Il giovane "pirla", la grande Milano e il finto tonto Pisapia
A leggere i commenti del giorno dopo sulla buona stampa laica, tutta Expo e polizia, vien voglia di mettersi la tuta nera e fare un bel rogo di giornali e tv. Solo metaforicamente, per carità, ma questa overdose di condanne ai figli di papà (Renzi), di prediche farlocche sugli imbecilli in scarpe Nike (Saviano), brucia più di una molotov.
A leggere i commenti del giorno dopo sulla buona stampa laica e improvvisamente tutta Expo e polizia, vien voglia di mettersi la tuta nera, la maschera antigas e fare un bel rogo di giornali e tv. Solo metaforicamente, per carità, ma questa overdose di condanne ai figli di papà (Renzi), di prediche farlocche sugli imbecilli in scarpe Nike (Saviano), è più devastante che scolarsi una pinta intera di benzina. E ci dovremmo pure consolare perché anche noi abbiamo un “papà di Milano” da esibire, che alla “mamma di Baltimora” gli fa davvero un baffo. Nell’Expo delle luccicanti meraviglie e dei giochi di colore, questo papi è il fumogeno mediatico più spettacolare e fiammeggiante. Ancora meglio delle sciacallesche esibizioni dei Salvini, dei Toti e dei grillini, in formazione scudata a chiedere le dimissioni del ministro Alfano, del prefetto, del questore e dei vertici della polizia. Che la strategia degli agenti abbia evitato un massacro peggiore, questo a lorsignori importa proprio niente: quando tira aria di elezioni anche gli imbecilli mascherati tornano buoni.
Mattia, il “pirla”, come l’ha sbrigativamente e graziosamente definito il padre (chissà come si sentirà il baby black bloc a riveder quel filmato tra qualche anno) è subito diventato la star espiatoria del nostro Primo maggio di devastazione. Spaccare tutto «è giusto», aveva detto nella sua prima intervista, giusti i disordini, giusto mettere le strade a ferro e fuoco: «Mi piace far casino a divertirmi. Certo, la banca è l'emblema, se non dò fuoco alla banca sono un c....». Ma meno di 24 ore dopo il ragazzo spiega di essersi pentito: «Mi sono accorto solo alla fine di cosa stava succedendo, non sono un violento e non romperei mai una vetrina», ha dichiarato, aggiungendo che tutta la sua famiglia «si è incazzata di brutto». «Ora sono pronto «a dare una mano a pulire la città. Dopo il casino che ho combinato, basta manifestazioni per me». Olè, dopo la bufera il sereno, l’happy end e l’autodafè di Matteo ci rendono tutti più tranquilli e sollevati. Il bene alla fine trionfa sempre. Ma è davvero così? Basta questo a chiudere l’incidente e a sentirci rassicurati sulla bontà dei nostri antichi valori?
Lo spirito del fare che ha reso grande Milano, il senso del dovere, la dimostrazione di generosità che ha mobilitato subito i milanesi a cancellare i segni della devastazione lasciati dalla pazza masnada in maschera. Ecco qualche esempio di quel positivo e di quella voglia di bene che le fiamme del Primo maggio non sono riuscite a incenerire. Quasi 20mila ieri sono scesi per le vie nella manifestazione di “Nessuno tocchi Milano”: una marea di tute colorate per lavare via lo scempio di quelle nere. Un’altra città che non c’entra niente con i deliri dell’antagonismo sfascista e che ha preso sul serio l’appello del premier Renzi all’orgoglio nazionale, alla soddisfazione per avercela fatta a dispetto dei tanti professionisti della sventura e dell’indignazione permanente. Sono sentimenti autentici che valgono un’inaugurazione in mondovisione, al netto della retorica dello show già compresa e nel prezzo. Eppure, tutto ciò non basta ancora a chiudere la partita con Matteo. Nella sua prima intervista c’è qualcosa in più dell’ostentazione di un raptus mattoide: c’è la confessione, sincera e a viso scoperto, di un’attrazione fatale, di un cedimento alla violenza gratuita (la storia delle banche è solo la fragile barriera di un sentito dire ideologico troppo grande per lui) e senza ragioni: «mi piace far casino, se avessi avuto uno spranga avrei spaccato qualcosa anch'io». Una dichiarazione per dire che non c’è più nulla di vero, che sfasciare è più eccitante e fascinoso che costruire. Con quelli così, non sempre le sberle bastano.
Nessuna commiserazione o buonismi di bassa sociologia. Ma forse quel giovane ha bisogno d'altro, qualcosa di più forte e avvicente del suo "casino" sotto vuoto spinto. Da bravo, ora andrà a scontare i suoi peccati facendo finalmente qualcosa di socialmente utile. Eppure, con lui anche qualcun altro dovrebbe battersi il petto. Certi capataz della politica, innanzitutto, oggi diventati tutti bravi padri di famiglia e che piangono calde lacrime per lo stupro di Milano. Come fa il sindaco Giuliano Pisapia a sfoderare oggi la grinta del duro scordandosi di aver costruito la sua fortuna politica andando anche a raccattare voti tra i centri sociali okkupati? Quelle centinaia di tutte nere, infatti, mica sono state teletrasportate nel centro città dal raggio verde di Star Treck: hanno avuto generosa ospitalità e copertura dagli antagonisti locali e dai movimenti No Expo e Non Tav. Dovrebbe, Pisapia, che ieri giustamente era in testa al corteo dei milanesi “pulitori”, smetterla di fare il finto tonto e denunciare l'illegalità dei centri sociali. E magari chiedere provvedimenti per quei giudici che solo tre giorni fa hanno rimesso in libertà i violenti arrestati dalla polizia perché non ritennero prove sufficienti le mazze, le molotov, i passamontagna e le piccozze sequestrate. Invece di abbaiare alla luna per qualche consenso in più e strappare la piazza a Salvini.
E poi, c’è la grande questione educativa, problema di cultura e umanità che riguarda certo la politica, ma innanzitutto la società, gli adulti e i genitori di tutti i Matteo d’Italia. Ragazzi che non “sanno neppure quello che fanno”, ma soprattutto, non sanno quel che dicono perché nessuno gli ha insegnato niente, un criterio buono e giusto per giudicare e vagliare. Se non quelli relativisti dei media e opportunisti della politica, entrambi bravi a lanciare il sasso e ritirare la mano. Questo succede a vellicare le voglie del nichilismo diffuso, popolare e democratico. Ma c’è sempre un Matteo a fare da testimonial per i cattivi a favore di giornali e Tv e a prendersi poi del “pirla” per rimettere in pace le coscienze.