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RELAZIONE AL PARLAMENTO

Il Garante contro la gogna di giornali e Tv

L'utilizzo di mezzi fraudolenti e raggiri per carpire le confidenze di qualche personaggio pubblico è gravemente scorretto e non si può inquadrare neppure lontanamente nel filone del giornalismo d'inchiesta. Lo ha ricordato il Garante della privacy, Antonello Soro, nella sua Relazione annuale ieri alla Camera.

Politica 24_06_2015
Antonello Soro, Garante della privacy

Nei giorni scorsi,il Tribunale civile di Milano ha condannato la trasmissione La Zanzara (Radio 24-Il Sole 24 ore), per aver mandato in onda la telefonata di un finto Nichi Vendola con l'esponente Pd Fabrizio Barca. Quel file audio verrà cancellato da ogni archivio o link su internet, poiché ha violato le leggi e i principi della deontologia giornalistica L'utilizzo di mezzi fraudolenti e raggiri (in questo caso imitazioni) per carpire le confidenze di qualche personaggio pubblico è qualcosa di gravemente scorretto e non si può inquadrare neppure lontanamente nel filone del giornalismo d'inchiesta.

Lo ha ricordato anche il Garante della privacy, Antonello Soro, che ieri, nella sua Relazione annuale pronunciata alla Camera alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha ribadito i paletti di un sano esercizio del diritto di cronaca nel rispetto dei diritti della personalità altrui. «Importante», ha dichiarato Soro, «la precisazione dei doveri di lealtà e correttezza cui il giornalista deve attenersi nell'esercizio della propria funzione, evitando soprattutto il ricorso ad artifici e raggiri o, perfino, come in un caso esaminato, alla sostituzione di persona. Precisazione recentemente condivisa dall'autorità giudiziaria in sede di impugnazione. L'inchiesta giornalistica, che pure ha una funzione essenziale, da promuovere come straordinario strumento democratico, non può, infatti, ricorrere perfino a un atto che di per sè integra gli estremi di un reato, pur di carpire informazioni riservate e confidenziali».                  

L'Autorità per la protezione dei dati personali ha dunque posto l'accento sulla necessità di un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, diritto all'informazione e tutela della riservatezza, in un contesto di generale mediatizzazione della giustizia. Scontato il riferimento al tema delle intercettazioni e dei rischi di "gogna" mediatica. A detta di Soro, si confonde spesso «il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo» e si perde di vista il criterio di essenzialità dell'informazione, che viene «infranto dalla divulgazione di ampi stralci o, addirittura, della versione integrale di atti d'indagine (interrogatori in carcere, intercettazioni), funzionali a soddisfare la curiosità del pubblico, ma non reali esigenze informative rispetto al procedimento. Il tutto con danno, spesso irreparabile, per i terzi - anche minori, talora vittime del reato - la cui esistenza viene in tal modo messa a nudo e riversata in rete, anche per sempre». Di qui anche l'opportunità, in taluni casi, di riconoscere il diritto all'oblio, sia come corretta contestualizzazione e ricostruzione storica di eventi passati, sia come rimozione di notizie non più attuali e non più indispensabili per garantire il diritto dei cittadini ad essere informati.

Tale esigenza appare alquanto stringente nei casi che coinvolgono terzi incolpevoli o anche soggetti indagati, dei quali, però, si è passata a volte mediaticamente ai raggi X perfino la vita di relazione, senza alcuna connessione con le esigenze probatorie. Il Garante della privacy ha quindi auspicato che Parlamento e governo vogliano farsi carico dell'esigenza di un riequilibrio tra diritto alla privacy e diritto all'informazione, «coniugando gli aspetti della correttezza e lealtà dell'informazione e della riservatezza nelle indagini, nel rispetto del principio di proporzionalità tra privacy e mezzi investigativi ribadito, anche recentemente, dalla Corte di giustizia». Occorre, quindi, da una parte limitare la pubblicazione delle intercettazioni nei casi di dubbio interesse pubblico e, dall'altra, evitare i processi mediatici, che portano all'imbarbarimento dell'informazione e alla sostituzione delle aule dei tribunali con gli studi di una televisione, il tutto in barba a numerose carte deontologiche che gli stessi giornalisti si sono dati, al fine di rendere più credibile lo svolgimento della loro attività professionale agli occhi dell'opinione pubblica. 

É vero che spesso i processi mediatici sono opera di non giornalisti, cioè di conduttori che usano strumenti tipicamente (ma non esclusivamente) giornalistici per intervistare soggetti indagati o rinviati a giudizio o persone collegate ai protagonisti delle inchieste.In questi casi, dovrebbero essere inflitte sanzioni anche ai broadcaster, che mandano in onda tali trasmissioni. Tuttavia, perseguire soltanto loro significherebbe trascurare le violazioni deontologiche compiute da illustri iscritti all'Ordine dei giornalisti che dimenticano quella sorta di «giuramento di Ippocrate» che hanno fatto quando hanno ottenuto il sospirato tesserino: raccontare la verità dei fatti, selezionando i particolari d'interesse pubblico da quelli irrilevanti e rispettando i diritti dei protagonisti delle notizie. Principio calpestato anche dalla pubblicazione di intercettazioni a strascico prive di rilevanza penale e in grado di soddisfare solo la curiosità morbosa di certo pubblico. Speriamo, quindi, che il monito del Garante della privacy non cada nel vuoto.