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IL BELLO DELLA LITURGIA

Il Giudizio del Beato Angelico dove c'è chi prega per noi

Il dipinto recentemente restaurato si trova presso il Museo Nazionale di San Marco a Firenze: il Figlio divide chi Lo ha riconosciuto da chi Lo ha rinnegato. I dannati hanno posture disarticolate, espressione di angoscia e disperazione. L’opposto di quanto accade sull’altro lato della raffigurazione dove gli angeli invitano i beati a un gioioso girotondo. Infine c'è chi intercede per gli uomini.

Cultura 17_10_2020

Beato Angelico, Giudizio Universale, Firenze – Museo Nazionale di San Marco

Inoltre vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio”. (Lc 12, 8-9)

La tavola dal Beato Angelico raffigurante il Giudizio Universale, nella versione conservata al Museo Nazionale di San Marco a Firenze, era stata probabilmente pensata quale cimasa, vale a dire il coronamento, di un seggio del coro del complesso fiorentino di Santa Maria degli Angeli, ora scomparso. Si giustificherebbe così la forma insolita - un rettangolo con tre lobi - di questo dipinto a tempera cui un recente restauro ha restituito i brillanti colori originari e la piena leggibilità del testo pittorico.

Cristo è l’apice di una struttura piramidale lungo i cui fianchi si dispongono gerarchicamente schiere di creature angeliche e duplici teorie di santi. Otto serafini lo circondano: l’ottavo, del resto, è il giorno della resurrezione e della parusia finale. Gesù si manifesta in tutta la Sua regalità, splendente al centro di una mandorla di luce che dice della Sua piena Sapienza in base alla quale giudica l’umanità intera. Le nubi sulle quali è assiso rimandano, nella Bibbia, alla presenza di Dio: al cospetto dei Suoi angeli, con il solo gesto delle mani che ancora mostrano le ferite inflittegli durante la Passione, il Figlio divide chi, davanti agli uomini, Lo ha riconosciuto da chi, viceversa, Lo ha rinnegato.

Il pittore descrive l’aldilà con precisione naturalistica, immaginando il Paradiso come un giardino dalla ricca vegetazione e l’Inferno quale grotta arida e terrosa. Vi si raccolgono, rispettivamente, i beati e i dannati che due angeli dell’Apocalisse, con le loro lunghe trombe, hanno appena risvegliato e fatto uscire dagli avelli lasciati aperti al centro della scena. La fila dei sepolcri marmorei conferisce profondità allo spazio conducendo lo sguardo in lontananza, laddove l’intenso azzurro del cielo all’orizzonte è dolcemente rischiarato dalla luce divina. In primo piano il sarcofago lasciato vuoto da Cristo ricorda la Sua vittoria sulla morte, prodromo del destino di eternità cui tutti siamo chiamati.

Il buio infernale è l’interno di una montagna, i cui cubicoli, dove scontano la pena del contrappasso coloro che si sono macchiati di peccati capitali, sono sorretti da un terrificante Lucifero che divora i peccatori. Domina il caos tra i dannati: le loro posture disarticolate, sulle quali l’Angelico si sofferma minuziosamente, sono espressione del più completo disorientamento, di angoscia profonda e disperazione. Esattamente l’opposto di quanto accade sull’altro lato del dipinto dove gli angeli invitano i beati a un gioioso girotondo attorno a un laghetto e a una palma, albero simbolo di resurrezione.

L’Eden fiorito e la nuova Gerusalemme, la città sopra il monte che l’Apocalisse descrive turrita e munita di dodici porte, contribuiscono a definire la geografia del Paradiso che si completa con la corte celeste, ove si compie la comunione dei santi. Riconosciamo gli Apostoli, Paolo compreso, per i loro specifici attributi iconografici. E San Domenico, San Francesco e il primo martire, Santo Stefano. Vi sono anche personaggi del Vecchio Testamento, Abele, per esempio, con l’agnello, Mosè, Davide: ognuno di loro ha ottenuto la propria ricompensa.

Più prossimi ancora a Cristo, in perenne contemplazione, si trovano Maria e Giovanni l’Evangelista, instancabili intercessori della salvezza divina, perché il Paradiso possa, infine, accogliere ciascuno di noi.