Il dottore, il missionario e felicità impossibile
Nato nel 1913 a Parigi e morto nel 1979, Gilbert Cesbron è autore di romanzi, raccolte di racconti, saggi e opere teatrali. Non pochi dei suoi romanzi hanno superato un milione di copie vendute. Anche l’opera teatrale È mezzanotte, Dottor Schweitzer ha raggiunto la considerevole cifra di oltre settecentomila copie.
Nato nel 1913 a Parigi e morto nel 1979, Gilbert Cesbron è autore di numerosi romanzi, raccolte di racconti, saggi e opere teatrali. Non pochi dei suoi romanzi hanno superato un milione di copie vendute. Anche l’opera teatrale È mezzanotte, Dottor Schweitzer ha raggiunto la considerevole cifra di oltre settecentomila copie. Sebbene il titolo sembri indicare chiaramente un solo protagonista del dramma, la lettura rivela che sono tre gli uomini di eccezione, potremmo dire straordinari.
Indubbiamente in primis si staglia la figura di Albert Schweitzer, personaggio storico, musicista, medico, di confessione protestante, tutto animato dal desiderio che la sua vita sia ben vissuta come ha modo di scrivere: «Una vita va spesa e vorrei che la mia fosse spesa, e poi spesa bene». Nel 1906 pubblica il saggio Storia della ricerca sulla vita di Gesù. Non riuscendo a ricostruire il personaggio di Gesù razionalmente, attraverso l’analisi e la ricerca storica, Schweitzer prova a identificarsi con lui dal punto di vista emotivo. Così, conseguita anche la seconda laurea in medicina nel 1911, sposatosi con Helene, abbandona la possibilità di carriera e di successo, parte con la moglie come missionario per l’Africa ove fonda un ospedale a Lambarené nel Congo francese. Nel 1952 consegue il Premio Nobel per la pace. Muore, poco tempo dopo la moglie, ormai novantenne, in Congo nel 1963.
Seconda figura straordinaria è quella di Padre Carlo, in cui si cela la figura di Charles de Foucauld. Nato nel 1858, vive una vita avventurosa, prima soldato in Algeria, poi geografo ed esploratore sempre in territorio africano. Recatosi in Palestina per conoscere meglio Gesù, intraprende un cammino di fede, diventa prete, parte per l’Africa stabilendosi nel deserto del Sahara in Algeria, in una regione al confine col Marocco. Muore nel 1916 durante l’assalto al fortino che lui stesso ha fatto costruire per proteggere la popolazione dai predoni. Dopo la morte sorgono ben diciannove famiglie religiose legate al suo insegnamento. I tempi del Signore non sono quelli degli uomini.
Terzo personaggio fuori dal comune è Hervé Lieuvin, comandante militare francese che crede fermamente nel proprio compito. Il dramma teatrale si compone di due atti. Nel primo Cesbron mette a tema la domanda di felicità dell’animo umano. Schweitzer appare in tutta la sua tenacia e laboriosità indefessa, ha rinunciato a tutto, a una splendida carriera di musicista che avrebbe potuto forse condurlo a essere il migliore direttore d’orchestra in Europa, alla professione di chirurgo, ai soldi. Schweitzer è convinto che «ogni grande esistenza nasce dall’incontro d’un gran caso».
È giunto in Africa per far costruire ospedali e per guarire gli ammalati, sta sacrificando la sua vita, ma non è felice, perché non riesce a conseguire i risultati aspettati. Maria è una sua aiutante infermiera, personaggio comune, che rappresenta il desiderio di ogni uomo di essere felice. La donna vuole sapere dal medico se la felicità esista, ma il medico le confida: «Siamo in piena notte, in piena boscaglia e soli, però non esito a confidarle questa verità che ho messo tanti anni ad accettare: la felicità non esiste […]. Ma se lei è degna di questa felicità, capisce allora che non ne ha diritto: che deve assumere una parte del fardello del dolore umano […]. Allora, si abbandona la felicità e si sceglie la gioia». Il dottore si sente sconfitto perché si rende conto che non è cambiato quasi nulla negli anni trascorsi in quel paese. Mosso da una forte pretesa sull’esito delle sue azioni, vorrebbe che esse cambiassero al momento la situazione.
Padre Carlo, invece, profonde tutto il suo amore tra i bisogni di chi nel villaggio ha poco. Libero dall’esito e dal futuro, certo e fiducioso, ricolmo dell’amore di Gesù, non si perde in misure e in calcoli. Il suo volto è sempre sorridente. Maria chiede anche a lui se l’uomo abbia diritto alla felicità. Padre Carlo risponde: «La felicità passa come un sovrano in una sfilata! Uno lo aspetta per tanto tempo […]. D’un tratto, il cuore batte più rapido […]. Ecco! Troppo tardi […] è già passato […]. La felicità non si lascia vedere che di spalle».
Maria, però, non si accontenta, né della risposta del dottore (la felicità non esiste), né può credere a Padre Carlo quando questi afferma che la felicità è sempre sfuggente, perché la possiamo vedere solo quando è passata. Quando si guarda allo specchio alla mattina, l’infermiera si rende conto che vuole essere felice, e presto. Lei non è contenta, ma sta attendendo qualcosa lì in Africa. Per Padre Carlo «l’eroismo consiste nel credere ancora all’idea dopo che si è visto gli esseri miserabili che la incarnano». Non si può mai costruire qualcosa di grande quando si opera contro qualcosa (la fame, la povertà, l’ignoranza, …), solo quando si lavora per qualcuno si opera davvero. L’errore dell’uomo è spesso nella sua presunzione: «Tutto l’errore della vita è che l’uomo vuole essere perfetto e non santo». L’uomo non raggiungerà mai la perfezione, nonostante tutti i suoi sforzi titanici.
Albert Camus (1913-1960) descrive questa situazione esistenziale dell'uomo con il mito di Sisifo, condannato dagli dei a far risalire su un monte un macigno, il quale, ormai prossimo alla cima, ricade giù. Sisifo riprende allora in eterno la sua fatica, senza sosta. Non c’è nulla di più assurdo che lavorare e faticare senza ottenere mai alcun esito dalle proprie azioni. Potremmo più facilmente dire che l’assenza di una ragione per cui lavorare, faticare e alzarsi al mattino può solo rendere la vita disperata e tragica.
Nella parte finale dell’atto I, Padre Carlo incontra il vecchio amico, ora comandante Hervé Lieuvin. I due si riabbracciano con la sorpresa del comandante che non riesce a credere che un tipo come lui sia ora un uomo di Dio. Ma Padre Carlo gli spiega che Dio «quando ci impegna per la sua lotta, ci prende come siamo tutti interi: il buono e il cattivo. Se metti un ceppo al fuoco, tutto brucia: anche i vermi che lo divorano». Padre Carlo fra tutti i missionari è quello che ha avuto meno conversioni, ma il tempo, lui lo sa bene, non è nostro («Si fa del bene nella misura di ciò che si è […]. Occorre che lavori ancora alla mia conversione personale prima di pretendere»). Sa bene che il significato del tempo si comprende meglio nella preghiera che nell’azione e che si può rinascere in ogni momento: «Questa è la meraviglia del Cristo».
Nella prossima puntata vedremo il secondo atto in cui i tre personaggi d’eccezione saranno indotti a scelte categoriche da alcuni fatti imprevisti. In modi differenti se ne andranno da Lambarenè. Chi sostituirà Padre Carlo e Schweitzer nella terra africana? Chi si farà carico delle necessità dei bisognosi? Che accadrà dei cosiddetti personaggi ordinari ora che quelli straordinari sono usciti di scena?