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ABDULLAH BOZKURT

Il giornalista esule: Erdogan soffia sul fuoco dell'odio

Recep Tayyip Erdogan è stato danneggiato nell'ultimo voto delle amministrative e ancor di più dalla crisi economica turca. Ma può diventare ancor più pericoloso, proprio per distrarre, con crisi internazionali, l'opinione pubblica interna. Ne è convinto Abdullah Bozkurt, giornalista esule in Svezia, ex caporedattore di Zaman, quotidiano vicino all'opposizione chiuso d'autorità nel 2016. Sentito da La Nuova Bussola Quotidiana, Bozkurt descrive una Turchia ormai scivolata nell'autoritarismo islamista, dove il presidente alimenta l'odio contro l'Occidente e i non musulmani. E scrivere liberamente puà costare la vita.

ELEZIONI TURCHE: BATTUTA D'ARRESTO PER IL PARTITO ISLAMICO

Esteri 02_04_2019
Recep Tayyip Erdogan

Abdullah Bozkurt è stato per anni uno dei più importanti giornalisti turchi. Punta di diamante di Zaman, storico quotidiano del Paese che nel 2016, a pochi mesi dal fallito golpe, è stato commissariato dal governo - e privato, improvvisamente, dell'accesso a internet e delle macchine di stampa - per le posizioni ostili allo stesso. Bozkurt si è sentito talmente minacciato da decidere di lasciare il Paese in fretta e furia: il giorno dopo la polizia ha fatto irruzione per eseguire un arresto al quale è riuscito a scampare. Oggi è in Svezia, dove, al sicuro, continua ad essere un importante giornalista che si occupa di "cose turche". Abbiamo discusso con lui delle elezioni del 31 marzo e dello stato in cui versa la Turchia. 

Che cosa significa il risultato delle amministrative per Erdoğan?

È stata un’importante e simbolica vittoria per l’opposizione, eppure non cambierà niente nel Paese. La grande sfida per Erdoğan ora non è l'opposizione che può ancora manipolare, dividere e neutralizzare, ma l'economia della quale ha poco controllo date le dinamiche interne ed esterne. Le cose andranno peggio in Turchia ora che il presidente troverà una distrazione per attirare l'attenzione altrove. Che potrebbe essere uno scontro con i vicini della Turchia, per esempio con la Grecia, o accrescere la tensione nel Mediterraneo orientale con trivellazioni off-shore o, ancora, un'altra incursione militare in Siria.

Perché Erdoğan ha dimostrato di tenere così tanto a questo turno di elezioni amministrative?

Fermo restando che elezioni libere ed eque non sono più possibili in Turchia, Erdoğan aveva bisogno in questo turno elettorale di un ampio margine di vittoria per il suo partito. E ne aveva bisogno per così legittimare la sua politica sia in loco che all’estero e, allo stesso tempo, oscurare le gravi condizioni in cui versa l’economia nazionale. Il presidente, dal primo giorno, ha dimostrato di essere piuttosto preoccupato e temere di perdere in due importanti città: Istanbul e Ankara, il che avrebbe dato forza alla vacillante opposizione. E così è stato. Ma Erdoğan voleva, e continuerà a farlo, anche dimostrare a quanti lo criticano che non possono fare a meno di trattare con lui, che gli piaccia o meno, se intendono impegnarsi con la Turchia.

Come va letta la propaganda elettorale del “sultano” a suon di filmati montati sul video dell’attentatore delle moschee in Nuova Zelanda?

Siamo stati al cospetto di uno scandaloso sfruttamento e manipolazione dell'attacco raccapricciante per fini politici e islamisti. Si è comportato come il miglior complice dell'assassino amplificando il messaggio dell'omicida, mostrando l'orribile filmato delle riprese all'interno della moschea in tutte le manifestazioni elettorali - che sono state trasmesse ancora e ancora in diretta da dozzine di reti televisive. Sta conducendo e costruendo lo scontro e la contrapposizione islam-cristianesimo e turchi-occidentali che sono piuttosto pericolosi. Sta sventolando l'odio nella società turca: quello che l'assassino voleva.

La retorica dell’islamofobia europea e della cristianità che odia l’islam del presidente turco, sono ideologia effettivamente pensata, o sbandierate solo a fini elettorali?

Credo si possa parlare di entrambe le cose, che si sovrappongano in qualche modo. Egli sostiene la retorica per scopi personali e politici, questo è certo, ma allo stesso tempo è davvero convinto che il problema e il fenomeno esistano. È un islamista devoto e impegnato, che vede non solo l'Occidente, ma tutti i non musulmani come ostili alla sua ideologia religiosa. Questo è ciò che fa di Erdoğan un politico pericoloso. Sebbene ci possano essere state delle tendenze islamofobiche in tutto il mondo, anche in Europa, Erdoğan sta facendo del suo meglio per aiutare e promuovere questa tendenza giocando sulla narrativa dell’ islamofobia. È l'esempio migliore, o peggiore, di ciò di cui gl’islamofobi possano servirsi per avallare la loro causa. Ad esempio, avrebbe potuto usare l'attacco di Christchurch per riunire persone di fede, contribuire a un'agenda positiva, ma invece ha voluto solo aumentare il divario, sovrapporre le false accuse contro la Nuova Zelanda in particolare e l'Occidente in generale. In tal modo, ha promosso il manifesto dell'assassino.

Crede sia giusto parlare di un’era Erdoğan che ha radicalmente trasformato il Paese? In cosa è cambiato?

La Turchia è diventata un regime autocratico in cui un uomo solo è responsabile e tiene i fili. Le istituzioni laiche repubblicane non sono riuscite a contenere la trasformazione della democrazia parlamentare in una dittatura. La tradizionale alleanza della Turchia con gli Stati Uniti e l'Europa è stata indebolita. L'ideologia dell'islamismo ha iniziato a dettare le mosse politiche del governo: sia in politica interna che estera. La Turchia oggi è un candidato di disturbo nella politica regionale e internazionale, non più un partner costruttivo.

E adesso che è passato del tempo, può raccontarci che cosa è successo nel 2016 a Zaman – il giornale di cui era capo redattore?

Il quotidiano è stato il più importante giornale che circolava in Turchia. Venivano vendute anche 1,2 milione di copie al giorno. All’indomani delle indagini sulla corruzione del 2013 – un'indagine penale che coinvolse numerosi personaggi chiave del governo turco guidato da Erdoğan e l'AKP. La vicenda era legata all'accusa di un preteso scambio di “gas in cambio di denaro” iraniano (ndr) – il giornale iniziò a subire pressioni del governo. La posizione editoriale era critica nei confronti dell’establishment, specie sulla corruzione allora dilagante e sui legami di Erdoğan con gruppi armati jihadisti in Siria e altrove. Il giornale venne sequestrato nel marzo 2016 con accuse inventate, e trasformato in organo di stampa governativo, un giornale di propaganda in una notte. La reazione dei lettori portò alla riduzione delle copie a circa 4.000 in una settimana. È stato chiuso a luglio di quell’estate: all'indomani del fallito golpe, insieme ad altri 180 media. Ero capo ufficio della versione inglese di ‘Today's Zaman’ ad Ankara.

E perché anche la sua Muhabir News Agency venne chiusa?

Si trattava della mia agenzia. Quella che avevo fondato dopo essere stato licenziato da Zaman in seguito all’acquisizione del governo. Era una piccola agenzia che dava spazio alle notizie: c’erano circa 12 persone che vi lavoravano nella capitale turca. Le sfide non potevano fermare la determinazione nel continuare a fare il mio lavoro. Era stata fondata a maggio, ma il governo l’aveva già chiusa a luglio 2016. Ho capito che le cose iniziavano a mettersi davvero male per me. Ho lasciato il Paese in fretta e furia, il giorno dopo la polizia ha fatto irruzione nel mio ufficio. (La moglie e i tre figli lo hanno seguito poco dopo, ndr.)

Oggi lei è ancora ricercato dal governo turco?

Ogni settimana, l'agenzia di stampa statale fa circolare, nel Paese, la mia foto in stile “wanted” del selvaggio West. Se tornassi a casa, in Turchia, sarei arrestato o verrei ucciso, nel peggiore dei casi, per via della mia continua esposizione sulle operazioni segrete e sporche di Erdoğan, in particolare con gruppi di al-Qaeda e l’Isis.

Che cosa vuol dire essere un giornalista, o più in generale una voce fuori dal coro, nella Turchia di Erdoğan?

Vuol dire essere costantemente in pericolo. Ricevo minacce di morte praticamente ogni giorno. A Erdoğan e alla sua gente non piace quello che scrivo e dico perché le mie indagini si basano su fatti, documenti, fonti affidabili. Ad oggi, 211 giornalisti sono rinchiusi nelle carceri turche, il che dimostra quanto sia grave la situazione dei giornalisti in Turchia: un Paese che negli ultimi anni è al primo posto per imprigionamento di giornalisti. Credo che la verità sia importante e alla fine prevalga sempre sulla propaganda e la falsa narrativa che il governo Erdoğan sta cercando di costruire e imporre.

Tornando alle elezioni. “Andiamo e distruggiamo l’Europa”; davvero sono stati intonati cori simili agli ultimi comizi elettorali di Erdoğan?

Sì, è verissimo. L'hanno fatto subito dopo che Erdoğan ha mostrato il raccapricciante video dell'attacco alla moschea da schermi giganti nella piazza. Ho condiviso due filmati di quella parte del suo discorso e quando il coro si è levato, Erdoğan non si è preoccupato minimamente di condannarlo.