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VERITÀ E IDEOLOGIE

Il coraggio dei vescovi africani

All'indomani del massacro di decine di cristiani nella chiesa di San Saverio a Owo, parla il vescovo cattolico di Ondo. Ci vuole molto coraggio a sfidare l’apparato di potere nigeriano e quello internazionale delle ideologie che lo assolvono. Monsignor Arogundade rischia l’ostracismo e forse anche la vita...

Esteri 27_06_2022

Aggiornamento del 27-6-2022: Un altro sacerdote, padre Vitus Borogo, è stato ucciso in Nigeria a Prison Farm, lungo la Kaduna-Kachia Road. È stato cappellano della comunità cattolica del Politecnico statale di Kaduna. Lo rende noto l'associazione Aiuto alla Chiesa che soffre

Secondo il portavoce della diocesi di Auchi, stato di Edo, in Nigeria, padre  Christopher Odia è morto oggi  a poche ore dal suo rapimento. Padre Odia, 41 anni, stava uscendo per andare alla messa dominicale presso la chiesa di San Michele di Ikabigbo quando venne raggiunto da rapitori armati e portato via.

“Suggerire o stabilire una rapporto tra le vittime del terrore e le conseguenze del cambiamento climatico non solo è fuorviante, ma significa gettare sale sulle ferite delle vittime del terrorismo in Nigeria”. Con queste parole, all’indomani del massacro di decine di cristiani nella chiesa di San Saverio a Owo, il vescovo cattolico di Ondo, monsignor Jude Ayodeji Arogundade, ha risposto al Presidente della Repubblica di Irlanda, Michael D. Higgins, che,in un messaggio di condoglianze, aveva dichiarato: “che un simile attacco sia stato fatto in un luogo di culto merita particolare condanna così come ogni tentativo di prendere come capro espiatorio i pastori Fulani che sono tra le prime vittime delle conseguenze del cambiamento climatico”.  

Il presidente Higgins evidentemente è convinto che i pastori Fulani (peraltro non responsabili della strage di Owo) attacchino i villaggi degli agricoltori per assicurare alle loro mandrie pascoli e acqua che scarseggiano a causa del global warming. Non sa che in Nigeria i pastori del nord e gli agricoltori del sud combattono da secoli nella Middle Belt, la fascia centrale del paese dove vengono a contatto. Caso mai, sono le dimensioni sempre più grandi delle mandrie a rendere frequenti gli scontri. 

È sbagliato e inverosimile parlare di cambiamento climatico, dice Monsignor Arogundade, la verità è che in tutto il paese la gente ha paura “e chi ha seguito le vicende della Nigeria negli ultimi anni sa benissimo che gli attentati terroristici, la criminalità comune, i sequestri di persona, i continui attacchi a chiese, mercati e trasporti pubblici in Nigeria e nella regione del Sahel non hanno niente a che vedere con il cambiamento climatico”.   

Sono la corruzione eretta a sistema, neanche più dissimulata, il degrado delle istituzioni e della vita sociale, il malgoverno, la cattiva amministrazione di enti statali, apparato militare, sistema sanitario e scolastico a far sì che in Nigeria la violenza dilaghi incontrollata, denuncia il vescovo di Ondo che esorta “a desistere da tale opportunismo” chi dentro al paese e al suo esterno approfitta della strage di Owo “per far avanzare qualsiasi forma di agenda ideologica”. 

Ci vuole molto coraggio a sfidare l’apparato di potere nigeriano e quello, internazionale, delle ideologie che lo assolvono attribuendo a fattori e soggetti esterni la causa dei problemi che affliggono il paese. Monsignor Arogundade rischia l’ostracismo e forse anche la vita. Ma molti vescovi africani sono coraggiosi e lo dimostrano. 

Il 20 giugno anche monsignor Alex Lodiong Sakor, vescovo di Yei, uno degli stati del Sudan del Sud, ha accusato le elite locali, chi ai vertici dello Stato controlla le risorse del paese di essere responsabile della crisi alimentare che ha colpito la popolazione. L’Africa orientale, ha spiegato all’inviato della Bbc che lo ha intervistato, è colpita ancora una volta dalla siccità, la pandemia di Covid-19 ha fatto danni e adesso l’invasione russa dell’Ucraina aggrava ulteriormente la situazione. Ma “se in questo paese ci sono dei poveri, la colpa è di quelli tra noi che hanno autorità e potere, sono poveri perché li facciamo diventare poveri. Abbiamo risorse in abbondanza, ne siamo pieni, ma questa ricchezza si accumula nelle mani di pochissime persone che le sottraggono a tutti gli altri”. 

Il Sudan del Sud, con l’indipendenza dal Sudan conquistata nel 2011 dopo decenni di guerra civile, ha acquisito tre quarti dei giacimenti sudanesi di petrolio, il cui sfruttamento era già avviato. Ma un contenzioso con il governo di Khartum sull’importo da pagare al Sudan per trasportare il petrolio a Port Sudan usando l’unico oleodotto disponibile, quello che attraversa il territorio sudanese, ha quasi interrotto le attività estrattive perché non c’era modo di esportare il greggio. Quasi subito inoltre, proprio il controllo di questa ricchezza enorme e dei cospicui aiuti internazionali allo sviluppo riversati sul paese, ha scatenato la piaga della corruzione e nel 2013 ha dato origine a uno scontro politico e poi a un conflitto armato tra le due principali etnie, i Dinka e i Nuer, per il controllo dell’apparato governativo e amministrativo. Corruzione, tribalismo, nessuna volontà di occuparsi dei problemi della popolazione, ecco perché la gente ha fame, dichiara monsignor Sakor, tutto il resto è secondario. Oltre tutto – aggiunge – dove esercito governativo e gruppi armati combattono, la gente non può coltivare la terra: “se vanno a lavorare nei campi e vengono scoperti, (i soldati) li uccidono con la scusa che sono ribelli. Siamo dei veri Cristiani? No, non lo siamo perché un Cristiano non uccide un altro Cristiano”. 

Nonostante il petrolio, il Sudan del Sud è un paese povero. Nell’Indice di sviluppo umano dell’agenzia Onu per lo sviluppo è 185° (dopo di lui, solo Ciad, Repubblica Centrafricana e Niger. Anche la Nigeria produce petrolio. Lo estrae ed esporta dagli anni 60 del secolo scorso. Potrebbe e dovrebbe essere uno stato emergente, come il Sudafrica e il Brasile. Invece nell’Indice di sviluppo umano è al 161° posto, anch’essa tra i paesi meno sviluppati del mondo.