Il gayo spot delle Olimpiadi di Sochi
Due bobbisti vestiti da Diabolik, incollati l’uno alle terga dell’altro, fanno avanti-indietro più volte per darsi lo slancio. "I giochi sono sempre stati un po' gay" recita lo slogan dello spot canadese. Benvenuti alle Olimpiadi di Sochi...
Circola, a proposito delle olimpiadi invernali di Sochi, uno spot video canadese (con uno slogan che già dice tutto: “I giochi sono sempre stati un po’ gay”, ndr) in cui si vedono due bobbisti abbigliati come Diabolik che, incollati l’uno alle terga dell’altro, fanno avanti-indietro più volte per darsi lo slancio. I praticanti del bob a due e a quattro hanno sempre fatto così, anche perché non c’è altro modo. Ma adesso l’allusione a un rapporto omosessuale protetto (infatti, hanno la tuta, e pure il casco) è d’obbligo, visto che lo spot in questione si limita solo a mostrare la presa di slancio, cessando prima che la discesa abbia inizio.
Queste di Sochi, insomma, devono essere per i progressisti di tutto il mondo (occidentale, perché il resto del pianeta sui gay ha ben altre opinioni) le olimpiadi più gay-friendly della storia. Cercando su Google lo spot si vede la testata del popolare motore di ricerca colorata in arcobaleno (bandiera dei pacifisti e dei movimenti lgbt) e dedicata proprio a Sochi. Per chi fosse duro di comprendonio, sotto c’è la citazione tratta dalla Carta Olimpica: «La pratica dello sport è un diritto dell'uomo. Ogni individuo deve avere la possibilità di praticare lo sport senza discriminazioni di alcun genere e nello spirito olimpico, che esige mutua comprensione, spirito di amicizia, solidarietà e fair-play».
Uno potrebbe chiedersi: perché, alle olimpiadi invernali del 2014 qualche sportivo viene discriminato? La risposta è, naturalmente, no. Nessuno è mai stato discriminato in nessuna olimpiade, nemmeno in quelle tenute a Berlino alla presenza di Hitler e vinte da Jesse Owens, che, essendo nero, non godeva certo le simpatie dei laudatori della razza «ariana» padroni di casa. Semmai, sono stati altri a boicottare manifestazioni olimpiche a cui partecipava il Sudafrica ai tempi dell’apartheid o Israele. Il fondatore dei Giochi, barone De Coubertin, volle appositamente tenerne lontana la politica e utilizzarli, semmai, come momento di unità e non di disunione. Come quando, nell’antica Grecia, anche le incessanti guerre si fermavano perché tutti potessero accorrere a Olimpia.
Ma Sochi è solo una scusa per dare addosso a Putin (per chi ancora non lo sapesse, Sochi è in Russia), che vieta sul suolo patrio la propaganda gay e si rifiuta di concedere bimbi russi in adozione a Paesi dove l’adozione da parte di coppie omo è ammessa. E la stragrande maggioranza del popolo russo è con lui, nonché l’intera e potente Chiesa ortodossa. Putin non ha fatto alcuna storia sulla presenza a Sochi di atleti omosessuali. Sono i politicamente corretti del mondo esterno a farne. Obama ha polemicamente mandato quale rappresentante americana una campionessa dichiaratamente lesbica. In verità, gli interessi strategici e finanziari Usa collidono, in questo momento, con quelli della Federazione russa, altrimenti Obama avrebbe fatto come il nostro Letta, che molti tiravano per la giacchetta affinché non presenziasse all’apertura dei giochi. Letta ha praticamente risposto che lui è, sì, contro le discriminazioni, ma che gli affari sono affari, e l’Italia non è attualmente in condizione di fare la difficile.
Il governo russo, che ha un problema gravissimo di denatalità, vuole solo che i gay non propagandino il loro stile di vita tra i minori. E non c’è pressione internazionale che tenga, anche perché la Russia è un pesce troppo grosso da ingoiare ed è, anzi, una potenza con cui tutti, Usa compresi, devono fare i conti. Putin lo sa e sa pure che can che abbaia non morde. Sì, manifestazioni davanti alle ambasciate, proteste, spot, magari qualche pupazzo con la faccia di Putin bruciato in piazza. Ma poi, tutti a casa. Le olimpiadi di Sochi: non volete venirci? E chissenefrega. Infatti, ci sono andati tutti.
Gli indignados si contentino dello sberleffo dello spot canadese, nel quale due sportivi vestiti da Diabolik stanno, per forza di cose, uno appiccicato alle natiche dell’altro. E il riferimento a Diabolik non è così peregrino. Nel 2007 il Re del Terrore ebbe a che fare con un delitto maturato nel giro gay. Poiché agli sceneggiatori era sembrato forse un po’ eccessivo farvi penetrare, travestito, il «macho» Diabolik, la maschera se la mise Eva. Lei, titubante, disse a lui: «Spero che per te vada bene». E lui rispose: «Nessun problema, Eva, per me è un ambiente che non ha nulla di diverso da un altro». Uno potrebbe pensare: be’ un ladro è un ladro, che gliene importa degli ambienti? Il fatto è che gli autori con quel numero vollero rendere apertamente omaggio alle idee delle fondatrici di Diabolik, le sorelle Giussani, appartenenti alla Milano-bene e progressiste. Infatti, una volta Diabolik aveva dovuto operare in un Paese orientale in cui si riconosceva la Cina maoista e, dopo aver plaudito, aveva dichiarato che là uno come lui (cioè, ladro e assassino per avidità) non avrebbe avuto ragione di esistere. E ai tempi del referendum sul divorzio nella seconda di copertina, in rosso, si proclamava che la testata aderiva in pieno alla posizione divorzista. Va detto che «Diabolik» è e rimane una delle mie letture preferite. Però, quando va sul politicamente corretto, mi vien voglia di dire: aridàtece Dorellik.