Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico
REGNO UNITO

Il dottor Scott, sorvegliato speciale per la sua fede

Richard Scott, medico cristiano di 59 anni, ha subìto una nuova indagine per aver condiviso la propria fede con un paziente. Giudicato innocente (la denuncia era anonima), sa che il clima laicista rimane pesante. Eppure continuerà a parlare di Gesù ai malati che non si oppongono, perché questo «aiuta»

Libertà religiosa 30_12_2019

Per chi ha visto in faccia la diabolicità del potere anticristiano che permea il sistema sanitario inglese, quanto accaduto a Richard Scott, medico di 59 anni, non appare poi così strano. Ingiusto e tremendo sì ma, ahimè, non sorprendente.

Qui, dove si concentrano le forze di uno Stato che fa dipendere in tutto i cittadini da sé, permettendo una sanità del tutto gratuita (quella privata è costosissima) e riuscendo quindi a fare di loro ciò che vuole fino ad eliminare i deboli (vedi Alfie, Charlie, Isaiah e non solo…), non si può che comprendere l’astio verso ciò che porterebbe ad una ribellione generale delle coscienze.

Perciò Scott, abituato a condividere la propria fede cristiana e a pregare con i pazienti, di un tale sistema è un sorvegliato speciale da anni. A sollevarsi contro di lui è stata prima la National Secular Society (Nss), che lo ha rimproverato per il fatto che un paziente «molto vulnerabile si è sentito a disagio sentendolo pregare». Poi, nonostante la Nss abbia ammesso che non ci fosse il nome del paziente a rendere certa la denuncia, il General Medical Council (Gmc) ha portato avanti il caso scoppiato a luglio, nonostante bastasse l’anonimato ad interromperlo.

È poi curioso il fatto che l’indagine sia partita dopo che il medico, invitato a parlare da Radio 4, aveva raccontato di come spesso - ai pazienti che soffrono di depressione o di ansia - propone la fede come risposta alla mancanza di senso: «Io - ha dichiarato Scott - offro sempre tre elementi: qualcuno ha bisogno delle medicine, qualcuno delle terapie psicologiche e come opzione offro la fede cristiana». Insomma, una proposta libera che non costringe nessuno e che non si pone in antitesi alla scienza. Eppure, nella lettera in cui il Gmc lo informava del processo, si legge che alcune sue affermazioni rilasciate in radio sono contrarie alla buona pratica medica. Ma probabilmente l’espressione pubblica della fece cristiana è indigesta ad un mondo clinico che, volendo essere padrone incontestato, non può sopportare la libertà delle anime, soprattutto se grazie a lui «la scorsa settimana una signora si è convertita», come ha confessato Scott.

Alla fine il medico è stato giudicato innocente, ma solo perché «non vi era una denuncia affidabile fatta in prima persona», altrimenti non sarebbe finita così. Infatti, non è la prima volta che il medico riceve un reclamo a causa della sua fede: «Nel 2010 - ha ricordato - ho avuto un processo relativo alla condivisione della fede con un paziente» e in quel caso «il Gmc ha affermato che avevo molestato un paziente vulnerabile, mentre la mia intenzione era quella di aiutare qualcuno di molto bisognoso partendo da un punto di vista che forse non era mai stato preso in considerazione prima. Non sorprende che mi abbiano giudicato colpevole e mi abbiano dato un avvertimento di cinque anni che è cessato nel giugno del 2017».

Anche se Scott aveva chiarito che «abbiamo discusso reciprocamente della fede solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione del paziente. Nella nostra conversazione ho detto che personalmente avevo scoperto che avere fede in Gesù mi aiutava e poteva aiutare il paziente. In nessun momento il paziente ha mostrato di essere offeso o di voler interrompere la conversazione. Se così fosse stato avrei immediatamente terminato la conversazione».

Perciò, nonostante la recente vittoria, Scott si preoccupa per le giovani generazioni di medici: «Ora abbiamo una generazione di giovani dottori che hanno tanta paura di aprire la bocca su Gesù… Questo è il clima in cui siamo immersi ora e dobbiamo davvero risollevarci di nuovo contro queste voci maligne che non aiutano i nostri dottori, gli studenti o gli infermieri a condividere la propria fede con le persone nei momenti in cui sappiamo che aiuta». Nulla, infatti, come il bisogno estremo chiede di poter incontrare liberamente la Salvezza eterna.

Insomma, se da una parte il clima è tetro, una fede come quella del medico - che si dice certo che questa possa salvare tutti, compresi coloro che soffrono per la mancanza di amore e di senso che causa innumerevoli disagi psichici e fisici - è una luce che fa sperare. Scott ha infatti assicurato che «parlo con alcuni miei pazienti di questioni spirituali perché so che ha aiutato in passato» e sebbene «so che alla mia famiglia non piace che io abbia una causa come questa in corso e so che per altri dottori è difficile, questo fa parte delle mie giornate di lavoro», motivo per cui «non cambierò i modi con cui opero quotidianamente».

Così come ricordava Chesterton, se «nella nostra civiltà moderna la libertà di parola sta a significare, in pratica, che siamo tenuti a parlare soltanto di cose irrilevanti» e che quindi «non dobbiamo parlare di religione perché è illiberale», occorre «che qualcosa sopravvenga ad infrangere questa curiosa indifferenza, questo strano egoismo. Questa strana solitudine che investe milioni di individui». Ma, si chiedeva lo scrittore inglese, «perché a porvi un termine non potremmo essere noi due?».