Il cortocircuito trans che censura le donne
Annullato a Parigi uno spettacolo teatrale della femminista Lena Paugam, che voleva far riflettere sul «percorso di una donna trans». Il motivo? La protesta di gruppi trans perché l’attrice protagonista era una donna, vera. Una censura che rivela tutte le contraddizioni della propaganda transessualista.
“È possibile incarnare una persona trans se non si è trans? La risposta è appena stata data, ed è no”. È Telerama, settimanale francese di cinema e spettacolo che esiste dal lontano 1947, a dare ai lettori l’inattesa quanto inconcepibile informazione. Di che cosa si tratta? È presto detto.
A Parigi, presso il Teatro 13, si doveva tenere uno spettacolo tutto al femminile intitolato “Pour un temps soit peu”, (Per un po’ di tempo), messo in scena dalla regista (femminista) Lena Paugam. Lo spettacolo, che si ispira a un testo di Laurène Marx, “si iscrive nel quadro di una serie di ritratti di donne”. E doveva essere interpretato dall’attrice Hélène Rencurel. Lo spettacolo voleva far riflettere il pubblico sul “percorso di una donna trans, che si confronta con l'idea di femminilità”. Con una “scrittura viva, tesa” doveva essere “una testimonianza toccante sulle conseguenze intime e sociali di una transizione ormonale e medica”.
Tutto quindi come da copione, secondo una visione ormai trita del politicamente corretto in salsa artistica. Sesso a scelta, biologia come prigione, desideri intimi sbandierati per creare scandalo e épater le bourgeois, uso del teatro per commuovere il pubblico e trasbordarlo verso “nobili” cause… Eppure lo spettacolo è stato annullato dal direttore del Teatro 13, Lucas Bonnifait. “De-programmato” come scrivono sul sito. E non per una ipotetica (e inesistente) opposizione “tradizionalista” o “biologista” la quale, a giusto titolo del resto, poteva far notare che appare incongruo che una “donna trans”, ovvero un uomo secondo la scienza, sia da inserire in un contesto di “ritratti di donne”. No.
Il motivo dell’annullamento, per non dire della censura, è dovuto alla protesta e alla prepotenza delle associazioni trans. Le quali hanno minacciato interventi violenti davanti al teatro in modo da rendere arduo l’accesso al pubblico. E la ragione è questa: l'attrice che doveva incarnare il trans, Hélène Rencurel, è una donna. E non un trans! Sebbene gli stessi gruppi dicano ogni giorno che l’uomo trans, che si sente donna, sia una donna come tutte le altre. E quindi la povera attrice, avendo la colpa di essere nata donna e dovendo per lavoro interpretare un trans, tenderebbe a “rendere invisibile il corpo trans”. Colpa inespiabile.
Parlando con Telerama, l'attrice accetta senza rabbia la censura anche perché sa bene chi comanda davvero in Francia, non solo nella politica, ma anche sui teatri e nel mondo dello spettacolo. E tra l’ironico e lo sconsolato dichiara: “Capisco e accompagno la loro lotta. L'invisibilizzazione del loro corpo è un problema sociale. Se lo spettacolo aumenta questa invisibilizzazione allora non ci sto”. Chiaro? In pratica si dichiara contenta della censura subita per non sembrare “transfobica” (non sia mai) e nemica dell’illuminismo e del progresso, oltre che alleata delle forze oscure della conservazione. E pensare che la locandina della pièce parlava al 100% il linguaggio delle lobby e del potere. E la stessa origine dello spettacolo era l’ambiente dei collettivi e dei gruppi pro Lgbt. “Triste storia - scrive Telerama - in cui nessuno esce vincente”. Né il teatro, “costretto a rinunciare a un’opera di qualità”. Né le “persone trans, la cui mobilitazione si conclude con una censura”. Eh già.
Ma quando tutti hanno paura di dire che “il re è nudo” e si afferma che un personaggio africano lo deve interpretare solo un africano (altrimenti scatta il delitto di blackface), allora può succedere che in base a simili scemenze, una donna biologica sia giudicata indegna di rappresentare sul palco una “donna per vocazione”. E quelli che discriminano (in verità distinguono sessi e contesti) saremmo noi?