Il debito costa più dell'istruzione, ma va bene così
In questi giorni leggiamo il “Def 2019 del Governo” che ribadisce come il costo annuale del nostro debito superi quello per l’istruzione: nel 2020 la spesa per interessi sarà del 3,6% del Pil contro il 3,5% in istruzione. Evidentemente la convenienza economica di salvare le scuole pubbliche paritarie non è una ragione sufficiente.
In questi giorni leggiamo il “Def 2019 del Governo” che ribadisce come il costo annuale del nostro debito superi quello per l’istruzione: nel 2020 la spesa per interessi sarà del 3,6% del Pil contro il 3,5% in istruzione.
Eppure non più tardi di 15 giorni fa, il 30 marzo 2019, voci autorevoli di Governo, senza alcun dubbio, dichiaravano (a favore di telecamera): quei pochi contributi alle scuole paritarie vanno assegnati, altrimenti un milione di bambini non avrebbero l’opportunità di andare a scuola. Meglio: allo Stato costerebbero un patrimonio.
Ma qualcuno potrebbe non essere sensibile ai temi economici: “miliardo (di euro) più, miliardo meno…” Strano che poi siano sbandierati i risparmi di 100 milioni qua, 50 là…avanzano di qua, non spesi di là… il buon padre di famiglia fa i suoi conticini.
Eppure lo studio degli economisti di Civicum con Deloitte, uscito sul Corriere della Sera il 23 settembre 2018 (a conferma dei dati riportati nello studio Il diritto di apprendere, ed. Giappichelli 2015), lo dice chiaramente, numeri alla mano: un allievo che frequenta la scuola pubblica statale costa ai cittadini, in tasse a loro carico, 10mila euro annui, mentre per un allievo che frequenta la scuola pubblica paritaria, in molti casi con risultati brillanti riconosciuti da Eduscopio 2018, i cittadini spendono 480 euro annui. Ergo, le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro annui.
Evidentemente la convenienza economica di salvare le scuole pubbliche paritarie non è una ragione sufficiente. Poco male che il loro “prodotto finito” (l’alunno diplomato) costi la metà di quello pubblico statale. Tanto, in ogni caso pagano i cittadini con le tasse. Va da sé. E quelli delle paritarie non solo pagano le tasse, ma anche le rette. Sciocchi! Hanno proprio soldi da buttare…Pertanto paghino anche l’Imu queste scuole dei ricchi per i ricchi, rilancia qualcuno in questi giorni, come leggiamo su Sole 24 Ore di ieri.
Il cuore della questione, squisitamente italiana, è questo: i genitori (e quindi gli studenti) sono discriminati, per ragioni economiche, nel loro diritto di scelta educativa. “Ma perché i genitori dovrebbero scegliere? La scuola statale c’è. Come è, è. Esiste. Di quale scelta andiamo cianciando? Cara grazia che hai una scuola dove mandare tuo figlio. Molti poveri africani non ce l’hanno. Il tuo trisnonno non ce l’aveva, la scuola! Prenditi quello che c’è e sia finita con queste storie…pensiamo piuttosto alla carta igienica! Libertà di che? Di istruire? Di educare? Ci pensa lo Stato. In Europa è tutto diverso? Là i genitori scelgono il tipo di educazione che desiderano, in un pluralismo formativo? Gli Stati Europei sono in grave errore. Noi italiani, sì che ragioniamo!”
Ottimo. Allora occorre cambiare la Costituzione Italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Infatti, secondo il suddetto ragionamento, non sono i genitori che hanno il diritto di «istruire ed educare i figli» (art. 30 della Costituzione), ma è lo Stato. Inoltre i genitori italiani non hanno «il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli» (art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo); il dovere dello Stato Italiano non coincide con quello degli Stati Europei, che hanno il dovere di «rispettare il diritto dei genitori di provvedere nel campo dell’insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche» (art. 2 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). In Italia, questo dei genitori, di provvedere all’educazione secondo le proprie convinzioni pedagogiche, non è un diritto: è un optional per ricchi. Il diritto è una finta: non basta proclamarlo, scriverlo, va garantito. Cosa che non accade. Dunque tale diritto, in Italia, non esiste.
Ciò premesso, anche la legge 62/2000, a parole, afferma che la libertà di scelta educativa necessita di un pluralismo educativo composto da scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie, che sono le due gambe del Sistema Nazionale di Istruzione, tant’è vero che i diplomati delle une e delle altre accedono ugualmente all’Università e ai concorsi statali dove non occorre la laurea. La necessità di accedere, per motivi economici, alla sola scuola pubblica statale si chiama monopolio educativo: così la Repubblica cede il passo al Regime. Agli Italiani piace così? Forse non a tutti.
In conclusione: non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio. Per questo, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale è quello di assegnare una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi. Con un risparmio annuo per lo Stato di 6 miliardi di euro. Ma questo, a chi vuole la scuola di regime, non interessa. Prima la carta igienica.