Il diritto naturale esige la libertà religiosa
Per Benedetto XVI il desiderio di verità è inscritto nel cuore dell'uomo al di là della fede. Per questo è compito degli Stati tutelare la religione.
Il 4 maggio la Santa Sede ha reso pubblico un messaggio, formalmente datato 29 aprile, che Benedetto XVI ha inviato alla professoressa Mary Ann Glendon, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, in occasione della diciassettesima sessione plenaria di tale Accademia, sul tema «Diritti universali in un mondo diversificato: la questione della libertà religiosa».
Il messaggio s'inserisce in un anno che il Papa ha voluto dedicare particolarmente al tema della libertà religiosa, e formula diverse osservazioni importanti sull'argomento. È anche significativo - per quanto si tratti probabilmente di una coincidenza - che la sua pubblicazione sia avvenuta a due giorni dalla visita ufficiale presso la Santa Sede, prevista per il 6 maggio, dei tre Rappresentanti dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) che si occupano rispettivamente della libertà religiosa dei musulmani, degli ebrei, e dei cristiani e membri di altre religioni - quest'ultima funzione dal 5 gennaio 2011 è affidata al sottoscritto -, una visita che rappresenta una «prima volta» nella storia dei rapporti tra Santa Sede e Osce.
Nel Messaggio, anzitutto, il Papa ricorda che la libertà religiosa è un valore di diritto naturale, che la ragione può riconoscere anche a prescindere dalla fede e che dunque s'impone a tutti gli uomini. E tuttavia storicamente la nozione di libertà religiosa è nata nel contesto dell'Occidente e della cultura cristiana. Le altre culture non l'hanno conosciuta finché non è stata loro proposta dall'Occidente. «Come ho osservato in diverse occasioni - scrive il Papa -, le radici della cultura cristiana occidentale restano profonde; è stata quella cultura che ha dato vita e spazio alla libertà religiosa e che continua ad alimentare la libertà di religione e la libertà di culto, costituzionalmente garantite, di cui godono molte persone oggi».
In secondo luogo, il Pontefice ricorda che la libertà religiosa è diventata un principio giuridico internazionale in un momento storico particolare. Le istituzioni internazionali si sono indotte a riconoscerla di fronte alla sua negazione violenta da parte delle ideologie del Novecento. «Queste libertà - osserva il Papa -, a causa soprattutto della loro sistematica negazione da parte dei regimi ateistici del ventesimo secolo, sono state riconosciute e incluse, dalla comunità internazionale, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite», così come in altri testi rilevanti. In terzo luogo, «oggi questi diritti umani fondamentali sono di nuovo minacciati da atteggiamenti e ideologie che potrebbero impedire la libera espressione religiosa», ponendo di nuovo «la sfida di difendere e promuovere il diritto alla libertà di religione e alla libertà di culto».
Con un implicito riferimento al suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace per il 2011, tutto dedicato appunto alla libertà religiosa, il Papa ricorda che questa libertà ha un preciso fondamento filosofico, e proprio per questo è universale e fa parte del diritto naturale. «Profondamente iscritti nella nostra natura umana sono il desiderio di verità e di significato e l’apertura al trascendente. La nostra stessa natura ci suggerisce di perseguire questioni della massima importanza per la nostra esistenza. Molti secoli fa, Tertulliano [ca. 155-230] coniò l’espressione "libertas religionis" (cfr. Apologeticum, 24, 6). Evidenziò che Dio deve essere adorato liberamente e che è nella natura della religione non ammettere coercizioni, “nec religionis est cogere religionem” (Ad scapulam, 2, 2). Poiché l’uomo gode della capacità di libera scelta personale nella verità e poiché Dio si aspetta dall’uomo una risposta libera alla sua chiamata, il diritto a lla libertà religiosa si dovrebbe considerare innato alla dignità fondamentale di ogni persona umana, in sintonia con l’apertura innata del cuore umano a Dio».
Questo «fondamento antropologico della libertà religiosa» è al cuore, ha detto Benedetto XVI, della dichiarazione sulla libertà religiosa «Dignitatis humanae» del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui ancora una volta il Papa ha voluto proporre una corretta interpretazione a fronte di polemiche che non accennano a spegnersi. Il Pontefice insiste anzitutto sul fatto che ogni interpretazione della dichiarazione conciliare in chiave relativistica è senz'altro sbagliata. Infatti, ricorda, «i Padri Conciliari hanno affermato che tutti sono “dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione.” (Dignitatis humanae, n. 2) La verità ci rende liberi (cfr. Gv 8, 32)». Se dunque il ripudio del relativismo ancora l'insegnamento conciliare al Magistero costante della Chiesa, nella «Dignitatis humanae» c'è pure un accento nuovo.
In un mondo in cui nella grande maggioranza dei Paesi del mondo i cristiani praticanti erano o si avviavano a diventare minoranza, il Vaticano II non ha fondato la richiesta di libertà religiosa su argomenti di fede - che sarebbero facilmente ignorati o rigettati dai non cristiani e dai non credenti - ma su argomenti di ragione che valgono per tutti, che siano o meno credenti e qualunque sia la loro fede. Dunque «il Concilio è stato attento a chiarire che questa libertà è un diritto di cui ogni persona gode naturalmente»; è su questa base che «deve anche essere tutelato e promosso dal diritto civile».
Infine, un aspetto molto importante che spesso sfugge a chi legge in chiave di discontinuità rispetto al Magistero precedente la «Dignitatis humanae» è che la Chiesa tiene conto del fatto che nella storia sono esistiti ed esistono diversi tipi di Stato, così che - partendo dalla stessa base fondamentale di diritto naturale - le applicazioni dei medesimi principi ben potranno variare a seconda dello Stato cui ci si trova di fronte. Si potrebbe dire che la Francia di Carlo Magno non è l'America di Barack Obama, e che a diversi tipi di Stato, certo partendo sempre dai medesimi principi generali, la Chiesa suggerisce applicazioni pratiche diverse. Né, ha detto il Papa, la Chiesa nega che «ogni Stato ha il diritto sovrano di promulgare la propria legislazione ed esprimerà differenti atteggiamenti verso la religione nel diritto». Certo, la Chiesa non può approvare «la diffidenza verso la religione» in genere che caratterizza il laicismo moderno. Ma, una volta che l'importanza della religione per la vita sociale sia riconosciuta e che i principi generali della libertà religiosa siano accolti, non pensa che esista un unico tipo di Stato da assumere come ideale - un unico vestito che andrebbe bene per tutti i tempi e tutti i luoghi - e quindi un'unica applicazione normativa dei principi di libertà religiosa che pure, in quanto principi, non mutano.
Com'è evidente, questi spunti aiutano a risolvere alcuni problemi spesso sollevati in ordine al rapporto fra la «Dignitatis humanae», il cui punto di riferimento primario è lo Stato laico moderno - che non è l'unico Stato possibile -, e documenti del passato che tenevano conto principalmente di altri modelli di Stato. I principi non mutano ma, cambiando i tipi di Stato, mutano le applicazioni, senza che la Chiesa canonizzi una specifica forma di Stato come ideale, rimanendo però sempre fermo il ripudio sia della coercizione in materia di religione sia del relativismo.