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LA "CONFESSIONE"

Il clericalismo colpisce nel portafoglio chi non si allinea

Il primo "pentito" della correctio filialis ammette di essere stato ostracizzato dalla sua università dopo aver firmato quel documento. "Mi hanno colpito nella pagnotta, è stato terrificante". Sorte ben diversa è toccata agli intellò che firmavano appelli contro Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: sono ancora in cattedra a pontificare. Alcuni di loro ora sono anche vescovi. 

Ecclesia 01_10_2018

Il portale Vaticaninsider ha pubblicato nei giorni scorsi un’intervista illuminante al primo “pentito” dell’operazione Correctio filialis. Si tratta dello studioso Giuseppe Reguzzoni, che viene definito come ricercatore e studioso di filosofia e teologia. Giova soffermarsi su un passaggio in particolare perché è una spia significativa di come girano le cose oggi nel mondo accademico cattolico e soprattutto è rivelatrice di un clima da caccia alle streghe che vede vittime tutti quei cattolici che non si sono piegati al mainstream corrente e, pur essendo accusati di essere nemici del Papa, in realtà hanno semplicemente manifestato filialmente un atto di correzione dopo la pubblicazione di Amoris Laetitia.

E’ interessante notare le conseguenze di quell’atto, senza entrare nel merito delle motivazioni che hanno spinto Reguzzoni a disconoscere quella firma apposta in calce alla correctio e che vedeva protagonisti un nutrito numero di accademici e intellettuali nel mondo. Anche perché a leggere bene l’intervista, Reguzzoni non sembra affatto convinto su Amoris Laetitia dal momento che definisce senza giri di parole la correctio una risposta sbagliata ad un documento sbagliato, mal fatto e mal messo, ma che comunque ha avuto il merito di aver posto un problema, quello dei cosiddetti divorziati risposati.

Non ci addentreremo dunque nei meandri della disputa teologica, perché non è questo il luogo deputato. Ma soltanto far notare una risposta che Reguzzoni fa alla domanda dell’intervistatore, il giornalista Andrea Tornielli.

Domanda: Quali sono state le conseguenze per quella firma da lei apposta alla Correctio? 

La risposta merita di essere letta tutta: «Terrificanti. L'Università Cattolica di Milano prima mi ha mandato una raccomandata di diffida perché, secondo loro, il titolo di “ricercatore esternoˮ da me utilizzato non esisterebbe. Poi, quando ho mandato la copia del documento in cui mi si indicava proprio con questo titolo, non hanno risposto, ma mi hanno depennnato, senza preavviso, dalla lista web dei collaboratori, senza una sola parola di spiegazione. Anzi, no; un docente, su mia richiesta, mi ha risposto con un messaggio alquanto secco su whatsapp. Diverse case editrici cattoliche non mi hanno più mandato lavori di traduzione. Insomma, mi hanno colpito sulla pagnotta, il che mi rende difficile credere nei discorsi vaticani sulla “misericordiaˮ. Quella che ho sperimentato io sono legnate, senza troppi commenti». 

Aggettivi come “terrificanti” e parole come “diffida”, “legnate” e “pagnotta” sono un qualche cosa di più di un incidente di percorso. Sembrano essere semmai un grido d’allarme di un cattolico che si è sentito umiliato nella sua indipendenza culturale e in definitiva nella sua libertà di fedele.

L’effetto che fanno su un lettore qualunque non avvezzo alle cose vaticane, basti pensare alla frase sui discorsi sulla misericordia, è quello di un controllo forzato da parte dei centri di potere di quello che si è soliti definire il consenso. Non sappiamo se l’Università cattolica abbia davvero proceduto ad ostracizzare il ricercatore in questione, ma un’assenza di smentite, sia sua che dell’ateneo tirato in ballo, portano a pensare che le cose siano andate proprio così.

In ogni caso è significativo che, mentre si accusava gli estensori della correctio di voler abbattere il pontificato di Francesco per conservare gli strapuntini di potere accumulati, in realtà si scopre che a parlare con parresia e franchezza, ci si rimette dal punto di vista della carriera e in definitiva dei soldi. Eppure, se gli intellettuali che hanno espresso critiche al documento papale fossero stati dei maneggioni assetati di potere, forse oggi li vedremmo ben pasciuti sullo scranno più alto di qualche facoltà teologica. Invece, dobbiamo constatare che ad essere coerenti con la propria coscienza, il rischio sia quello di rimetterci il cotto e il crudo perché in fondo, lo sappiamo, tutti teniamo famiglia.

Non è forse questo un esempio illuminante di clericalismo, malattia che infesta molti cattolici, sia laici che religiosi, tanto che mentre pensano di lavorare per la Chiesa, a forza di cercare prebende e posti di potere, non si accorgono che è la Chiesa che lavora per loro?

In ogni caso è significativo che il clima da caccia alle streghe, in cui un appello filiale a correggere quei tratti di un documento magisteriale che in coscienza si ritengono forieri di eresie, si sia nutrito di accuse facili a bollare questi tentativi come “atti sovversivi”. Compiuti i quali, alle povere vittime non è restato altro che abiurare o, appunto, dover rinunciare alla pagnotta.

Che carriera diversa hanno fatto i contestatori dei pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che hanno scritto lettere, diffuso appelli e esteso manifesti per contestare il magistero di quei pontefici!

Dalla Dichiarazione di Colonia nel 1989 al Documento dei 63 teologi dello stesso anno, per proseguire con libri e attacchi spesso personali, non è difficile oggi andare a ricercare che fine hanno fatto gli estensori di quelle lettere: nessuno ha mai perso il posto di lavoro e molti di loro, ancora vivi e vegeti pontificano con autorevolezza dalle cattedre universitarie e dalle pagine di giornale, dopo aver fatto una eccellente carriera, alcuni diventando persino vescovi.

Sorte ben diversa è toccata a chi ha sposato come metodo i Dubia, che partirono anche su queste colonne da quattro cardinali i quali sono stati bollati e umiliati come "nemici del Papa". Irrisi e il più delle volte ignorati quando non osteggiati, hanno ricevuto il benservito, alcuni di loro finendo gli ultimi giorni di vita nel banditismo più umiliante, nel dolore di non essere compresi nella loro più genuina figliolanza di fronte al Pontefice.

Invece qui abbiamo un pentito che, anche senza collegare la sua ritrattazione alla mancanza di un lavoro, deve definire il trattamento ricevuto per quell’”atto sovversivo” come “terrificante”.

Poscia più che il dolor potè il digiuno.