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IL CASO VESPA

Il figlio di Riina in Tv fa scandalo E Ciancimino jr?

Nuova bufera su Bruno Vespa, che mercoledì sera, durante la puntata di “Porta a Porta”, ha ospitato in studio Salvo Riina, figlio del boss Totò, per un’intervista accompagnata da polemiche e strumentalizzazioni. Eppure, con altri dubbi personaggi non è andata così. Massimo Ciancimino, ad esempio.

Cinema e tv 08_04_2016
Bruno Vespa

Nuova bufera su Bruno Vespa, che mercoledì sera, durante la puntata di “Porta a Porta”, ha ospitato in studio Salvo Riina, figlio del boss Totò, per un’intervista accompagnata da polemiche e strumentalizzazioni. I vertici Rai (la presidente Maggioni e il direttore generale Campo Dall’Orto) sono stati convocati dalla Commissione parlamentare antimafia per fornire spiegazioni circa la decisione di autorizzare la messa in onda di quei 15 minuti, assai educativi sul ruolo che la mafia ha esercitato sulla vita del Paese.  

Come già accaduto in occasione dell’intervista ai famigliari del boss Casamonica (settembre 2015), il conduttore Rai è finito nel mirino di renziani e gran parte della sinistra per aver dato spazio al figlio di un boss mafioso, offendendo, a detta dei suoi detrattori, la sensibilità del popolo italiano. «É come mettere sullo stesso piano carnefici e vittime», ha commentato qualcuno. «Si trasmette l’idea che tutti siano uguali, al di là delle responsabilità», hanno attaccato altri. E il presidente del Senato è stato durissimo: «Mani insanguinate». Rosi Bindi, presidente della Commissione antimafia: «Si alimenta il negazionismo della mafia dando spazio a ospiti del genere». Una girandola di dichiarazioni al vetriolo, che colgono solo un aspetto della questione.

Si può discutere se sia opportuno o meno dare spazio a figli di boss mafiosi in una trasmissione che dovrebbe fare servizio pubblico. Sono legittime entrambe le posizioni, sia quella favorevole sia quella contraria. Appare discutibile il modo con cui vengono gestite queste interviste, a volte fatte “in ginocchio”, genuflettendosi in modo acritico davanti all’intervistato, accettando supinamente e senza repliche anche frasi francamente imbarazzanti. Ha ragione Monica Maggioni nel dire che «ascoltare il figlio di Riina che non se la sente di giudicare il padre» ferisce profondamente e diventa difficile da accettare. Pensiamo ai famigliari delle vittime delle stragi di mafia e alle loro sofferenze. 

Ma Vespa, nella puntata di mercoledì, molto meglio che in occasione dello show dei Casamonica, ha saputo contestualizzare quel contributo del figlio del boss in un dibattito più generale sui riti della mafia, animando un contraddittorio che è servito a far conoscere meglio agli italiani la natura della mafia, le sue regole, i suoi aspetti più macabri ed efferati, la sua rete di complicità (il figlio di Riina che racconta che durante la latitanza il padre tornava a casa tutte le sere per cena fa raccapriccio). In uno Stato liberale la società ha gli anticorpi per non avere paura di trasmissioni del genere e per saperne apprezzare il valore di testimonianza storica, di documento ricostruttivo di pagine buie della storia d’Italia.

Si discute anche dell’indiretta pubblicità che da una trasmissione del genere potrebbe derivare al libro di Salvo Riina, e questa è una considerazione obiettivamente non oziosa. Che il servizio pubblico possa contribuire al lancio di una novità editoriale del figlio di un boss mafioso appare davvero imbarazzante. Ciò che invece rischia di passare in secondo piano è la strumentalizzazione politica che del caso Vespa si sta facendo in queste ore. Ampi settori della sinistra si sono indignati per la puntata di “Porta a porta” dell’altra sera, dimenticando che, per lunghi periodi, durante i processi di Palermo sulle stragi mafiose e sulla trattativa Stato-mafia, Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito (che ebbe contatti con Riina, ma anche con Provenzano e gli altri capi della mafia siciliana), è stato ampiamente intervistato da giornali e televisioni.

Alle sue parole è stato dato un risalto eccessivo, quasi fossero oro colato, e moltissime penne illustri del giornalismo italiano hanno preteso di trarre da quelle affermazioni, risultate in larga parte false e inattendibili, verità da piegare a interessi di parte, quasi sempre quelli di certa sinistra giustizialista. Bruno Vespa, molto più che nel caso dell’intervista ai Casamonica, ha privilegiato l’altra sera la metodologia della ricostruzione storica, dando parimenti spazio a tutti i punti di vista e illuminando l’opinione pubblica su aspetti delle dinamiche mafiose in parte ancora sconosciuti e inesplorati dalle ricostruzioni giornalistiche. La retorica che ha accompagnato la messa in onda dell’intervista dimostra quanto qualunquismo e moralismo di facciata ci siano ancora nell’informazione italiana.