Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Pascasio Radberto a cura di Ermes Dovico
IL DUECENTO/12

Il compleanno di Beatrice: 750 anni, ma non li dimostra

Il 2016 è l’anno in cui si festeggiano i settecentocinquant’anni di Beatrice, uno dei personaggi femminili più famosi della letteratura mondiale. Figura realmente esistita, nata nel 1266, figlia di Folco Portinari, Beatrice viene conosciuta dall’Alighieri giovanissima, va in sposa a Simone de’ Bardi e muore nel 1290. 

Cultura 03_01_2016
Dante e Beatrice

Il 2016 è l’anno in cui si festeggiano i settecentocinquant’anni di Beatrice, uno dei personaggi femminili più famosi della letteratura mondiale. Figura realmente esistita, nata nel 1266, figlia di Folco Portinari, Beatrice viene conosciuta dall’Alighieri ancor giovanissima, va in sposa a Simone de’ Bardi e muore nel 1290. La memoria di lei, scomparsa a soli ventiquattro anni, sarà sempre presente nella famiglia di Dante tanto è vero che Antonia, figlia dell’Alighieri, assumerà proprio il nome di suor Beatrice.

Quando Beatrice di Folco Portinari muore, il poeta entra in una crisi spirituale ed esistenziale. Per rispondere a tutte le sue domande decide di iscriversi ai corsi di teologia dei domenicani a Santa Maria Novella e dei francescani a Santa Croce. Poi, inizia a comporre un’opera che racconti il suo incontro per Beatrice raccogliendo alcune poesie precedenti alla morte e altre realizzate in seguito. Tutti i componimenti verranno unificati con una prosa che ha la duplice funzione di raccontare le vicende fondamentali della storia e, nel contempo, di commentare i testi poetici. Il risultato è un prosimetro di trentun poesie, ispirato alle vidas provenzali (biografie di poeti provenzali famosi), alle razos (commenti sulle poesie), al De consolazione philosophiae di Severino Boezio, uno dei testi più influenti nel Medioevo cristiano.

Nella prima parte della Vita nova Dante incontra Beatrice una prima volta a nove anni, rimanendo colpito dalla sua bellezza. Nove anni più tardi, la rivede di nuovo. Catturato totalmente dall’amore per quella donna della beatitudine, ottiene finalmente il suo saluto. Per mascherare i suoi sentimenti, secondo la prassi dell’amore cortese, si avvale di una “donna schermo”, incontrata in chiesa, che lui finge di amare. Quando questa lascia Firenze, Dante è costretto a cercare un’altra “donna schermo” della città. A questo punto, però, Beatrice gli toglie il saluto. A una festa di nozze Dante incontra delle donne gentili che vogliono capire quale sia la natura del suo amore per Beatrice. A colloquio con loro Dante comprende che lui, in realtà, fino a quel momento non ha mai cantato la bellezza e la grandezza del cuore della donna amata, ma si è sempre soffermato sulla propria interiorità e sul dramma conseguente alla sofferenza d’amore. D’ora innanzi, contrito e dispiaciuto, il poeta muterà la maniera del poetare scrivendo componimenti improntati all’esaltazione della bellezza dell’amata e chiamati ”poesie della loda”, abbandonando il magistero dell’amico Guido Cavalcanti, di pochi anni maggiore di lui. 

Ne saranno magnifici esempi poesie come Tanto gentile e tanto onesta pare (capitolo XXVI): «Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia quand’ella altrui saluta,/ ch’ogne lingua  deven tremando muta,/ e li occhi no l’ardiscon di guardare.// Ella si va, sentendosi laudare,/ benignamente d’umiltà vestita;/ e par che sia una cosa venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare.// Mostrasi sì piacente a chi la mira,/ che dà per li occhi una dolcezza al core,/ che ‘ntender no lla può chi no lla prova:// e par che della sua labbia si mova/ un spirito soave pien d’amore,/che va dicendo all’anima: Sospira». Nel sonetto il verbo «parere», come ha ben evidenziato Gianfranco Contini, uno maggiori studiosi di Dante nel Novecento, significa «emerge in tutta la sua oggettività». La presenza del verbo così abbondante nel testo, abbinata al verbo “mostrasi” (cioè emerge come monstrum, in latino “cosa prodigiosa, straordinaria”), sottolinea la sorprendente epifania a cui gli spettatori possono assistere, manifestazione sacra di una donna che è tanto più bella tanto più ama e vuole il bene. La bellezza che traluce all’esterno è, infatti, frutto della straripante e incontenibile “bontà d’animo”. 

La donna è, qui, miracolo, meraviglia, segno stesso del divino nella realtà, possibilità per l’uomo di elevarsi e di andare verso il cielo. Nel rapporto con la donna l’uomo ha la possibilità di realizzarsi e di compiersi. Se Cristo è la via e, nel contempo, la verità, e se Beatrice è figura di Cristo, allora anche Beatrice è strada per andare a Dio. Questa è la bellissima idea sottesa alla concezione d’amore dantesca espressa nella Vita nova: la donna è “cristofora” e, quindi, il rapporto dell’uomo con lei è sacramentale. Più tardi alcuni segni sono presaghi della morte di Beatrice. Dapprima Dante si ammala, sperimentando così sofferenza e dolore, poi muore il papà di Beatrice e lo stesso Dante ha una visione in cui l’amata va in Cielo. Infine, Beatrice muore davvero. Allora Dante pensa di trovare consolazione in una donna gentile che sembra comprendere il suo dolore e provare compassione per lui. La visione di Beatrice, apparsa in sogno nella gloria del Cielo, richiamerà il poeta al significato dell’incontro con lei, dal quale la sua vita è stata rinnovata.

La Vita nova si conclude con la profezia di Dante relativamente alla composizione della Commedia: «Apresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire acciò io studio quanto posso, sì com’ella sae, veracemente. Sì che, se piacere sarà di Colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dire di lei quello che mai non fue detto d’alcuna» (capitolo XLII). L’ipotetica data di conclusione dell’opera è il 1294. Dante si ripromette di studiare ed esercitarsi fino a quando non sarà capace di scrivere quanto nessuno ha scritto di una donna. Dante conclude la Vita nova così: «E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus». Il destino ha voluto che il Fiorentino morisse subito dopo aver terminato il sommo capolavoro a cui hanno posto mano Cielo e Terra. Era la notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321.

Nel Paradiso nell’imitazione della donna amata, nel guardarla non come idolo, ma come segno del Mistero che la compie, Dante è invitato dalla donna a non soffermarsi su di lei, ma ad andare oltre: ama davvero chi rimanda al senso del tutto e chi spalanca al desiderio dell’eternità. Beatrice ama davvero Dante perché lo indirizza a Cristo. Certo, permane in Dante tutta la consapevolezza della possibilità di peccare e di cadere nel peccato di idolatria. Rimanere troppo vicino alla donna amata e fermare lo sguardo solo su di lei sono rischi che il poeta corre tutti i giorni. Occorre la vigilanza perché nessuna conquista è ottenuta una volta per tutte. Altrimenti, la donna può diventare come la Francesca del V canto dell’Inferno.