«Il destino mi è contro? Tanto peggio per il destino»
«La ribellione ha sempre accompagnato la mia vita ed è stato proprio il non accettare il limite imposto dalla disabilità la motivazione che mi ha spinto a gettare il cuore oltre l’ostacolo». Vincenzo Russo, docente di Sociologia all’Università per Educatori Fondazione don Gnocchi racconta la sua storia.
«Un giorno, durante una tavola rotonda, un insegnante cattolico, vecchia-guardia e benpensante mi ha detto che quando parlo metto troppa enfasi e un po’ troppa rabbia in quel che dico. Gli ho risposto di provare a fare lo scambio dei corpi: lui prendeva il mio straziato dalla poliomelite io mi infilavo nel suo aitante e abbronzato di montagna, sport, corse all’aperto», dice Vincenzo Russo, docente di Sociologia all’Università per Educatori Fondazione don Gnocchi. «La ribellione ha sempre accompagnato la mia vita ed è stato proprio il non accettare il limite imposto dalla disabilità la motivazione che mi ha spinto a gettare il cuore oltre l’ostacolo, a sfidare la vita, a non arrendermi, a costruire».
L’infanzia di Vincenzo Russo è trascorsa in istituto lontano dai suoi, la giovinezza alla Siemensdove ha lavorato come operaio, ma anche alle scuole serali, all’Università dove si è laureato in Scienze Politiche. In tutta questa accelerazione di emozioni e impegni ha trascorso buona parte del suo tempo libero a visitare la tomba di don Gnocchi. «Grazie ai dialoghi silenziosi con questo grande uomo ho compreso che potevo pretendere di più da me stesso». É attraverso il colloquio intimo e molto personale con il suo “benefattore” che Vincenzo ha trovato la forza di studiare fino a diventare professore universitario. Altro che scuola da radiotecnico come aveva stabilito per lui una psicologa quando lui faceva le medie! «Sono nato nel 1950 a Santa Maria Capua Vetere in provincia di Salerno, da piccolo ero felice: giocavo, rincorrevo le galline, correvo. Poi un giorno mia madre mi ha svegliato e non riuscivo a stare in piedi, di lì a poco è seguita l’infausta diagnosi, i ricoveri al Gaslini di Genova, alla Fondazione don Gnocchi di Roma, a Villa Santa Maria Rotonda a Inverigo e poi a Milano».
Tutto un peregrinare lontano dai suoi genitori, abbandonato da sua madre, o forse solo separato da lei, come ha precisato uno psicoterapeuta durante una seduta. Quando suo padre andava a trovarlo diceva di volergli bene, anche le suore glielo dicevano, così come le ragazze di buona famiglia del Sacro Cuore che andavano a far visita ai disabili con tanto di pacchettini-regalo. Erano belle, vestite con eleganza e alla moda, alcune molto raffinate. «Ho sempre avvertito, quando partecipavo a questi incontri, una sorta di intenso e amaro malessere, quasi a dovermi scusare del disturbo di essere presente. Mi sentivo in un mondo diverso». Col passare degli anni si sarebbe accorto che aveva ragione il suo compagno di studi Gianluca, disabile come lui quando dopo una delusione d’amore ha confessato: «Ciò che fa soffrire di più noi che viviamo questo limite fisico non è la fine di un amore, ma la sensazione che in queste condizioni è davvero difficile essere desiderati, attesi, sognati. Tutti ci vogliono bene. Fratelli, suore, amici, ma nessuno ci aspetta con ansia».
«Man mano crescevo, la rivoluzione all’esterno infuriava, la musica si faceva più rock, dura come la mia solitudine, aspra come il mio sentire. L’Istituto Maria Nascente in cui ero si è trasformato in Centro Maria Nascente, un luogo dalle regole meno rigide». É qui che Vincenzo Russo incontra padre Giacomo Pala, con una fede contagiosa, cristallina, sempre pronta all’ascolto e senza mai l’arroganza della verità assoluta. «Forse a lui devo buona parte della mia “resilienza”, quella forza d’animo che ci spinge a lottare anche quando tutto rema contro di noi. Quando, a volte, incrociavo giornate storte mi portava in Chiesa, si sedeva all’organo e mi suonava Beethoven. É una musica che mi è rimasta dentro anche quando ho assistito alla deriva della mia famiglia, alla morte dei miei fratelli eroinomani».
La coerenza e il coraggio di padre Pala si manifestavano in ogni gesto. «Quando ci aiutava a vestire, quando imboccava chi non riusciva da solo, quando, ci caricava in macchina e ci portava a spasso per Milano. Oppure quando ci raccontava della sua vita e delle sue mattane giovanili. Ma anche quando, virilmente, ci mandava a quel paese, esasperato dalle nostre richieste senza fine. Ma subito poi di nuovo lì, con noi. Con lui mi sentivo spensierato, fidanzato con la vita». È stato padre Pala a insegnare a Russo che la lealtà, prima che un diritto dell’altro, è un dovere verso se stessi, e si pronuncia dignità. «É stato lui a dirmi di non farmi fregare dalla poliomielite. Perché il mio male è nelle gambe, non nella testa».
Vincenzo Russo, era un operaio, ora è un vero uomo. Nel 1979 consegue il diploma di media superiore, il 12 luglio 1986 in una calda giornata di sole la laurea. Per la prima volta ha scoperto di essere fiero di se stesso. Sono seguiti vari incarichi importanti fra cui la direzione di un centro socio educativo e poi l’insegnamento universitario. C’è da essere soddisfatti, certo. La “modalità resilienza” è sempre sul tasto on. Tranne su un argomento: «avrei voluto amare una donna, essere padre, sentire qualche volta il profumo di minestra quando la sera faccio rientro a casa. Avrei voluto non conoscere mai il dolore che ha provocato in me il distacco da mia madre. Anche se devo a lei, in fondo, gli incontri con Don Carlo Gnocchi e padre Giampaolo Pala che hanno cambiato la mia vita. Perché hanno acceso la mia resilienza».
Vincenzo Russo, Se il destino è contro di me peggio per il destino, Milano, Mursia, 2009, 174 pagine, 12 euro.