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LA MEDITAZIONE

Il Cristo abbracciato per comprendere il sisma

La fede cristiana non è un recinto nel quale rifugiarsi, un lago o una laguna dove andare a pescare il pesce per la cena. La fede non è un buco in cui consolarsi senza procurarsi troppo danno. Piuttosto è una relazione personale che provoca e muove, un'amicizia che prende e trascina, aprendo la via verso Dio e verso il prossimo

Creato 29_10_2016

Appena sulla soglia di casa, veniamo sorpresi dalle notizie sul nuovo terremoto. Cosa c'entra con questo nuovo dramma quanto abbiamo udito e vissuto nei giorni degli esercizi spirituali? La fede cristiana non è un recinto nel quale rifugiarsi, un lago o una laguna dove andare a pescare il pesce per la cena. La fede non è un buco in cui consolarsi senza procurarsi troppo danno.

Piuttosto è una relazione personale che provoca e muove, un'amicizia che prende e trascina, aprendo la via verso Dio e verso il prossimo. L'abate generale dei Cistercensi Padre Mauro Lèpori ne parla con intensità e semplicità, indugiando a descrivere l'apostolo Giovanni che posa il capo sul petto di Gesù. Non è la posizione del feto nel seno materno - egli dice - da dove non può scorgere il volto della madre. Giovanni volge il capo verso Gesù e ne scorge il volto. A sua volta, lo sguardo di Gesù è teso al Padre, che gli è sempre presente e mai l'abbandona.

In Gesù, Dio ci è vicino. L’abate cita una frase di San Bernardo nel terzo sermone della vigilia di Natale, ‘goccia di rugiada in cui si riflette tutto il mondo a 360 gradi’. Occorre trascriverla in latino per coglierne la densità: “Venire voluit, qui potuit subvenire”: volle venire colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci. Gesù si rende presente fino a toccarci ed essere toccato, fino a ospitarci alla sua tavola fino a domandare – come a Zaccheo - di essere ospitato alla nostra. Questa reciproca ‘ospitalità’ non s’è esaurita nel breve spazio della sua presenza storica tra gli uomini, ma si estende nel corpo della Chiesa e si rinnova nel convito eucaristico.

Qualcuno chiede all'abate quante ore prega. "Ventiquattro", risponde. Non è solo una battuta. Nella profondità degli occhi e nella serena semplicità del volto quest'uomo vive e ragiona stando di fronte a Cristo e condividendo da questo punto il dramma umano. Da alcuni anni non abita nel suo antico monastero di Hautrive, in Svizzera, ma gira il mondo dei monasteri cistercensi abitati da oltre tremila monaci e monache.

L'annuncio della presenza salvifica di Cristo rinnova il miracolo dell’unità e del riscatto nei monaci da lui incontrati. Un’antica cronaca scovata in manoscritti del ‘400 racconta della corruzione che imperversava nell’originario monastero svizzero; pericolo riscontrato in forme diverse anche ai nostri tempi. Eppure l’immagine del Cristo riverso sulle braccia del Padre come in una ‘Pietà trinitaria’, apre il cuore della misericordia e invia lo Spirito del Perdono; la splendida raffigurazione intagliata nel bassorilievo venne commissionata proprio dalla comunità monacale in decadenza, con il contorno dei santi apostoli, ciascuno sottolineato dal simbolo che lo caratterizza, come le chiavi di Pietro e la conchiglia di Giacomo.

Il tredicesimo apostolo Mattia non è designato da alcun oggetto ma tende lo sguardo al Cristo morto che il Padre stringe in grembo e consegna all’umanità. Sull’ultimo scorcio dell’Anno della Misericordia, anche i nostri occhi sono vòlti alla stessa immagine, e l’intera nostra anima viene rapita nell’abbraccio che ci ricostruisce. Come Pietro pentito e amato veniamo sospinti alla testimonianza presso i fratelli uomini, feriti nell'anima e nel corpo.