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IL CASO MOLFETTA

Il falso ideologico di un Bergoglio à la carte

Il caso del corso gender di Molfetta, giustificato da un falso ideologico: ciò che Papa Francesco ha condannato, ma facciamo finta che sia favorevole. È un Bergoglio à la carte cui si ispirano certi vescovi che hanno smesso di rivendicare la "pretesa" della Chiesa sulla salvezza dell'uomo. E vanno a braccetto col mondo senza sapere dove.

Editoriali 29_09_2016
Vescovi

Che cosa abbia spinto il vescovo di Molfetta a regalare un corso della Diocesi a relatori propugnatori della teoria di gender, è mistero che ancora non è stato svelato. Consapevolezza? Calcolo? O convinzione ideologica che la Chiesa debba adattarsi a questa evidente barbarie della mente umana? O forse è solo la sciatteria di seguire stancamente il mondo perché in fondo tanti, dai preti a molti media autorevoli del mondo cattolico si sono adeguati?

Che la teoria gender sia un aborto della mente umana è ormai acclarato a chiunque voglia un minimo riaccendere il lume della ragione e se c’è una cosa sulla quale non esistono imbarazzi o dispute interpretative di nessuno circa le parole pubbliche di Papa Bergoglio, è proprio sul fatto che l’educazione di genere sia un pericolo concreto e serio per l’uomo moderno. Francesco lo ha ribadito in molte salse, ma forse quei vescovi che ancora strizzano l’occhio a questa deriva leggono proprio quei giornali che hanno scelto deliberatamente di non riportarlo adeguatamente.

In più riprese papa Francesco ha definito la teoria gender una «colonizzazione ideologica», simile agli indottrinamenti dei «totalitarismi del XX secolo». Questo sul volo di ritorno dalle Filippine dove non ha esitato a citare i Balilla e la Gioventù hitleriana come naturale approdo per un’infanzia che viene bombardata nelle scuole con i corsi di Arcigay e affini nel mondo.

Ricevendo una delegazione dell’ufficio internazionale cattolico dell’infanzia, il Papa aveva messo in guardia dalla «manipolazione educativa» aggiungendo che «i bambini non sono cavie da laboratorio» e pure in Polonia, parlando con i vescovi, non aveva avuto paura a mettere l’ideologia gender in cima ai mali della società.

Scendendo per li rami troviamo il cardinal Robert Sarah per il quale l’ideologia di genere è peggio dell’Isis e il presidente della Cei Bagnasco che ha accusato il gender di edificare il transumano attraverso campi di indottrinamento. Insomma: la linea è tracciata, le sfumature e i distinguo tanto cari a qualcuno, spazzati via con terminologie che evocano un passato e un presente dal quale difendersi energicamente (totalitarismo, nazismo, Isis, campi di rieducazione etc…). In altri tempi di fronte a queste parole qualcuno avrebbe giustificato le armi, noi ci accontentiamo della penna, certi che sia di gran lunga più efficace e giusta.

Eppure il vescovo di Molfetta è in buona compagnia. Confortato da una mollezza culturale che ci mostra molti vescovi cedere senza drammi particolari alle ideologie del momento. In un passato recente altri confratelli di mons. Domenico Cornacchia avevano strizzato l’occhio alla ghiotta tentazione di apparire alla moda: sul gender ad esempio a Vicenza e in altre diocesi sparse qua e là, soprattutto in altri paesi più progressisti come la Francia e il Belgio.

Gli stessi che, magari, giustificandosi per scelte che sono anti dottrinali si fanno scudo con la del tutto improbabile “benedizione” papale. Uno scudo che resiste anche alle evidenze. Il meccanismo è semplice e diabolico al tempo stesso: ogni qual volta si deve assecondare un’ideologia mondana o una deriva pericolosa, oggi è il gender, ma non mancano episodi sui matrimoni gay, eutanasia o altro, si presenta la cosa come un percorso di accompagnamento verso una meta non definita. E poi si piazza la frase passepartout: “L’ha detto anche il Papa”. In quel momento l’interlocutore, come ad esempio un giornalista, è spiazzato e si accontenta perché non osa chiedere: “Quando? E dove?”. La cosa passa in cavalleria e viene triturata dal circuito mediatico che di questi corti circuiti è famelico come una bestia assatanata.

Pazienza poi se il Papa certe cose non le ha mai dette anzi, le ha condannate. In fondo nessuno chiederà conto, almeno qua sulla terra, della negligenza di quel pastore e della sua disonestà intellettuale. Perché si tende in fondo a giustificare tutto. A questo punto viene da chiedersi con quale faccia un vescovo, successore degli apostoli, riesce a far passare ideologie tragiche per l'uomo millantando un via libera magisteriale che ovviamente non esiste, trincerandosi dietro un placet immaginario che in realtà non è altro che un falso ideologico dove a Papa Francesco si sostituisce il mito parallelo e fuorviante di un Bergoglio à la carte ovvero: ciò che il Papa non ha detto, anzi ha condannato, ma facciamo che l'abbia detto. In un’azienda normale sarebbe già cacciato a pedate, ma la Chiesa non è un’azienda e deve mettere la misericordia sempre davanti a tutto.

Però bisogna stare attenti a non confondere la misericordia con il “volemosebbene”. In fondo, a quanti si scandalizzano perché certi vescovi vengano presi così di mira dai fedeli esausti di questa anarchia pastorale e dottrinale, conviene ricordare che la posta in gioco è alta e drammaticamente decisiva. E che se un pastore smette di essere tale anche le pecore nel loro piccolo s’incazzano, avrebbero detto Gino e Michele.

Perché a dirla tutta, il male di questo pressapochismo pastorale e spirituale risiede nel fatto che i vescovi, molti, troppi vescovi, hanno smesso di rivendicare la pretesa della Chiesa di guidare l’uomo verso la sua salvezza. Sono scesi al livello del mondo, diventandone una parte marginale e silenziata. E hanno cessato di indicare all’uomo di oggi una via di Salvezza unica e originale. Incarcerandosi da soli, come ha giustamente sottolineato Stefano Fontana, e ammettendo di non avere più nulla di originale e definitivo da dire. Per la gioia di camminare insieme, accompagnando, affiancando. Verso dove poi? Verso una meta finale che assomiglia sempre di più ad un baratro.