo aprirci all’amore di Gesù, che è più forte di tutte le altre cose. L’amore di Gesù è grande, l’amore di Gesù è misericordioso, l’amore di Gesù perdona; ma tu devi aprirti e aprirsi significa pentirsi, accusarsi delle cose che non sono buone e che abbiamo fatto».

Il Signore vorrebbe salvare tutti. Ma «siamo noi che possiamo diventare in un certo senso giudici di noi stessi, autocondannandoci all’esclusione dalla comunione con Dio e con i fratelli». Dobbiamo dunque fin da ora «vigilare sui nostri pensieri e sui nostri atteggiamenti», pensando «a questo giudizio che comincia adesso, è già cominciato».