Il draghismo, una rivoluzione dall'alto
Il discorso di Draghi al Senato è stato per il 90% retorica e solo per il restante 10% contenuti veri. Il presidente incaricato del Consiglio elimina la sussidiarietà e spegne la speranza di tornare alla vita prima del Covid.
Il discorso di Mario Draghi al Senato? 90% retorica e 10% draghismo. Con «draghismo» vogliamo indicare il possibile Dna di questo governo, ossia le sue peculiarità, le sue specificità. Ma procediamo con ordine.
Il discorso del premier può essere diviso in due sezioni. La prima delinea, con abbondanti dosi di retorica, lo spirito di questo nuovo esecutivo, ossia i topoi ideali a cui Draghi si ispira. E così abbiamo il senso di responsabilità, lo spirito repubblicano, la «condivisione di valori e di speranze», «il dovere della cittadinanza» esplicitato nel senso che anche noi politici «siamo tutti semplicemente cittadini italiani», il post-covid come periodo post-bellico, il futuro delle prossime generazioni.
La seconda parte del discorso riguarda invece gli obiettivi del governo. Troviamo i soliti: l’istruzione, l’europeismo/atlantismo, la situazione sanitaria, il piano vaccinale, la povertà, l’ambiente, la parità di genere, il Mezzogiorno, la Next Generation Eu, la riforma del sistema fiscale e della Pubblica amministrazione, la giustizia, l’immigrazione.
Mentre Draghi sfiorava questi temi però, ogni tanto, si soffermava su alcuni aspetti particolari che forse possono essere gli indizi di quel Dna caratterizzante il suo esecutivo e a cui facevamo cenno prima. Partiamo da quello «spirito repubblicano» che il premier ama ricordare più volte. Pare che questa espressione abbia soppiantato nel suo immaginario lo «spirito democratico», assai più in voga oggigiorno. Lo spirito repubblicano è espressione legata, su un primo versante, proprio al periodo post-bellico, quando la monarchia era stata da poco mandata in esilio. E su altro fronte lo spirito repubblicano indicato dal premier potrebbe forse alludere ad un governo molto laico e molto tecnico, un governo di costruttori di una nuova Italia, come ai tempi di Cavour, statista citato da Draghi. Rifacendo l’Italia si potrebbe cogliere l’occasione di rifare anche gli italiani. Ma sono solo suggestioni.
Veniamo a qualcosa di più concreto. Quando il Nostro parla a favore dell’europeismo/atlantismo, aggiunge che gli Stati «nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa». Una dichiarazione chiarissima di voler cedere quote di sovranità nazionale a favore dell’Europa in caso di necessità (ossia sempre).
In soffitta quindi il concetto di sussidiarietà: l’Europa interviene per aiutare le nazioni quando queste da sole non riescono a raggiungere i propri obiettivi, ma nel rispetto della loro sovranità. Dunque aiuto e non sostituzione, come invece pare alludere Draghi. L’europeismo massimalista del premier parrebbe essere confermato sia dalle sue riflessioni sull’immigrazione sia quando accenna alla Next Generation Eu: le «Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente». Continuità quindi, almeno su questo versante, con il governo Conte che era assai filoeuropeista.
Altra peculiarità: l’adeguamento prono ad alcuni aspetti cardini del mainstream dominante. Ad esempio l’ambiente è tema ricorrente. Addirittura in più occasioni ha messo sullo stesso piano pandemia e cambiamento climatico. Poi la cosiddetta parità di genere.
Poi c’è un terzo segno particolare del nuovo esecutivo, forse il più inquietante. Ad un certo punto Draghi si domanda: «Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così». In filigrana si potrebbe leggere in queste parole e nelle altre che sono seguite a queste il tema del «grande reset». Alcuni indizi per supportare questa ipotesi. Per l’istruzione Draghi disegna scenari dove la didattica dovrà mutare in radice e per sempre. Idem per la riforma fiscale, che deve essere rivista globalmente. Così anche per alcune attività economiche le quali «dovranno cambiare, anche radicalmente». Insomma, aria di rivoluzione?