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CREAZIONE E PANDEMIA

Il coronavirus e il cambio di teologia sulla creazione

La Chiesa ha avuto una certa difficoltà a leggere l’evento della pandemia in chiave schiettamente teologica. Alla concezione tradizionale della creazione di Dio che ha creato le cose dal nulla e di un tutto che è misteriosamente ordinato al fine della salvezza, si è sostituita la teologia contemporanea. Questa non accetta più questa visione della creazione, ma sulla linea tracciata dal gesuita padre Teilhard de Chardin per cui non è più la creazione a derivare da Dio ma Dio dall’evoluzione del cosmo. Assumendo questa impostazione diventa impossibile riferire una pandemia a Dio creatore.

Editoriali 02_05_2020

È sorprendente quanto riesca a fare un micro-organismo come il covid-19: può addirittura mettere a prova la visione cristiana della creazione, o meglio, mettere a confronto due concezioni teologiche della creazione, quella di sempre e quella della teologia di punta contemporanea.

Molti hanno notato che la Chiesa ha avuto una certa difficoltà a leggere l’evento della pandemia in chiave schiettamente teologica, dentro la storia della salvezza e nell’ottica della salus animarum. Non sono mancate le preghiere di auto al Cielo, le devote richieste di intercessione Mariana ma più come richiesta di aiuto nella prova che come occasione di revisione di vita, sia personale che comunitaria. In altri termini l’epidemia è stata considerata prevalentemente solo come un fatto naturale e si è chiesto al Cielo l’aiuto nell’affrontare il disagio naturale. 

La concezione tradizionale di creazione era pressappoco così: Dio ha creato le cose dal nulla, quindi Egli è la Causa prima e il Fine ultimo. Di conseguenza tutto è da Lui voluto e permesso per un bene maggiore. Il bene maggiore ultimo è la salvezza eterna delle anime, quindi tutto è misteriosamente ordinato a questo fine. Nessun evento è quindi solo naturale, appunto perché la natura non è una entità autonoma rispetto a Dio, ma anche gli eventi naturali hanno a che fare, direttamente o indirettamente, con la salvezza.

Essi devono quindi essere messi in relazione con il peccato degli uomini, sia con la situazione decaduta dopo il peccato delle origini, sia con i peccati attuali. Non con i peccati contro la natura (gli eco-peccati) ma i peccati contro Dio. È quindi lecito, e anzi doveroso, che la Chiesa guidi anche ad una riflessione di questo tipo e colleghi i pericoli che vengono dalla natura al disegno provvidenziale di Dio per la nostra salvezza. Essi quindi possono e debbono essere interpretati anche come inviti alla conversione e alla purificazione spirituale.

La teologia contemporanea però non accetta più questa visione della creazione. Sulla linea tracciata dal gesuita padre Teilhard de Chardin, c’è un movimento di evoluzione dall’imperfetto al più perfetto e Cristo è il Punto Omega di questa evoluzione. Per san Tommaso era certo che il mondo non fosse eterno, appunto perché creato dal nulla, anche se non era dimostrabile secondo lui un suo inizio.

Ora invece, il mondo è un processo tendente sempre al meglio il cui vertice è Cristo. Si potrebbe dire – calcando un po’ la mano – che non è più la creazione a derivare da Dio ma Dio dall’evoluzione del cosmo. Un principio fondamentale della metafisica cristiana era che il più non viene dal meno.

Nella nuova visione, invece, il più può venire dal meno, perché la materia può produrre la forma. La materia, come sostenuto da tanti - si pensi per esempio ad Ernst Bloch - non è solo materia ma possiede una dinamicità interna che le permette di generare le forme. Secondo Teilhard ciò è evidente nell’uomo: in lui la materia produce lo spirito, si tratta del famoso processo di “ominizzazione”. L’uomo è un prodotto dell’evoluzione, non è stato creato direttamente da Dio tramite il suo Soffio di vita, ma è stato creato indirettamente dall’interno del processo di creazione-evoluzione. Perfino l’anima può avere questa origine, nonostante Pio XII nella Humani generis abbia confermato la  dottrina opposta.

Lo stesso deve dirsi – anzi a maggior ragione – per la creazione secondo Karl Rahner. Pensare a Dio che crea dal nulla in senso metafisico – secondo lui – significa interpretare Dio secondo le categorie con cui interpretiamo le cose di questo mondo e paragonare Dio all’artigiano che crea la sua opera. Per usare le sue parole, sarebbe pensare in senso categoriale e non trascendentale.

Dio opera solo tramite le cause seconde e non mediante un intervento diretto, quindi crea da dentro la natura e da dentro la storia, in modo evoluzionistico. Noi non abbiamo un senso di  dipendenza da Dio perché Dio ci ha creati, ma Dio ci ha creati perché abbiamo maturato evoluzionisticamente un senso di dipendenza da Dio. Tutte le categorie teologiche, compresa quella di creazione, maturano storicamente ed evolutivamente. Perfino Gesù Cristo non sapeva di essere Dio ma ha maturato tale convinzione progressivamente.

Assumendo questa impostazione diventa impossibile riferire una pandemia a Dio creatore, almeno per averla permessa, e quindi il suo significato per noi può essere solo naturale e non veicolante un messaggio soprannaturale, sarebbe ancora una volta trasferire sul piano divino le nostre categorie mentali adatte invece a questo mondo.

L’unica lettura cristiana che si può fare riguarda l’impegno naturale nei confronti di una cosa naturale, perché Dio si manifesta evoluzionisticamente nella natura e nella storia, precisamente nel loro significato naturale storico. Una visione trascendente, “dal punto di vista di Dio”, legata al fine della salvezza delle anime sarebbe non idonea e incomprensibile all’uomo contemporaneo che la accuserebbe di magia.