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IL LIBRO DI CALDECOTT

Il fuoco segreto che anima Tolkien è la sua fede cattolica

Nel volume Il fuoco segreto il direttore del Chesterton Institute, Stratford Caldecott, illumina la spiritualità di Tolkien a partire da un’attenta analisi di opere, personaggi e simboli che popolano l’immaginario epico dello scrittore.

Cultura 07_11_2023
L'Anello

«Ho esposto il mio cuore perché gli sparassero», scrive Tolkien all’indomani della pubblicazione del primo volume de Il Signore degli Anelli. I suoi detrattori ne liquidarono subito l’opera, poiché delineava a loro avviso in maniera semplicistica il confine tra bene e male. Eppure i «temi dell’opera sono la chiave d’accesso alle sue più profonde preoccupazioni, comprese la morte e l’immortalità, la nostalgia del paradiso, la creazione e la creatività, la realtà della virtù e del peccato, della corretta gestione della natura, dei rischi morali che il possesso del potere tecnologico comporta. Dal momento che credeva nelle verità di certi dogmi, egli le utilizzò come torce o lampade di cristallo, che diffondevano la luce nei luoghi bui. Si tratta di una storia che ci dice cose che abbiamo bisogno di sapere».

Nel prezioso saggio Il fuoco segreto (Lindau 2023, pp. 191) recentemente ripubblicato Stratford Caldecott – direttore del Chesterton Institute di Oxford – illumina così il tema della ricerca spirituale di Tolkien a partire da un’analisi acuta di opere, personaggi e simboli che popolano l’immaginario epico del grande scrittore britannico.

«Tolkien era un esploratore. Le storie a cui dedicò così tanto tempo ed energia sono appunti delle sue spedizioni alla ricerca di un mondo più antico o “interiore”. Sapeva di scrivere finzioni, ma allo stesso tempo sentiva che stava raccontando la verità sul mondo». Tolkien fa esperienza infatti dell’amore vero per Edith che diventerà presto sua moglie; del dolore familiare (orfano del padre, perde anche la madre a 12 anni) e collettivo (partecipa alla Prima Guerra Mondiale); dell’amicizia in particolare con Lewis. Tutte esperienze che trasfigura nella mitopoiesi dei suoi racconti epici, dove il linguaggio è rivelativo della realtà profonda, nel contempo misteriosa e concreta, delle cose.

Di qui, rileva Caldecott, «la ‘Terra di mezzo’ prende il nome dalla sua posizione tra paradiso e inferno». Come Lo Hobbit anche il suo capolavoro è un viaggio «“andata e ritorno” dal terreno all’epico, dal quotidiano all’eroico, per poi far ritorno al terreno». Al contrario de Lo Hobbit ne Il Signore degli Anelli «non vi è la riconquista di un tesoro, ma la sua perdita: l’anello deve essere “disfatto” nel fuoco in cui era stato forgiato. Il nemico non può sospettare che coloro che custodiscono l’Anello si rifiutino di utilizzarlo, o addirittura vogliano distruggerlo».

In questo modo, «via via che l’avventura procede, Frodo emerge come modello d’eroe molto “cristiano”. L’eroe cristiano si lascia umiliare e crocifiggere, rifiuta il rispetto e la gloria terreni in nome di qualcosa di molto più grande: non solamente la propria integrità, ma la volontà del Padre nei cieli; non per se stesso, ma per Dio e per il prossimo. Frodo fa quello che sa di dover fare per il bene degli altri: “Ho tentato di salvare la contea ed è stata salvata, ma non per merito mio”». Una missione che inizia, non a caso, il 25 dicembre.

E in effetti i riferimenti cristologici sono, fuor di metafora, molteplici. Per esempio, come Gesù nell’orto degli ulivi, così nella tana di Shelob Frodo subisce le conseguenze del tradimento di Gollum; oppure, come Gesù cade sotto il peso della croce e necessita dell’aiuto del Cireneo, così quando l’Anello cresce in peso e potere l’hobbit cade a terra e Sam si offre di portare “il fardello”. Tuttavia nell’ora finale non è Frodo a salvare il mondo, né Gollum che gli stacca il dito con un morso; «la salvezza giunge come conseguenza della misericordia e del perdono che Frodo aveva dimostrato precedentemente nei confronti di Gollum», ossia in sostanza è Dio che, nella sua provvidenza, sa volgere al bene anche gli errori umani e i piani del nemico.

Riguardo alla figura di Aragorn, Caldecott sottolinea che in lui, «come in Artù, il sangue regale si deve dimostrare meritevole del regno attraverso l’eroismo». Aragorn, che percorrendo i Sentieri dei Morti libera l’esercito fantasma di Isildur e svela le insegne del suo regno che solo i morti viventi vedono e seguono, allude alla figura del Re che dorme e sveglia le anime dei giusti nel sabato santo. Di qui, «una volta che il Re si prende il suo trono, potremo far ritorno al nostro mondo con l’autorità di amici e servitori del Re, per dare inizio al compito che ci attende una volta tornati a casa».

È la «conoscenza di una luce e di una bellezza che vale la pena difendere a ispirare l’eroismo» della Compagnia dell’Anello. Sam, fedele a Frodo, fa ritorno dalla sua famiglia e assume il potere di guarire la Contea dalle ferite della guerra. Galadriel, immacolata per non aver compiuto azioni malvage, «visione di saggezza, bellezza, grazia e luce senza ombre», è figura della Vergine Maria, in quanto ha «la bellezza sia come maestà che come semplicità»; e ancor più Elbereth, Regina delle Stelle, la quale «ha il ruolo di trasmettere la luce alle regioni celesti».

Esiste dunque «uno spirito elfico infuso negli uomini che significa il risveglio di un’insoddisfazione divina, un eros per il trascendente». È la nostalgia di Cristo che il lembas, il «Pan di via» degli Elfi che allude all’Eucarestia, rinsalda. Ne è ben consapevole Tolkien che cerca perciò di partecipare quotidianamente alla Santa Messa per attingere quel «fuoco segreto», ossia «l’amore di Dio che brucia nel cuore del mondo» e di ogni uomo.